tag:blogger.com,1999:blog-42704188885918324322024-02-20T19:46:22.679+01:00Imago AltroveUn blog dedicato ai fumetti, manga, anime, lungometraggi e ai cartoni animati in genere. Tutto quello che bisogna sapere, tutto quello che si vuole scrivere. Aperto a tutti gli appassionati.
Se vuoi partecipare anche tu, contattaci!mulakyhttp://www.blogger.com/profile/06811257343440160760noreply@blogger.comBlogger40125tag:blogger.com,1999:blog-4270418888591832432.post-46749073894247821772011-11-29T17:57:00.003+01:002011-11-30T19:40:28.979+01:00Avatar di James Cameron<img alt="" src="http://www.newcinema.it/wp-content/uploads/2009/09/Colonnello-Quaritch-Avatar-480x614.jpg" style="MARGIN: 0pt 10px 10px 0pt; WIDTH: 228px; FLOAT: left; HEIGHT: 298px" />Si dice che d’ora in poi nella storia del cinema si parlerà di un "ante-Avatar" e di un "post-Avatar". Di certo quasi tutte le storie possibilmente immaginabili sono state raccontate sul grande schermo (se si parla di linee portanti della narrazione), quindi la definizione di apertura ("post e ante Avatar") può riferirsi ad un solo aspetto: quello tecnico. La tecnologia con cui è stato realizzato "Avatar" è già un punto di partenza di tanti film del presente e lo sarà sempre più per quelli del futuro, così come lo sono stati la trilogia di "Il signore degli anelli" (2001) e "Jurassic Park" (1993). Se vi dicessimo che la novità è il 3d potreste obiettare che è già da tempo che arrivano film su grande schermo arricchiti da questo rinnovato formato. La ragione però è che, nonostante Cameron sia stato con "Avatar" il primo regista a lavorare sul nuovo 3d, mentre realizzava il suo film le scoperte tecniche sono state così frequenti e così qualitativamente alte, che ha preferito rimandarne l’uscita per renderlo visivamente più affascinante di quanto già non fosse. Dalla scrittura della sceneggiatura all’uscita di "Avatar" sono passati tredici anni e nel frattempo molte produzioni hanno utilizzato gli studi fatti dalla troupe di Cameron per realizzare film con meno pretese, ma sempre in 3d. Cameron è un ambizioso, quando vinse undici Oscar per "Titanic" (record sia di statuette che di incassi della storia del cinema) disse "Sono il re del mondo". Presuntuoso? Senza dubbio. Ma ben vengano i presuntuosi quando spingono più in là i limiti dell’arte. Cameron è stato uno dei primi registi, assieme a Peter Jackson e Robert Zemeckis, a lavorare sulla "performance capture" (la tecnica che cattura, attraverso dei sensori, le espressioni del viso di un attore e le riporta su di un personaggio virtuale, come Gollum o le figure di "Polar express" ad esempio) e il risultato è che oggi come oggi non ci sono più limiti ai movimenti della macchina da presa o alle azioni di un attore. Tutto è possibile, ogni scenografia è ricreabile e la si può indagare in lungo e in largo. Certo, servono i soldi, ma per Hollywood questo non è un problema, anche perché il lavoro da apripista fatto da Cameron abbasserà i costi futuri di chi vorrà investire in queste tecnologie.<br /><br />Avatar nasce da queste premesse e non solo. Così come lo spettatore è invitato a indossare gli occhialetti ed entrare in un nuovo tipo di cinema, così la storia raccontata ha al suo centro il viaggio di un uomo dentro un nuovo mondo d’immagini e colori. Il marine dell’esercito che comanda a distanza un "Avatar", ovvero un umanoide tale e quale alle figure che abitano il pianeta di Pandora, compie un analogo percorso a quello dello spettatore con le lenti davanti gli occhi. Insomma, Cameron non si limita a utilizzare la tecnologia, ma la racconta. Il bello è che allo stesso tempo la trama da lui narrata è più che mai vicina al mito del buon selvaggio: il progresso portato dagli umani è identificato con il male. I buoni sono invece i neo-indiani Na’-vi, creature in pace con quella natura da cui traggono forza e benessere. Spettacolo, dramma, avventura, patriottismo, fantascienza e fantasy: dentro "Avatar" c’è un po’ di tutto, persino un finale alla Shrek. Forse la lunghezza è eccessiva per un racconto che scopre ben presto le proprie carte, ma la capacità di Cameron di immaginare e ricreare non solo un intero mondo e le sue creature, merita qualche minuto in più anche di semplice osservazione. Ne paga l’aspetto emozionale della pellicola: si entra in Pandora, ma non nei suoi personaggi, almeno non fino in fondo. Non si può però pretendere tutto: per fortuna il cinema ha ancora margini per migliorare sé stesso e non è detto che debbano essere per forza in 3d.<br /><br /><br /><br /><strong>La frase</strong>: "Io ti vedo".<br /><br /><br /><br /><p align="right"><br /> Andrea D'Addio</p><br /><div><br /> </div><br /><strong><em>pubblicata qui: </em></strong><a href="http://filmup.leonardo.it/avatar.htm"><strong><em>http://filmup.leonardo.it/avatar.htm</em></strong></a>ImagoAltrovehttp://www.blogger.com/profile/14725579928464469991noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-4270418888591832432.post-27662725457095556732009-12-25T13:34:00.000+01:002011-11-30T19:47:47.685+01:00Buon Natale 2009...... a tutti gli amici di ImagoAltrove! <br/><br/><a href="http://i218.photobucket.com/albums/cc102/utopia3585/2009_a_christmas_carol_005.jpg"><img style="TEXT-ALIGN: center; MARGIN: 0px auto 10px; DISPLAY: block" alt="A Christmas Carol, by Robert Zemeckis" width="500" height="212" src="http://i218.photobucket.com/albums/cc102/utopia3585/2009_a_christmas_carol_005.jpg" /></a><br/><p align="right"><br/>Lo Staff di ImagoAltrove. </p>ImagoAltrovehttp://www.blogger.com/profile/14725579928464469991noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-4270418888591832432.post-70192792391172389032009-07-31T14:30:00.000+02:002011-11-30T20:25:18.733+01:00SaiyukiIn un epoca in cui il caos regnava nel mondo, esisteva una terra in cui si era creata una coesistenza pacifica tra uomini e demoni, la culla di ogni civiltà e fede: il Tōgenkyō.<br/>Questa stabilità, tuttavia, si è improvvisamente interrotta: gli esperimenti proibiti per la resurrezione del grande yōkai<sup>1</sup> Gyūmaō, che era stato sigillato con le fiamme 500 anni prima, hanno creato delle onde negative, un incidente che ha fatto sì che gli yōkai di tutta la zona perdessero la loro coscienza.<br/>Quattro giovani uomini vengono scelti dagli Dei per viaggiare verso Ovest, scoprire l'origine di questo disastro e fermare gli esperimenti per far rivivere Gyūmaō, per la Salvezza e per la Pace nel mondo.<br/><br/>(...delle quali se ne infischiano altamente...)<br/><strong><img height="219" width="450" align="cssCenter" style="margin: 0px auto 10px; display: block; text-align: center;" alt="wanted" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Saiyuki/1.jpg" />Genjyō Sanzō</strong>: trovato in un fiume da Kōmyō Sanzō, viene cresciuto dal monaco fino al giorno della morte dello stesso, causata dai demoni durante un attacco al tempio. L'allora giovane Kōryū gli succede nel ruolo di Sanzō Hoshi. Arrogante, sboccato, permaloso, fumatore incallito, segue solo la sua strada e le sue idee. La carica buddista più alta, per un uomo che è l'antitesi del monaco.<br/><strong>Son Gokū</strong>: un essere eretico nato dalla Terra stessa che in un tempo molto lontano portò scompiglio nel regno degli Dei, venendo rinchiuso per 500 anni su una montagna senza bere nè mangiare nè invecchiare. Non ricorda nulla di quegli avvenimenti, è Sanzō a trovarlo e portarlo con sè.<br/><strong>Sha Gojyō</strong>: nato da una relazione extraconiugale di suo padre, un demone, con un'umana e cresciuto ma odiato dalla moglie di suo padre, ha nei suoi occhi e capelli rossi la testimonianza delle sue origini. Fuma come una ciminiera, gioca d'azzardo ed è un gran donnaiolo.<br/><strong>Cho Hakkai</strong>: divenuto un demone dopo averne uccisi mille per cercare di salvare la sua amata (senza riuscirci), è la componente "posata" del gruppo. Gentile, educato (chiede scusa ai demoni prima di polverizzarli..) e premuroso, si occupa dei compagni in svariati modi: prepara da mangiare, pulisce, placa i loro litigi...<br/><br/>Sono questi i quattro anti-eroi protagonisti di <em>Saiyuki</em> (=viaggio verso ovest), un manga di Kazuya Minekura: un bonzo armato di revolver con proiettili anti-demone, un demone scimmia con un dispositivo che sigilla gli spaventosi poteri della sua vera forma, il Seiten Taisei ("Grande Saggio Pari del Cielo"), un mezzo sangue sempre pronto a menare le mani, un massacratore di demoni dal sorriso gentile, anch'esso con poteri sigillati (ma di sua spontanea volontà).<br/>Questi ceffi incontrano durante il loro viaggio frotte di nemici: umani, yōkai, addiritturà divinità.<br/>Ci sono tutti gli ingredienti necessari per un pirotecnico manga d'azione, con combattimenti che si susseguono uno dietro l'altro... e invece no. O meglio, anche.<br/><em>Saiyuki</em> è molto di più. Anzi, direi che è proprio qualcos'altro. Perchè <em>Saiyuki</em> è uno shōnen manga<sup>2</sup> che contiene tutto quello che ho citato sopra, con la particolarità che tutto ciò è contorno. Quanto dettovi finora sui personaggi è apparenza, è primo impatto, è superficie. I veri protagonisti sono questi:<br/><br/><strong><img height="334" width="250" align="cssLeft" style="margin: 0pt 10px 10px 0pt; float: left;" alt="Paccati" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Saiyuki/2.jpg" />Sanzō</strong><br/><em>"Quello fu il suo ultimo sorriso, quelle le sue ultime parole infine il suo ultimo desiderio. Kōmyō Sanzō: il mio maestro, mio padre, l'unico Sanzō Hoshi che io abbia mai riconosciuto come tale. Sanzō... l'aver preso lo stesso nome di quella persona è un continuo rimprovero alla mia debolezza"<br/>"Non morirò mai per salvare qualcun altro, perchè conosco la sofferenza di chi rimane in vita. Vivere per me stesso. Morire per me stesso. Questo è il mio orgoglio."</em><br/><br/><strong>Gokū</strong><br/><em>"Mentre ero rinchiuso nella prigione della montagna vedevo solo il cielo; stavo a guardarlo, anno dopo anno... Chi mi tese la sua mano per aiutarmi fu proprio quella luce dorata... la luce del sole che avevo sempre ammirato per tutto quel tempo..."</em><br/><br/><strong>Gojyō</strong><br/><em>"Non sopporto vedere le donne che piangono. Mi ricordano mia madre, che piangeva ogni volta che mi guardava."</em><br/><br/><strong>Hakkai</strong><br/><em>"Vivere col rimorso di non essere riuscito a salvare la persona che ami... anche se mi ha sorriso io non sono mai riuscito a perdonare me stesso"</em><br/><br/>Persone in balia delle loro sofferenze passate, persone le cui tristi esperienze hanno scavato e continuano a scavare voragini nei loro animi, persone schiacciate dal dolore, persone divorate dai sensi di colpa o dalla solitudine. Un gruppo in cui le cicatrici del passato sono il filo che ora li lega.<br/><br/>Ecco quindi che i combattimenti, i nemici, diventano una cornice. Il fulcro di quest'opera sono i protagonisti. Sembra un'affermazione banale, una cosa normale, ma non lo è affatto nell'ambito degli shōnen manga: generalmente in questo tipo di manga il fulcro è rappresentato sì dai protagonisti, ma all'interno degli scontri che via via si succedono; il fulcro sono gli scontri stessi, e il comportamento del protagonista all'interno di essi.<br/>Così ci ricordiamo di Naruto contro Neji<sup>3</sup> e dei loro grandi discorsi sulla libertà tra un jutsu<sup>4</sup> e l'altro, di Ichigo contro Byakuya<sup>5</sup> e delle tante parole sul seguire le regole o meno tra uno Shunpo ed un Bankai<sup>6</sup>, e di Sanzō contro... ci ricordiamo di Sanzō e basta. Di Sanzō e del suo modo di pensare, di vivere.<br/>Perchè? Beh, è un fatto di impostazione.<br/>I manga d'azione (dove azione = combattimento o comunque sfida di qualche genere) hanno un'impostazione alla "sconfitto l'avversario ne arriva uno più forte" e affiancano a questo la crescita di abilità del protagonista: il protagonista diventa più forte. In <em>Saiyuki</em> invece l'arrivo di un nuovo avversario (spesso anche lui afflitto da gravi mali interiori) tende a mettere alla prova la psiche dei protagonisti più che le abilità fisiche, solitamente c'è un amplificarsi delle loro sofferenze o l'affioramento di ulteriori fantasmi del passato, e sono questi i veri avversari.<br/>Lo scontro è accompagnato da un'analisi da parte del protagonista di se stesso, e al posto della crescita fisica e tecnica si ha la comprensione dello stesso protagonista di una parte di sè o il superamento di un blocco emotivo. Il protagonista non esce più forte dallo scontro, ne esce fortificato.<br/>Gli avversari principali di Sanzō, Hakkai, Gojyō e Gokū sono loro stessi, è per questo che in mente ci restano le loro afflizioni più che i loro combattimenti.<br/>Conseguenza di tutto ciò è che non mi vengono in mente scontri specifici pensando a <em>Saiyuki</em>, mi viene invece subito in mente che Sanzō è di pessimo umore nei giorni di pioggia, mi viene in mente l'attaccamento viscerale di Gokū per Sanzō, mi viene in mente che per Gojyō i suoi occhi e capelli sono del colore del sangue...<br/><br/><em><img height="329" width="230" align="cssRight" alt="" style="margin: 0pt 0pt 10px 10px; float: right;" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Saiyuki/5.jpg" />Saiyuki</em> ha avuto ed ha tutt'ora un successo enorme, che però può far sorgere una domanda: come fa una mangaka donna ad attirare coi suoi shōnen manga il pubblico maschile? Alla comunque presente componente di azione, infatti, spesso si aggiunge una forte introspezione dei personaggi e una grande attenzione ai sentimenti, anche se raramente sono d'amore <em>tout court</em>: spesso infatti è l'amicizia o l'affetto parentale a farla da padrone (nonostante <em>Saiyuki</em> sembri a volte spingersi verso lo shōnen ai<sup>7</sup>)... Si arriva poi a livelli di emozione (in certi casi paranoia) dove il dolore scava dentro ai personaggi delle voragini che lo spettatore/lettore, se ha il coraggio di farsi coinvolgere, sente sue. Anche solo uno sguardo dal basso che Gokū rivolge a Sanzō è capace di far perdere un paio di battiti cardiaci.<br/>Ma allora, di nuovo: perchè si parla di shōnen? Perchè piace ai maschi?<br/>La risposta va cercata nel fatto che, appunto, le componenti tipiche degli shōnen manga sono presenti: iI personaggi sono dei gran fighi, sono fortissimi, durante gli scontri sono arroganti, guardano i nemici sempre e comunque dall'alto in basso, usano tecniche spettacolari, dalla manipolazione del ki<sup>8</sup> a formule magiche con i Sutra<sup>9</sup>, i loro nemici sono Kōgaiji, un principe demone che evoca le fiamme degli inferi, oppure Homura, il dio della guerra armato di una lunga spada infuocata. Cose da Shōnen duro e puro, figaggini cazzutissime! Con il risultato che <em>Saiyuki</em> si può guardare anche solo così. Nella mia esperienza personale ho incontrato gente che mi ha detto di ricordare ogni singolo combattimento, persone che interpellate su <em>Saiyuki</em> mi hanno detto "il fatto che i nemici si riducano in polvere è proprio brutto, i combattimenti sono fatti male".<br/>Ripeto, <em>Saiyuki</em> si può guardare anche così, ma se ne perde la vera essenza. Quasi preferisco quando mi è stato detto "<em>Saiyuki</em> mi fa schifo, i personaggi sembrano continuamente in procinto di limonarsi": almeno ti sei accorto, anche se nel modo sbagliato, che in <em>Saiyuki</em> c'è qualcosa di diverso.<br/><br/>La prova di quanto da me asserito sta nel fatto che nelle 3 serie animate (2 nel manga) non si arriva alla conclusione del viaggio: la trama, piuttosto che seguire il filone principale (andare a ovest per fermare i cattivoni), progredisce attorno ai personaggi (ai protagonisti ma anche agli antagonisti), attorno alla loro evoluzione.<br/><br/><div align="center"> <em>"La pioggia che incessante continua a cadere laverà via ogni cosa...<br/>Odio, tristezza, rimorso e persino le colpe.<br/>Il rosso non è più il colore del sangue ma quello del sole che sorge,<br/>un sole che solo i vivi potranno vedere<br/>e che li condurrà verso una nuova speranza per il domani"</em><br/><br/><img height="283" width="480" align="cssCenter" alt="" style="margin: 0px auto 10px; display: block; text-align: center;" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Saiyuki/3-1.jpg" /><br/></div><br/>Intanto questo. Per sconfiggere Gyūmaō c'è sempre tempo.<br/><br/><br/><strong>CENNI SUL ROMANZO</strong><br/><br/>L'opera è ovviamente basata sull'ormai super inflazionato <em>XīyóuJì</em> (<em>Viaggio in Occidente</em>), uno dei quattro grandi classici della letteratura cinese, la scrittura del quale è attribuita a Wu Cheng'en.<br/>In Italia abbiamo visto altri titoli d'animazione che attingono a questo romanzo, ma mentre solitamente ci troviamo di fronte a riferimenti più o meno velati (<em>Dragon Ball</em>) o a pesanti rielaborazioni (<em>Starzinger</em>), <em>Saiyuki</em> è un adattamento in vari punti più "fedele":<br/>- il leader della "ciurma" è effettivamente un bonzo, come il Tripitaka del romanzo;<br/>- i Sutra sono parte fondamentale sia nell'uno che nell'altro (anche se nel romanzo sono l'obiettivo del viaggio, mentre nel manga sono fondamentali per il risveglio del cattivone Gyūmaō, l'impedimento del quale è l'obiettivo del viaggio);<br/>- il "mezzo di trasporto" del gruppo è un drago in entrambi i casi (nel manga si trasforma in Jeep e trasporta tutti, nel romanzo solo il bonzo viaggia in groppa al drago);<br/>- Cho Hakkai e Sha Gojyō nel romanzo sono demoni reincarnati sulla terra per delle colpe che hanno commesso in passato nel regno degli Dei (ossia erano in precedenza delle divinità). Anche nel manga spesso assistiamo a flashback di 500 anni prima, quando i 4 protagonisti abitavano il regno celeste. Al momento non ricordano assolutamente niente di tutto ciò, ma è sicuramente una delle spiegazioni al loro forte legame (esiste anche uno spin-off della serie, <em>Saiyuki Gaiden</em>, non pubblicato in Italia, in cui si narrano i fatti avvenuti in quel tempo);<br/>- molti dei nemici incontrati nel manga sono gli stessi del romanzo, dai gemelli Ginkaku e Kinkaku a Kōgaiji (il figlio di Gyūmaō), a Gyūmaō stesso;<br/>- Kanzeon Bosatsu è la divinità committente del viaggio e segue il gruppo nel loro perigrinare in entrambe le versioni.<br/><br/>Queste similitudini sono solo quelle che io ho scovato leggendo una parte del romanzo, sicuramente ce ne sono molte molte altre.<br/><br/><strong><br/><em>SAIYUKI</em> IN ITALIA</strong> <br/><br/>I diritti di <em>Saiyuki</em> sono stati acquistati in Italia dalla Dynit, la quale ha finora pubblicato la prima serie animata (<em>Gensōmaden Saiyūki</em>) e 2 serie a fumetti (<em>Saiyuki</em> e <em>Saiyuki Reload</em>). Trovate tutto <a target="_blank" href="http://www.dynit.it/search.asp?key=Saiyuki&x=6&y=10&gen=0">sul loro sito</a>.<br/>L'eccezione è il film d'animazione <em>Saiyuki Requiem</em>, che è distribuito in Italia dall'editore francese <a target="_blank" href="http://www.kaze.fr/bōtique/fiche_produit.php?p=758874998f5bd0c393da094e1967a72b&typeproduit=1">Kaze</a> (che in Italia pubblica un sacco di cose ma non ha un sito italiano -_-').<br/>Insomma, in Italia manca un pacco di roba (più di metà della produzione cartacea e d'animazione).<br/><br/><hr size="2" width="100%" /><br/><br/><font size="1"><strong>NOTE</strong><br/><br/><sup>1</sup> Yōkai: vedi Dizionario su questo blog alla voce "<a href="http://imagoaltrove.splinder.com/post/16822508" target="_blank">bakemono</a>".<br/><sup>2</sup> Shōnen manga (shōnen = 少年 = ragazzo): sono una categoria di manga ed anime indirizzati a un pubblico maschile, generalmente dall'età scolare alla maggiore età. Gli shōnen si focalizzano principalmente sull'azione e sulle battaglie, dando grande importanza alla forza dei personaggi.<br/><sup>3</sup> Naruto, Neji: personaggi del manga <em>Naruto</em>.<br/><sup>4</sup> Jutsu (術 = tecnica, metodo, incantesimo, abilità o trucco): in <em>Naruto</em> sono le tecniche utilizzate dai ninja.<br/><sup>5</sup> Ichigo, Byakuya: personaggi del manga <em>Bleach</em>.<br/><sup>6</sup> Shunpo, Bankai: tecniche utilizzate in <em>Bleach</em>. Lo Shunpo è una tecnica che permette di spostarsi a velocità elevatissima, il Bankai è il massimo sprigionamento della potenza di una Zanpakuto, le armi, solitamente spade, in possesso degli shinigami (Dei della morte) che non sono semplici oggetti ma esseri viventi.<br/><sup>7</sup> Sh</font><font size="1">ō</font><font size="1">nen Ai (少年愛 = ragazzo + amore): è un genere di anime e manga che include una relazione affettiva omosessuale tra adolescenti o giovani ragazzi, tipicamente molto belli e che rispondono a stereotipi ben definiti (es: quello con gli occhiali, il ragazzino, il bel tenebroso ecc.)<br/><sup>8</sup> Ki (in cinese Qi): è il nome dato all'energia "interna" di ogni essere vivente.<br/><sup>9</sup> Sutra: testi fondamentali dei Canoni buddisti. In <em>Saiyuki</em>, uno dei Sutra é quella sorta di pergamena che Sanzō porta sulle spalle.<br/><img height="150" width="200" align="cssCenter" alt="" style="margin: 0px auto 10px; display: block; text-align: center;" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Saiyuki/sanzo7.jpg" /></font>ImagoAltrovehttp://www.blogger.com/profile/14725579928464469991noreply@blogger.com17tag:blogger.com,1999:blog-4270418888591832432.post-401280182824922562009-05-15T11:42:00.000+02:002011-11-30T20:19:26.984+01:00Dizionario: B (2) - CLo so, lo so.<br/>Ho postato io anche la scorsa volta, ma che volete farci: siamo gente impegnata, e chi ha qualcosa di pronto posta (comunque su autorizzazione delle cape). In ogni caso i due post sono parecchio diversi: nonostante siano giappofili entrambi, uno è una recensione, questo... beh, questo è il dizionario (e non preoccupatevi, sta procedendo anche nelle altre lettere! Ho già tutto l'elenco delle parole che vorrei trattare - elenco che si amplia periodicamente O.O -, devo "solo" lavorarci decentemente)!<br/>Approfitto di queste due righe per ricordarvi che siamo sempre in cerca di validi collaboratori, magari "esperti" di produzione "occidentale", il contatto email è <a href="mailto:imagoaltrove@gmail.com?subject=Collaborazione%20ImagoAltrove" target="_blank">sempre il solito</a>!<br/><br/>Ah, nel caso ve lo foste dimenticati, il dittongo "OU" si pronuncia come una "O" lunga e traslitterato si può trovare anche come "ō" (ma è più facile scrivere "ou", quindi ho usato questo modo).<br/><br/> <br/><img align="cssLeft" alt="" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Dizionario%20B2%20C/bentou.jpg" style="margin: 0pt 10px 10px 0pt; float: left;" /><strong>BENTOU = cestino per il pranzo</strong><br/>Indecisa fino all'ultimo se inserire questa voce, alla fine ho optato per dedicarle qualche riga, col proposito in futuro di ampliarne i contenuti (semmai mi passerà per le mani il materiale adatto).<br/>L'usanza di preparare il bentou esiste solo vagamente in Occidente (le gavette di militari e operai, per capirsi...), mentre in Giappone è un elemento importante nei rapporti sociali.<br/>Ha origini antichissime come pranzo al sacco dei cacciatori o dei contadini, ma a noi è arrivato sicuramente nella sua versione "scolastica": se nell'istituto manca la mensa e non si vogliono spendere troppi Yen al bar della scuola, è sempre meglio preparare a casa il bentou, magari da condividere con gli amici o, ancora meglio, da preparare per il proprio innamorato, con tanto di wursterl a forma di polipetto e decorazioni sul riso a creare un cuore.<br/>Spesso capita si sentir parlare non di "bentou" ma di "o-bentou": al termine viene aggiunto il prefisso onorifico "o-", e questo può far intuire l'importanza data a quest'usanza.<br/>Tutto ciò che volete sapere (e molto di più) sul bentou e relativo bentou-box (la scatoletta) su <a href="http://www.o-bento.net/" target="_blank">questo sito</a>: non ha senso che io mi dilunghi oltre, quindi.<br/><strong> Esempi</strong><br/>1. La preparazione del bentou è ovunque: avrei voluto postare le immagini di qualche anime, ma non ho trovato esempi che mi piacessero... per ora vi cito alcuni casi veramente noti: i famosi bentou di Akane Tendo, immangiabili (da Ranma), o le valanghe di bentou che prepara Hikaru in <em>Orange Road</em><a href="post/20545584/#bc1"><sup>1</sup></a>...<br/>2. Grazie alla segnalazione del sempre ottimo Deeproad, che credo conosca a memoria ogni variazione di fantasia sul costume tigrato di Lamù, eccovi un <a href="http://www.youtube.com/watch?v=X-RRa1B1dPU" target="_blank">tipico esempio</a> di bentou dell'amore: Lan rabbonisce l'insaziabile Rei con un pranzetto veramente <em>oishii</em> ("buono", "squisito", aggettivo da dedicare sempre e solo ai cibi). Esercizio: quante volte ripetono "bentou" nel filmato? E quante di queste hanno il prefisso onorifico? La soluzione nel primo commento al post! (e anche il link allo stesso pezzo in italiano).<br/><br/><img align="cssLeft" alt="" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Dizionario%20B2%20C/boku.jpg" style="margin: 0pt 10px 10px 0pt; float: left;" /><strong>BOKU = io</strong><br/>Dopo aver affrontato le problematiche della <a target="_blank" href="http://imagoaltrove.splinder.com/post/15303710/Dizionario%3A+A">2a persone singolare</a>, passiamo brevemente in rassegna alcuni modi per parlare in prima persona.<br/>..."Alcuni modi"? Beh, immagino sia ormai chiaro che i giapponesi hanno tanti di quei sistemi per rendere le gerarchie sociali che per un occidentale è impossibile star dietro a tutti! Proponiamo quindi solo una selezione dei pronomi che più si sentono negli anime, con uno scopo semplice: quando vediamo un anime tradotto in italiano e sentiamo parlare in prima persona, dobbiamo renderci conto che, nella traduzione, è inevitabilmente andato perso qualcosa. Purtroppo, non possiamo farci niente...<br/>Domanda: come si può parlare in prima persona?<br/><strong>Per tutti</strong><br/>- Usando il pronome <a target="_blank" href="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Dizionario%20B2%20C/watashi.jpg">watashi</a>: sempre corretto, sempre formale, buono per tutto e per tutti (maschi e femmine, adulti e bambini).<br/>- Per chi vuole far finta di vivere tra samurai e daimyou, c'è anche il più "arcaico" <a target="_blank" href="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Dizionario%20B2%20C/watashi.jpg">watakushi</a>: stesso kanji ma pronuncia leggermente diversa, tanto per dare quel senso di formalità d'altri tempi (negli anime si fa fatica a distinguere i due, dato che il secondo suona un po' come "watakshi")<br/><strong>Per i maschi</strong><br/>- Usando "boku": informale ma non troppo, adatto per parlare con persone che si conoscono e volendo sembrare un bravo ragazzo.<br/>- Usando <a target="_blank" href="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Dizionario%20B2%20C/ore.jpg">ore</a>: è molto poco formale (eufemismo) e manifesta un atteggiamento sprezzante e a volte un po' maleducato... tra l'altro nel gergo della Yakuza (la solita mafia giapponese) si tende parlando a sottolineare le R, quindi questo pronome si presta bene all'uso.<br/><strong>Per le femmine</strong><br/>- Usando <a target="_blank" href="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Dizionario%20B2%20C/atashi.jpg">atashi</a>, cioè il corrispettivo al femminile di "boku". Fa molto carino ed educato.<br/>- Usando "ore", sapendo però che una ragazza che usa questo pronome risulterà maleducata, grezza, o semplicemente un maschiaccio.<br/>- Usando il proprio nome: si tratta di un uso molto infantile ed è adottato dalle ragazzine che vogliono sembrare "kawaii" (= carine; Hello Kitty è l'esempio per antonomasia di "kawaii"). Sperimentiamone l'uso sul nick di una delle boss del blog, Utopia: siccome è tutta gentile e adorabile, in giapponese non direbbe "<em>adesso vado a fare la spesa</em>" (con "watashi" o "atashi"), ma "<em>adesso Uto-chan va a fare la spesa! ^__^</em>"<br/>Insomma, più o meno...<br/><strong> Esempi</strong><br/>1. Educato e gentile, Honey di <em>Host Club</em> non è sempre stato così dolcettoso... nel suo passato aleggia lo spettro di un tentativo di "ingrezzimento", a cominciare <a href="http://www.youtube.com/watch?v=hpoPL9Jv4J0" target="_blank">col cambio del pronome</a> da usare...<br/>2. Asumu, protagonista del delicato <em>Zettai Shounen</em><a href="post/20545584/#bc2"><sup>2</sup></a>, viene dalla città: in un paesino di montagna i suoi modi di fare, garbati e un po' infantili, vengono subito derisi trasformando il suo uso di <em>boku</em> <a href="http://www.youtube.com/watch?v=uVj7gxOncCw" target="_blank">in un soprannome</a>.<br/><br/><hr width="100%" size="2" /><br/><strong><br/><img align="cssLeft" alt="" style="margin: 0pt 10px 10px 0pt; float: left;" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Dizionario%20B2%20C/chara.jpg" /></strong><strong>CHARACTER DESIGN (CHARA)</strong><br/>E' quella parte del lavoro che consiste nello studio grafico e nella caratterizzazione, in parte anche psicologica, dei personaggi della storia creati dall'autore (cit. <a target="_blank" href="http://it.wikipedia.org/wiki/Character_design">Wikipedia</a>).<br/>Non è da confondersi coi bozzetti preparatori di un personaggio: la fisionomia e i modi di fare del soggetto sono già chiari al character designer, che si occupa di definire "solo" l'aspetto del personaggio e la sua espressività da vari punti di vista o concentrandosi su alcuni dettagli.<br/>Quando in gergo, quindi, si parla di "chara" dei personaggi, ci si riferisce proprio alla loro resa grafica e a come in questa si riconoscono le loro caratteristiche psicologiche.<br/>Nei manga il character designer in genere coincide col mangaka (se questo non è abbastanza famoso da avere un suo studio ben fornito di assistenti o se ci tiene ad avere pieno controllo sui suoi protagonisti), mentre per gli anime esiste una figura professionale autonoma che, come per i curatori dei fondali o per gli esperti di computer grafica, si occupa principalmente del "chara" dei personaggi.<br/><strong>Esempio</strong><br/>Un esempio illustre ci viene dallo splendido illustration book <em>L'arte di Il castello errante di Howl</em> <a href="post/20545584/#bc3"><sup>3</sup></a>, che raccoglie immagini dallo story board, bozzetti, chara, fondali e immagini dal film che ha dato piena fama internazionale al maestro dell'animazione giapponese Hayao Miyazaki.<br/>Sfogliando il libro è possibile mettere a confronto l'evoluzione del protagonista dalla sua nascita alla sua dimensione animata: nello <a target="_blank" href="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Dizionario%20B2%20C/Howl-storyboard.jpg">story board</a> di Miyazaki, nei <a target="_blank" href="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Dizionario%20B2%20C/Howl-bozzetto.jpg">bozzetti preparatori</a> curati dallo staff, nel <a target="_blank" href="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Dizionario%20B2%20C/Howl-chara.jpg">chara</a> (opera dei supervisori all'animazione Akihiko Yamashita e Takeshi Inamura) e infine nelle immagini direttamente tratte dal <a target="_blank" href="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Dizionario%20B2%20C/Howl-film.jpg">film</a>.<br/><br/><strong><img align="cssLeft" alt="" style="margin: 0pt 10px 10px 0pt; float: left;" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Dizionario%20B2%20C/chibi.jpg" />CHIBI = nano, bambino</strong><br/>"Chibi" (letto cibi) in giapponese significa nano, bambino. Viene usato con entrambi i significati negli anime e nei manga, da solo o fuso col nome del personaggio, principalmente con due accezioni:<br/>- può venir usato sottolineandone la componente sarcastica e diventando nella traduzione "nanerottolo, bimbetto";<br/>- oppure, con un utilizzo legato alle tecniche di raffigurazione dei personaggi, definisce la versione "bambina" dei protagonisti di un anime o un manga. Con "Ranma-chibi" si intende per esempio il disegno di Ranma da bambino (spesso sono i fan a dedicarsi a quest'opera di "riduzione", con risultati <a target="_blank" href="http://fc01.deviantart.com/fs11/i/2006/243/6/b/wallpaper_SD_Saint_Seiya_by_aparadoxal.jpg">estremamente kawaii</a>).<br/><strong>Esempio</strong><br/>I casi in cui viene usato questo appellativo sono infiniti quanto le serie animate o illustrate, ma uno di questi merita di essere portato all'attenzione del pubblico di ImAl (per la serie, mai ci stuferemo di scoprire come Mediaset abbia ucciso l'animazione giapponese): mai sentito parlare di Chibiusa (per la cronaca, la ragazzina rompi*** che Bunny/Sailor Moon<a href="post/20545584/#bc4"><sup>4</sup></a> si trova tra i piedi)? E se vi dicessi che il suo nome si dovrebbe pronunciare "cibiusa", e che il nome originale di Bunny è Usagi (che vuol dire tra l'altro "coniglio")?<br/>Ai bambini giapponesi deve essere sembrato subito chiaro, sentendo i nomi, quello che ora vado a spiegarvi: Chibiusa è il nome della piccola ("chibi") Usagi (la bambina infatti viene dal futuro ed è la figlia di Bunny/Usagi).<br/>In versione Sailor, poi, l'italiano "Sailor Chibiusa" non ha certamente lo stesso impatto dell'originale "Sailor Chibimoon"... in questo secondo caso infatti si corre su più piani di interpretazione (immediatamente colti dal bambino giapponese, che in questi giochini ci sguazza): Chibimoon può essere letto come abbreviazione di "Sailor Chibiusa-Moon", ma anche come "Sailor Moon da bambina" e "Sailor Moon in versione nanerottola".<br/>Per dovere di cronaca, se nella serie animata l'errore è sotto gli occhi di tutti, negli OAV (arrivati anche in Italia) i nomi originali dei protagonisti sono stati lasciati e la lettura del nome della piccola peste è quindi corretta.<br/><br/><strong><img align="cssLeft" alt="" style="margin: 0pt 10px 10px 0pt; float: left;" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Dizionario%20B2%20C/cosplay.jpg" />COSPLAY = <em>costume play</em>, cioè recitare in costume</strong><br/>Non c'è proprio molto da aggiungere al <a target="_blank" href="http://imagoaltrove.splinder.com/post/17342559/Vita+da+cosplayer - Vita da Cosplayer">lavoro di Doni1983</a> pubblicato su questo blog.<br/>Mi limito a sottolineare come, in Giappone, la componente "tu SEI il tuo personaggio" sia marcatamente più accentuata che da noi (d'altronde fa parte della loro cultura - proprio cultura! - da molto più tempo che per noi).<br/>Inoltre, se in un anime o un manga uno veste stranamente, la prima cosa che dice chi lo guarda è "cos'è, un cosplay?!" allo stesso modo in cui noi diciamo "ma è carnevale?!" Ciò che differenzia le due espressioni è che dietro al termine "carnevale" noi ci leggiamo solo un'idea di stramberia, mentre dietro a "cosplay" inevitabilmente c'è anche la parola "otaku", con tutto il background che questa si porta dietro.<br/><strong>Esempi</strong><br/>1. Oltre alle numerose citazioni praticamente in ogni anime o manga, esistono prodotti che proprio del cosplay parlano, come l'anime <em>Cosplay complex</em><a href="20545584/#bc5"><sup>5</sup></a> o il manga <em>Cosplay animal</em><a href="post/20545584/#bc6"><sup>6</sup></a> (dove protagonista è la tipica divisa alla marinara).<br/>2. Otaku fissata col cosplay (e con qualsiasi cosa sia otakuesca) è Renge, di <em>Host Club</em>, che non può esimersi dal fare cosplay neanche in piscina con gli amici: ecco Renge "<a target="_blank" href="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Dizionario%20B2%20C/renge.jpg">normale</a>" (il vestito anomalo è la divisa femminile dell'Ouran), Renge "<a target="_blank" href="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Dizionario%20B2%20C/vlcsnap-1915.png">Quon Kisaragi</a>" ( enigmatica protagonista di <em>RahXephon</em><a href="post/20545584/#bc7"><sup>7</sup></a>) e le due "<a target="_blank" href="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Dizionario%20B2%20C/vlcsnap-2236.png">insieme</a>" nella mente della cosplayer. Nei commenti il video della comparsata cosplay e un paio di spiegazioni per i non addetti ai lavori!<br/><br/><hr width="100%" size="2" /><br/><strong><br/>NOTE</strong><br/><font size="1"><br/><a name="bc1"><sup>1</sup></a> <em>Kimagure Orange Road</em>, di Izumi Matsumoto. Manga edito in Italia dalla Starcomics; anime di 48 episodi trasmesso da varie reti italiane col titolo <em>E' quasi magia Johnny</em>.<br/><a name="bc2"><sup>2</sup></a> <em>Zettai Shounen</em>, di Tomomi Machizuki. Anime di 26 episodi recuperabile sottotitolato in italiano.<br/><a name="bc3"><sup>3</sup></a> <em>L'arte di Il Castello errante di Howl</em>, di Hayao Miyazaki, Panini Comics, 2006.<br/><a name="bc4"><sup>4</sup></a> <em>Bishoujo senshi Sailor Moon</em>, di Naoko Takeuchi. Manga edito in Italia dalla Star Comics, anime e oav trasmessi da varie reti italiane col titolo <em>Sailor Moon</em>.<br/><a name="bc5"><sup>5</sup></a> <em>Cosplay Complex</em>, di Shinichiro Kimura. Miniserie da 3 oav recuperabile sottotitolata in italiano.<br/><a name="bc6"><sup>6</sup></a> <em>Cosplay Animal</em>, di Sako Watari. Manga edito in Italia dalla Star Comics, tuttora in corso.<br/><a name="bc7"><sup>7</sup></a> <em>RahXephon</em>, di Takeaki Momose. Manga di 3 volumi edito in Italia dalla Planet Manga, anime di 26 apisodi (+ un oav + un film) i cui diritti sono stati acquistati all'epoca dalla Shin Vision, fallita nel 2008 dopo aver dato alla luce solo 2 su 9 dvd. Ora il tutto dovrebbe essere passato alla ExaCinema/FoolFrame, che però pare non essere intenzionata a portare avanti il progetto, quantomeno a breve. Risultato? La serie con audio giapponese e sottotitolata dai fansubbers è stata ritirata e quindi è introvabile (sempre che qualche anima pia che conoscete non l'abbia recuperata all'epoca), e per la serie italiana siamo in alto mare...<br/>Per gli altri titoli citati ma non segnalati in questa nota, si fa riferimento alle voci precedenti del dizionario.</font><br/><br/>Copyright di immagini e video degli aventi diritto; un ringraziamento va anche ai vari gruppi di fansubbers che diffondono in Italia le novità giapponesi.<br/><br/>Argomenti correlati: <a href="http://imagoaltrove.splinder.com/post/11583558/Dizionario%3A+1-10" target="_blank">Dizionario: 1-10</a>, <a href="http://imagoaltrove.splinder.com/post/15303710/Dizionario%3A+A" target="_blank">Dizionario: A</a>, <a target="_blank" href="http://imagoaltrove.splinder.com/post/16822508">Dizionario: B (1)</a>ImagoAltrovehttp://www.blogger.com/profile/14725579928464469991noreply@blogger.com22tag:blogger.com,1999:blog-4270418888591832432.post-86388099682072119212009-03-03T09:34:00.000+01:002011-11-30T19:13:38.916+01:00Slam Dunk: quando è il disegno a fare la differenza (per me)<div align="justify">1991. <em>Weekly Shounen Jump</em> comincia a pubblicare Slam Dunk, il manga del talentuoso Takehiko Inoue per la prima volta alle prese con una storia lunga.<br/>1993. <em>Tv Asahi</em> trasmette il primo di 101 episodi della versione animata del nostro manga.<br/>1997. La <em>Planet Manga</em> adocchia il titolo e lo porta in Italia in volumetti con paginazione dimezzata rispetto ai tankoubon originali, 62 numeri al posto di 31, l'ultimo dei quali uscirà nell'estate del 2000.<br/>2000. In autunno la programmazione dell'Anime Night di <em>Mtv</em> si arrichisce dell'anime <em>Slam Dunk</em>, cavalcando l'onda di un successo inaspettato.<br/><br/>Slam Dunk è famosissimo. Difficile che chi ha a che fare coi manga (anche solo marginalmente) non lo conosca, ma soprattutto impossibile che chi segue Mtv non l'abbia incrociato (o 7Gold e GXT che l'hanno riproposto): l'anime ha riscosso un successo se possibile ancor maggiore del manga, a riprova - semmai servisse - della forza del mezzo televisivo.<br/><br/><img width="200" height="280" align="cssLeft" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Slam%20Dunk/s106.jpg" alt="Shohoku" style="margin: 0pt 10px 10px 0pt; float: left;" /><strong>Trama</strong>: una squadra di basket composta unicamente da pazzi scatenati tenta la scalata al torneo nazionale, "capitanata" simbolicamente (anche perchè è l'ultima delle riserve) dal più scatenato di tutti, Hanamichi Sakuragi. Partita dopo partita, non solo Hanamichi scoprirà di poter rendersi utile, ma anche i suoi compagni di squadra inizieranno a credere fermamente nell'impresa, che può riuscire solo con la collaborazione di tutti.<br/>Un po' stringata? Accontentatevi: storia, personaggi e quant'altro li trovate sulla <a target="_blank" href="http://it.wikipedia.org/wiki/Slam_Dunk">Wikipedia</a>; il mio scopo ora è quello di tentare una "recensione" un po' critica dell'opera, ma soprattutto di paragonare l'edizione cartacea a quella animata, possibilmente spingendo i fruitori della seconda tra le pagine della prima (no, la Planet Manga non mi paga per farlo).<br/><br/><br/><strong>IL MANGA</strong><br/><br/>Ci sono vari fattori che mi fanno amare il manga di Slam Dunk, ma direi che i principali sono:<br/>- è il primo manga che ho letto<br/>- è disegnato da dio.<br/>E i due fattori sono collegati, perchè me l'hanno prestato dopo aver notato che mi piaceva disegnare.<br/>Poi ho amato la storia, i personaggi... potrei dire qualcosa su ognuno di loro (Hisashi Mitsui in testa!) e magari prima o poi lo farò, ma al momento è altro che mi preme maggiormente trattare.<br/><br/>Sto sfogliando il manga, e vedo quant'è ancora acerbo il tratto di Inoue.<br/>Siamo nei primissimi anni '90 e il mangaka fino a quel momento aveva creato solo storie brevi<a href="post/19981261/#SD1"><sup>1</sup></a>, quindi certe pecche a Slam Dunk si possono tranquillamente perdonare: ombre scarse o assenti, la definizione delle pieghe degli abiti e delle "sporgenze" del corpo affidata ai soli tratti di penna e per la profondità ci sono i sempiterni retini ("pecche", poi... molti manga si appoggiano unicamente su queste tecniche). Eppure il suo disegno mi ha colpito fin da subito: per la precisione dei dettagli, per la scelta di disegnare realisticamente volti, corpi, movimenti... scelta assolutamente non scontata, anche se si parla di sport: tutti abbiamo presente l'assurdità di certe pose in notissimi prodotti su calcio, pallavolo, tennis (devo fare sul serio dei titoli o vi sono venuti in mente immediatamente, neanche fosse un caso di imprinting?).<br/>Il Dottor T. invece (come si definisce lo stesso Inoue in alcune brevi comparse nella storia) il basket ce lo insegna sul serio: tendendo i muscoli dei suoi personaggi quando saltano, immortalando rivoli di sudore e smorfie di stanchezza, posizionando correttamente le mani sul pallone per un tiro libero (pallone che non si deforma, eh! Occhio che questo non è un dettaglio da poco!).<br/>Inoue comunque non rinuncia certo alle classiche "storipiature" delle fattezze dei personaggi, ma lo fa con uno scopo preciso: essendo un'opera su giovani liceali teppisti e fuori di testa, il maestro fa largo uso del Super Deformed (alcuni esempi nelle immagini poco sotto), tecnica da sempre usata per sottolineare idiozia, ironicità, sottintesi e personalità nascoste. Eppure anche il Super Deformed va via via diminuendo con l'avanzare della storia e la crescita dei personaggi.<br/>E insieme ai suoi ragazzi, anche Inoue cresce. Ce lo dimostra a modo suo, nei disegni: le tavole a colori degli ultimi numeri (che purtroppo sono in bianco e nero nel manga e si trovano in versione originale solo nell'<em>Illustration Book</em><a href="post/19981261/#SD2"><sup>2</sup></a>, forse in <em>Slam Dunk Deluxe</em><a href="post/19981261/#SD3"><sup>3</sup></a>) offrono un flash sulla maestria del sensei con pennello, pennarello, pastello o china: Inoue adora giocare col chiaroscuro, sempre contrastatissimo, e mischiare le tecniche classiche del manga - china e retini - a strumenti inusuali<a href="post/19981261/#SD4"><sup>4</sup></a>.<br/>Vi faccio un paio di esempi, così spezzate la lettura con qualche immagine:<br/><br/><img align="cssLeft" style="margin: 0pt 10px 10px 0pt; float: left;" alt="Hanamichi e Kaede" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Slam%20Dunk/duodoppia.jpg" /><em>Kaede Rukawa e Hanamichi Sakuragi esultano dopo l'unico caso di collaborazione volontaria tra i due eterni rivali.</em><br/>La <a target="_blank" href="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Slam%20Dunk/duo.jpg">tavola originale</a> a colori è realizzata a pastello; inevitabilmente se ne perde la forza cromatica nell'<a target="_blank" href="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Slam%20Dunk/duobn.jpg">edizione del manga</a>, dove il rosso acceso delle divise (e dei capelli di Hanamichi) si perde in un bicromatico chiaroscuro, ma nulla viene comunque tolto alla forza emotiva dell'immagine, riassunto di rabbia, stanchezza, velocità e gioia. Adoro Inoue.<br/><br/><img align="cssRight" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Slam%20Dunk/tuttidoppia.jpg" alt="Foto di gruppo" style="margin: 0pt 0pt 10px 10px; float: right;" /> <em>Foto di gruppo per tutto il team dello Shohoku, supporters compresi.<br/></em>L'allegria dell'occasione in cui la foto viene scattata (non vi anticipo nulla, leggete il manga, anche perchè nell'anime questo momento manca) è tutta presente nelle ampie chiazze di colore fortemente chiaroscurate della <a target="_blank" href="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Slam%20Dunk/tutti.jpg">tavola originale</a>. Purtroppo <a target="_blank" href="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Slam%20Dunk/tuttibn.jpg">in bianco e nero</a> l'effetto non è altrettanto d'impatto: i rossi e i blu si fondono inevitabilmente in aree scure e mal definite... La tavola e il momento per il quale è stata realizzata mantengono comunque un fascino particolare e gli amanti del manga non possono non trovare, dietro l'espressione di ogni personaggio, tutte le motivazioni che l'hanno spinto fino a quel punto.<br/><br/>Insomma, siamo agli albori del realismo che in <em>Real</em><a href="post/19981261/#SD5"><sup>5</sup></a> e <em>Vagabond</em><a href="post/19981261/#SD6"><sup>6</sup></a> (con tecniche molto diverse) vediamo portato su carta. E sto solo parlando di realizzazione grafica, eh. E di un prodotto - ripeto - acerbo e in molte parti immaturo.<br/>Non mi spingo a parlare della storia o dei protagonisti perchè lo scopo di queste righe è principalmente il paragone con l'anime: l'anime infatti segue la storia abbastanza fedelmente, a parte alcuni inserti per dare un tocco shoujo o alcuni passaggi - francamente inutili - che semplicemente accentuano l'aspetto demenziale dell'opera. Ah, e l'anime non si conclude. Insomma, non avrebbe senso fare un paragone sul lato della narrazione.<br/><br/><br/><strong>L'ANIME</strong><br/><br/>Beh, e allora parliamone, di quello schifo di anime (non ho mezze misure, lo so...).<br/><br/><a target="_blank" href="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Slam%20Dunk/1.jpg"><img align="cssLeft" style="margin: 0pt 10px 10px 0pt; float: left;" alt="1" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Slam%20Dunk/1mini.jpg" /></a> <a target="_blank" href="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Slam%20Dunk/2.jpg"><img align="cssLeft" style="margin: 0pt 10px 10px 0pt; float: left;" alt="2" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Slam%20Dunk/2mini.jpg" /></a> <a target="_blank" href="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Slam%20Dunk/3.jpg"><img align="cssLeft" style="margin: 0pt 10px 10px 0pt; float: left;" alt="3" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Slam%20Dunk/3mini.jpg" /></a>Sempre per spezzare, vi offro un paio di scansioni dal manga (sono pagine consecutive che raccontano un particolare "difetto" di Hanamichi; ricordo che i balloon dei manga si leggono da destra a sinistra e dal basso in alto) che potrete leggere e poi paragonare col <a href="http://it.youtube.com/watch?v=S65z-iV1TR8" target="_blank">video</a> dell'episodio corrispondente.<br/><br/>Fate i vostri debiti paragoni e forse potrete intuire da soli la risposta alla seguente domanda: <strong>perchè l'anime è un prodotto pessimo, secondo la sottoscritta?<br/></strong> <br/>Ecco le mie risposte:<br/>- <strong>Perchè</strong> ha un chara obbrobrioso, che niente c'azzecca con l'ottima prova del sensei Inoue: i personaggi risultano sproporzionati e scoordinati, il colore assurdo (il "rosa" degli incarnati è inumano oltre che piatto e bidimensionale) e gli sfondi sono semplificati a delle banalissime immagini standard;<br/>- <strong>Perchè</strong> si è voluto caricaturare i personaggi nei loro modi di fare, parlare, agire, si nota chiaramente dal paragone manga/filmato. Un esempio a caso per chi conosce la serie: evidentemente gli adattatori hanno pensato che la strafottenza di Kaede Rukawa non venisse sufficientemente resa da Inoue, che sceglie per lui un modo di fare silenzioso e arrogante soprattutto nei confronti di Hanamichi (Inoue gioca tutto su piccoli balloon via di mezzo tra frasi sussurrate e pensieri inespressi: "tanto sbagli", "idiota" etc.); nell'anime parla veramente un po' troppo, e con quel doppiaggio che mi fa accapponare la pelle l'effetto finale è di caricatura eccessiva del suo disprezzo per il protagonista. Già non è un personaggio simpatico, così poi...<br/>- <strong>Perchè</strong> il doppiaggio italiano, come appena accennato, è vergognoso. E per la scelta delle voci (cavolo, ma Rukawa ha 15 anni! Avete mai sentito un 15'enne parlare come mio nonno?), e per il continuo farsetto cui nessuno dei personaggi pare immune (in pochi minuti di video praticamente solo Akagi non parla in maniera idiota), e per la traduzione (volgare, esagerata, forzata per non so quale motivo: neanche anime ben più pesanti, con protagonista magari la yakuza, arriverebbero a espressioni tanto idiote e/o eccessive);<br/>- <strong>Perchè</strong> praticamente è la brutta copia del manga, creato per cavalcare l'onda di personaggi amatissimi in patria e all'estero: l'aggiunta di pezzi più shoujo e la mano pesantissima sulla demenzialità sono la prova lampante della ricerca di consenso tra tutte le fasce pubblico. Un prodotto di cui non sentivo il bisogno, sinceramente, e forse anche in Giappone a un certo punto è stato così, dato che l'anime si ferma alla qualificazione per i campionati nazionali mentre il manga va ben oltre (risparmiandoci in effetti il pessimo adattamento delle tavole di cui vi ho offerto le scansioni più sopra).<br/><br/>In conclusione... lo so, lo so: i fan dell'anime di Slam Dunk sono veramente tanti, molti hanno cominciato a leggere il manga dopo aver visto l'anime e ringraziano Mtv per aver permesso loro questa piacevole scoperta... eppure non mi capacito del fervore con cui difendono un prodotto scadente che dalla sua non ha neanche la scusa dell'età (molti anime contemporanei e precedenti Slam Dunk lo doppiano di brutto a qualità).<br/>Sentirmi rispondere "mi piace perchè fa ridere" non mi aiuta certo a capire... il manga è ben più ironico... ma magari c'è chi ride se scrivo "caccapupù caccapupù", eh.<br/>Però sono comunque una persona di larghe vedute, se qualcuno trova modo di ribaltare le mie tesi ben venga. A voi!<br/><br/></div><br/><hr width="100%" size="2" align="justify" /><br/><div align="justify"> <br/><strong>NOTE</strong><br/><br/><font size="1"><a name="SD1"><sup>1</sup></a> Storie brevi dalle quali tra l'altro pesca alcune idee (usanza per nulla rara tra i mangaka), come il personaggio di Kaede da <em>Kaede Purple</em> (1988), somigliante solo per nome e aspetto al Kaede Rukawa di Slam Dunk.</font> <br/><font size="1"><a name="SD2"><sup>2</sup></a> <em>Slam Dunk Illustration Book</em>, edito in Italia dalla Planet Manga.</font><br/><font size="1"><a name="SD3"><sup>3</sup></a> Il successo di Slam Dunk ha spinto la Planet Manga a riproporlo prima in una collection di 31 numeri (come i tankoubon originali) e poi in un'edizione "di lusso": formato più grande, carta più spessa, sovracoperta, prezzo proibitivo, per citare alcune novità. Chissà come mai la Deluxe pare non aver avuto molto successo, tanto che al momento la pubblicazione sembra sospesa e rimandata a data da destinarsi... credo quindi ignoreremo per un pezzo come realizzeranno le tavole prese ad esempio in questo articolo.</font><br/><font size="1"><a name="SD4"><sup>4</sup></a> Solo un accenno al manga <em>Buzzer Beater</em>, realizzato dal mangaka originariamente per il web e poi pubblicato - in un formato anomalo peraltro - su carta. Nel primo numero dell'edizione italiana (by Planet Manga) si legge in seconda di copertina: "[...] Il mio tratto a un certo punto è cambiato (dal 9° capitolo, n.d.Miz.), perchè mi sono slogato l'indice della mano mentre stavo giocando a pallacanestro. Allora ho iniziato a usare il pennarello, potendo così disegnare senza premere troppo. Poi mi sono reso conto che le linee realizzate dopo questo infortunio si vedevano meglio sullo schermo".</font><br/><font size="1"><a name="SD5"><sup>5</sup></a> <em>Real</em>, manga edito in Italia dalla Planet Manga (serie in corso con periodicità biblica).</font><br/><font size="1"><a name="SD6"><sup>6</sup></a> <em>Vagabond</em>, manga edito in Italia dalla Planet Manga (serie in corso).<br/></font></div>ImagoAltrovehttp://www.blogger.com/profile/14725579928464469991noreply@blogger.com7tag:blogger.com,1999:blog-4270418888591832432.post-55146216530669521832009-02-06T11:23:00.000+01:002011-11-30T20:23:21.515+01:00Looney Tunes & Merrie Melodies<div align="justify"><img align="cssLeft" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/syrith/duffybugswb3.jpg" style="margin: 0pt 10px 10px 0pt; float: left;" alt="" />Nati dalla matita e dalla penna di Harman e Ising, i Looney Tunes e le Merrie Melodies rappresentano una colonna portante della storia della Warner Bros, in quanto è il prodotto più longevo e duraturo in quegli anni, secondo solo alle serie prodotte dagli studi Disney. Non a caso, i due scenografi che diedero vita al primo lungometraggio animato della Warner, <em>Sinkin' in the bathtub</em> (1930), venivano dagli studi Disney, dove avevano collaborato al progetto <em>Alice Comedies</em>; dal 1933 in poi, Ising e Harman passarono agli studio della MGM , mentre le Merrie Melodies e i Looney Tunes rimasero sotto il marchio della alla Warner Bros, continuando a riscuotere il successo meritato nel susseguirsi degli anni.<br/>Con l'introduzione del colore, le Merrie Melodies fecero un gran passo in avanti, abbandonando per strada il progetto iniziale di promuovere le canzoni dei film Warner, fino ad unirsi ai Looney Tunes.<br/>A partire dal 1930 fino agli inizi del 1940, la maggior parte delle puntate della serie ha come protagonista Bosko (divenendo Buddy al passare con la MGM di Ising e Harman), un personaggio nato dalla matita di Ising con tratti caratteristici degli afroamericani. Tale caricatura creò non pochi problemi ai due scenografi; infatti, alcune puntate della serie di Bosko vennero censurate dalla United Artists, in quanto offendevano appunto la sensibilità di quegli spettatori di colore, nonostante sia Ising che Harman negavano che Bosko fosse una loro caricatura.<br/>Bosko non fu l'unico personaggio a prendere vita in quegli anni; a quel periodo appartengono anche Honey, la sua fidanzata, e Bruno, un cane che lo accompagnava ad ogni suo avventura. Al passaggio con la MGM, e con l'abbandono di Ising e Harman alla produzione delle Merrie Melodies e dei Looney Tunes, nella lavorazione degli episodi vennero introdotti scenografi e registi quali Avery, Jones e Clampett, che produssero e crearono dal 1935 in poi quelle che sarebbero state le pietre miliari dei Looney Toones, tra cui i celeberrimi: Porky Pig, Duffy Duck e, al finire degli anni trenta, Bugs Bunny. <br/><img align="cssCenter" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/syrith/23806228au1.jpg" style="margin: 0px auto 10px; display: block; text-align: center;" alt="" /><strong>Porky Pig</strong> <br/>Porky Pig nacque nell'ambito delle Merrie Melodies, divenendo presto un simbolo di quegli anni tanto da comparire nei titoli di testa e sbarcato in Italia con il nome di <em>Pallino</em>; ha l'aspetto di un maialino ingenuo e credulone, che farfuglia parole senza senso. <br/>Inizialmente, le sue avventure si basavano su canti e balli ma presto si passò a trame più elaborate; col passare degli anni, fu messo in sordina fino a divenire una semplice comparsa nelle storie degli altri personaggi. Non a caso, i primi corti di Duffy Duck e Bugs Bunny, nati entrambi come semplici comparse, avevano come protagonista un Porky Pig in versione cacciatore. <br/><br/><strong> Duffy Duck</strong> <br/>Duffy Duck è un papero nero dal becco arancione e dal collo circondato da una striscia bianca; nacque nel 1936 con Avery, in un cortometraggio in cui vi era anche Porky Pig. Ha un carattere decisamente forte, contraddistinto da un atteggiamento furibondo che salta fuori, il più delle volte, quando viene scambiato per un'anatra, facendolo apparire il personaggio sicuramente più collerico agli occhi degli altri protagonisti. E' spalleggiato il più delle volte da un ingenuo Porky Pig e arriva alla soluzione sempre prima del suo compagno che, pertanto, esce irrimediabilmente sconfitto alla fine di ogni avventura. Altre volte invece lo si vede alle prese con il cacciatore Elmer Fudd o con la sua nemesi, il coniglio Bugs Bunny. <br/>Una curiosità di questo personaggio è che nacque come spalla di Porky Pig, e con il passare del tempo i due ruoli si invertirono per via dell'enorme successo che Duffy Duck ebbe con il pubblico, il quale si immedesimava maggiormente nel personaggio del papero. <br/><br/><strong>Bugs Bunny</strong> <br/>Se nel primo decennio dei Looney Tunes e delle Merrie Melodies, Bosko rendeva la vita difficile a Topolino&C., sul finire degli anni trenta fino alla fine degli anni sessanta, sarà Bugs Bunny il rivale per eccellenza della Walt Disney. Nato nel 1938 come semplice comparsa per il corto <em>Porky's Hare Hunt</em>, in cui Porky Pig personificava un cacciatore e Bugs Bunny era la sua preda, divenne ben presto un efficace sostituto di Duffy Duck che, oramai, era già nell'Olimpo della Warner Bros. <br/>Fu Tex Avery a dare al celeberrimo roditore della Warner la sua odierna personalità nel 1940, in un corto dal titolo <em>A Wild Hare</em> in cui comparve anche il cacciatore Elmer Fudd (conosciuto in Italia con il nome di <em>Taddeo</em>): se Duffy Duck personificava un perdente, colui che le tentava tutte ma poi si vedeva sopraffatto dal suo destino, il <em>“Coniglio”</em> – così chiamato dalla maggior parte dei suoi antagonisti – rappresentava una personalità vincente nell'immaginario del regista Jones; nessuno poteva tenergli testa, sia in termini di intelligenza che di astuzia, facendola in barba agli innumerevoli nemici, i quali si passavano il testimone ad ogni puntata (tra i più famosi ricordiamo: Duffy Duck, Taddeo il cacciatore, Bafforosso Sam). <br/><br/><strong>Taddeo</strong> <br/>Mentre Bugs Bunny e Duffy Duck relegarono in poco tempo Porky Pig a ruoli secondari, Taddeo (o <em>Elmer Fudd</em>) il cacciatore, mise definitivamente da parte il maialino nel ruolo di cacciatore, facendolo divenire di fatto una semplice comparsa o spalla di altri personaggi. Nato un anno prima di Bugs Bunny, divenendo famoso in un corto in cui compare un primo prototipo del suddetto coniglio, è fra le poche personalità umane dei Looney Tunes e ha come unico obiettivo la caccia a Bugs Bunny o a Duffy Duck, fallendo il più delle volte e non portando così a casa la sua tanto desiderata cena. <br/>Nonostante il personaggio sia minore rispetto agli altri, Taddeo rende celebri alcuni degli episondi della Warner; ricordiamo, infatti, il famoso episodio <em>What's Opera, Doc?</em>, in cui Taddeo e Bugs Bunny inscenano un'opera lirica di Wagner che, tra canti e scene ironiche – ricordando la celebre cavalcata delle valchirie rifatta da Taddeo – si conclude con un finale a sorpresa, in cui Bugs Bunny viene ucciso dal suo nemico, chiudendo la puntata con una domanda rivolta al pubblico <em>“Che vi aspettavate in un'opera, il lieto fine?”</em>. Altri episodi degni di nota sono quelli in cui vediamo Taddeo alle prese sia con Duffy Duck che con Bugs Bunny in una famosa trilogia <em>“Stagione del Papero/Stagione del Coniglio”</em> in cui vediamo Bugs Bunny destreggiarsi con maestria tra le trannelli di Duffy e le pallottole di Taddeo, riuscendo infine ad averla vinta. <br/><br/><strong>Silvestro & Titti </strong> <br/>Nati a metà degli anni quaranta dalla matita di McKimison e Jones, Silvestro e Titti rappresentano una delle coppie più prolifiche della televisione. Le vicende dei due sono incentrate principalmente sui tentativi di gatto Silvestro di cacciare il canarino Titti, difeso a spada tratta dalla <em>Nonna</em>, un'anziana signora americana che non ci pensa due volte a prendere ad ombrellate sul capo il felino quando lo sorprende molestare l'uccellino, oppure a mandargli contro, negli episodi più recenti, un bulldog di nome Ettore. <br/>Le avventure richiamano in qualche modo quelle di Tom & Jerry, nonostante siano molto differenti: infatti, nonostante sia Silvestro che Tom siano due gatti pasticcioni, il primo cerca ogni modo, dal rincorrere alla preda al camuffarsi, per raggiungere il suo obbiettivo, mentre il secondo utilizzava alle volte degli stratagemmi, vere e proprie trappole che poi gli si sarebbero rivoltate contro. Jerry è fin da subito noto per la sua furbizia, celata dietro ampi sorrisi; Titti, invece, mostra un'aria ingenua e dolce mentre si rivela fin dal primo momento un pennuto un astuto e furbo. <br/>Degno di nota è un episodio dal titolo "<em>Mi è semblato di vedele un gatto</em>" in quanto richiama la celeberrima frase che Titti recita ogni qualvolta intravede il povero Silvestro: in tale puntata,il goffo gatto, reduce da aver appena mangiato un canarino, le tenta tutte per averla vinta con Titti, fino a farsi sopraffare del tutto quando il canarino chiama in causa il cane Ettore. <br/>In definitiva, Silvestro e Titti rappresentano una coppia effervescente, capace di stupire ad ogni puntata ma il canarino non ha l'esclusiva del suo compagno: in alcuni episodi delle Merrie Melodies & Looney Tunes, si vede Silvestro alle prese anche con Speedy Gonzales. <br/><br/><strong>Willy E. Coyote e Beep Beep</strong> <br/>Mentre in Silvestro e Titti (come nella maggior parte degli altri corti Warner) ascoltiamo ogni tanto dei dialoghi tra il gatto ed il canarino, in questa serie, nata nel 1948 ad opera di Chuck Jones, regna invece il silenzio tra i due protagonisti, interrotto solo dal <em>Beep! Beep!</em> del Road Runner.<br/>Willy E. Coyote, come suggerisce il nome stesso, è un coyote del deserto del Nevada, alle prese con un Road Runner, un uccello molto veloce che ha le sembianze di uno struzzo dalle piume color azzurro che, nella realtà, esiste davvero ed il cui nome scientifico è <em>'Geococcyx Californianus</em>. Anche in tal caso, Beep Beep non è partner fisso per l'altro protagonista: Willy E. Coyote, alcune volte, lo vediamo alle prese anche con Bugs Bunny. <br/>Il coyote utilizza spesso e volentieri svariate trappole, di marchio <em>'ACME'</em> (la società fittizia presente nei vari corti dei Looney Tunes ed usata dai vari personaggi), che, però, puntualmente gli si ritorcono contro; un'altra particolarità della serie è basata sull'uso dei cartelli da parte di Willy: difatti, ogni qualvolta che cade in un crepaccio o gli sta per cadere un masso addosso, il coyote tira fuori dal nulla un cartello con su scritto <em>“Ahi”</em>. <br/><br/><strong>Yosemite Sam</strong> <br/>Nasce dalla matita di Freleng nel 1945 con il nome di <em>Yosemite Sam</em>, nelle vesti di antagonista assoluto di Bugs Bunny. In Italia è conosciuto come <em>'Dinamite Sam'</em> o come <em>'Baffo Rosso'</em>, a causa dei suoi lunghi baffi rossi che quasi toccano terra. <br/>Il personaggio è caratterizzato da statura molto bassa, schiena inarcata e voce urlante, nonché con i suoi caratteristici baffi rossi; inizialmente concepito nelle vesti di cowboy, ricoprì svariati ruoli all'interno dei corti: cavaliere, pirata, cuoco, il tutto per rendere difficile la vita al coniglio che, puntualmente gli metteva i bastoni tra le ruote. <br/>La differenza sostanziale tra Il cowboy Sam e il cacciatore Taddeo sta nel fatto che il primo si presentava agli occhi del pubblico come un farabutto, capace solo di distruggere e far del male, sempre pronto a tirar fuori le sue pistole e sparare, mentre Taddeo si presentava come persona troppo buona e ingenua per tener testa a Bugs Bunny. <br/><br/><strong>Speedy Gonzales</strong> <br/>Nasce nel 1953 da McKimison e Freleng; le sue vicende sono narrate in Messico e sono tutte incentrate su Speedy Gonzales, il topo più veloce del mondo, che ha fra gli antagonisti anche il gatto Silvestro e, successivamente, Duffy Duck. <br/>Veste con un pocho bianco portato con un largo sombrero di paglia; ha il viso tondo e sorridente ed il più delle volte è accompagnato da suo cugino Rodriguez, che è il suo esatto opposto. Come nelle altre accoppiate della Warner – Silvestro e Titti, Willy E Beep Beep – Silvestro e Duffy Duck sono costretti alle umiliazioni più tremende a causa del topo il quale, grazie alla sua velocità, sfugge ad ogni loro trappola. <br/><br/><br/><strong>Considerazioni Finali</strong> <br/><img align="cssLeft" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/syrith/76073792hs5.jpg" style="margin: 0pt 10px 10px 0pt; float: left;" alt="" />Nonostante Looney Tunes e Merrie Melodies fossero molto diversi fra loro ed inizialmente incentrati per lo più su canti e balli (sopratutto quelli della Merrie Melodies), imitando così le due serie della Disney che erano ante qualche anno prima, con l'introduzione del colore, i Looney Tunes e le Merrie Melodies divennero sempre più simili, fino a cancellare quella diversificazione che c'era tra di loro. <br/>Ciò che diversificò i personaggi dei Looney Toones da quelli della Disney, fu la creazione di situazioni surreali in un mondo che però era molto vicino alla vita reale, lasciando invariate le caratteristiche corporali e abitudinarie dei personaggi (come, ad esempio, la naturale caccia di un gatto nei confronti di un uccello), a differenza dei cartoni di zio Walt nei quali le avventure erano ambientate in un mondo totalmente immaginario, che vestiva paperi, cani, gatti e topi, dando loro una personalità umana, case, macchine e un lavoro. <br/>Nei Looney Tunes, invece, non notiamo questa totale umanizzazione dell'animale: ad esempio, nonostante Bugs Bunny abbia un intelletto sopraffino, conserva ancora le caratteristiche peculiari di un coniglio (scavare buche, mangiare carote, velocità) e non indossa vestiti; inoltre, la maggior parte dei nemici che incontra sono umani. <br/>In più la maggior parte delle storie si basano, oltre su vere e proprie trame create dai vari registi della Warne Bros (da Avery a McKimison a Jones), anche su favole, fiabe e racconti celebri (come ad esempio le favole dei Fratelli Grimm di Andersen o le parodie su Robin Hood), dando così alle varie trame, oltre un senso ironico, anche una vena culturale. <br/>Non a caso, nonostante siano passati quasi 80 anni da quel lontano 1930 in cui Ising e Harman hanno messo piede alla Warner dando vita a queste due serie di cartoni, esse sono rimaste intramontabili e indimenticabili nelle menti di passate generazioni, restando nei loro cuori e conquistando quelli delle nuove generazioni.<br/><img align="cssCenter" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/syrith/gruppo1qf0.jpg" style="margin: 0px auto 10px; display: block; text-align: center;" alt="" /><font size="1"><em>Da sinistra verso destra: Garlo, Willy E Coyote, RoadRunner, Pepé Le Pew, Bugs Bunny, Duffy Duck, Speedy Gonzalez, Porky Pig, Elmer Fudd, Yosemite Sam, Titti & Silvestro.</em></font></div>ImagoAltrovehttp://www.blogger.com/profile/14725579928464469991noreply@blogger.com7tag:blogger.com,1999:blog-4270418888591832432.post-70971287168251906352008-12-19T12:04:00.000+01:002011-11-30T19:48:39.516+01:00Ci siamo, ci siamo...... Non preoccupatevi: ImagoAltrove c'è ancora!<br/>E' stato un periodo di impegni intensi per tutti i membri, ma torneremo presto!<br/>Nel frattempo, vi auguriamo buone feste!<br/><br/><img style="DISPLAY: block; MARGIN: 0px auto 10px; TEXT-ALIGN: center" alt="" src="http://i218.photobucket.com/albums/cc102/utopia3585/simpsonnatale1.jpg" /><br/><p align="right"><br/><u><em>Lo staff di ImagoAltrove.</em></u></p>ImagoAltrovehttp://www.blogger.com/profile/14725579928464469991noreply@blogger.com7tag:blogger.com,1999:blog-4270418888591832432.post-56664010960794252592008-07-31T14:33:00.000+02:002011-11-30T20:13:13.745+01:00Biancaneve e i Sette NaniNella concezione moderna del Cinema d’animazione, Walt Disney è sinonimo di banalità e di prodotto edulcorato da svendere ad un pubblico ben preciso (quello dei più piccoli), senza la volontà di aggiornarsi e di esprimere l’arte del disegno animato per esondare le dighe della produzione commerciale. Tralasciando il fatto che ciò è comunque abbastanza discutibile, specialmente se si prende in considerazione quella fase intermedia, collocabile negli anni novanta - da <em>Il Re Leone</em> a <em>Il gobbo di Nôtre Dame</em>, passando per <em>Pocahontas </em>- immediatamente precedente rispetto all’avvento del digitale e del disegno al computer, il quale ha distolto l’attenzione dai contenuti per concentrarla sulle incredibili potenzialità del nuovo mezzo tecnico, può dirsi che così facendo si rinnegano completamente gran parte delle radici mitiche della narrativa moderna, costruita, come si sa, anche sull’evoluzione della fiaba. Infatti la maggior parte dei capolavori targati Walt Disney sono letteralmente modellati su questo archetipo letterario. <br/>A cominciare da <em>SnowWhite and the Seven Dwarfs</em> (<em>Biancaneve e i Sette nani</em>), del 1937, primo lungometraggio del colosso dell’animazione, a cui prese parte attivamente lo stesso Walt Disney, i legami indissolubili al mondo della fiabe, delle leggende e di molta narrativa tramandata spesso oralmente, in forza delle credenze popolari, del fascino ancestrale della leggenda e del potere che esse hanno sempre avuto sui popoli emergono diffusamente, sotto molteplici aspetti. <br/>La trama, a ben vedere, è effettivamente tratta da una celebre fiaba del fratelli Grimm e narra - con l’aggiunta di un finale romantico e per questo, molto spesso, anche maggiormente disprezzato - delle vicissitudini della giovane Biancaneve, principessa bella e bistrattata dalla perfida regina Grimilde, invidiosa della sua grazia e per questo spinta a commissionarne l’uccisione ad un cacciatore, il quale, frenato dalla sua coscienza proprio sul punto di commettere l’omicidio, consente alla sua vittima di fuggire e di rifugiarsi in un bosco, nel quale farà la conoscenza di sette nani minatori che le offriranno protezione tentando di nasconderla alla malvagia sovrana. <br/>Ad un’analisi puramente superficiale, in realtà, <em>Biancaneve </em>potrebbe apparire come un manieristico, seppur magnificamente riuscito, esercizio di stile. Ed effettivamente è proprio intorno ad uno stile fin da subito estremamente peculiare che quest’opera fa perno. Si è già detto molto, in <a target="_blank" href="http://imagoaltrove.splinder.com/post/15700206/">questo</a> post, circa l’introduzione delle <em>Silly Simphonies</em> nell’ambito delle serie animate disneyane, ma soprattutto riguardo al loro ruolo di innovazione stilistica, di espressione da un lato manieristica, dall’altro, invece, vero e proprio mezzo di rivoluzione contenutistica, che fuggisse dalla realtà – sempre e comunque carica(turizza)ta – di Topolino, per andare a raffigurare un Mondo mai esistito, ma che rispecchiasse le tensioni e i desideri repressi nella coscienza collettiva di una società scontenta ed imperfetta. Ecco, <em>Biancaneve </em>parte proprio da qui. Dalla trasposizione in lungometraggio, da un insistere più professionale, se vogliamo, a seguito delle numerose sperimentazioni nelle serie ad episodi, di questo modello di film d’animazione. Un cinema del disegno che rifugga la realtà per rappresentarne una idealizzata.<br/>Perciò non può esistere modo migliore che quello di prendere spunto dalla fiabe e dalle favole popolari.<br/><div align="center"><img alt="" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/richmond/c22d052cef1247ca32c6f2f82289c1e1.jpg" /><br/></div><br/>Fin dall’impianto stilistico di questo film, è evidente come Walt Disney abbia curato con estrema puntualità il rapporto fra idea e materialità, fra concetto astratto e rappresentazione della fisicità. Nulla è certo in <em>Snow White</em>, ma ogni elemento pare poggiare su un terreno fragile e quasi vacuo, in cui il tratto marcato cede il posto ad un relativismo formale difficilmente riscontrabile, comunque, nei lavori che seguiranno questo esordio disneyano nel lungometraggio. Seppur la fiaba rimanga, per buona parte della filmografia di Walt Disney e dei suoi “discendenti”, il fulcro della poetica della scuola d’animazione di Burbanck, comunque <em>Biancaneve e i Sette nani</em> è il film che meglio amplifica questi concetti di idealizzazione d’ogni elemento filmico compreso nel disegno, tanto da dilatarli all’inverosimile.<br/><em>Pinocchio </em>rinuncerà ad attenersi fedelmente al libro originale, continuerà a riferirsi con espliciti rimandi alla mitologia nordica, in ossequio proprio al legame con il mondo fiabesco, ma tenderà, tuttavia, a concentrarsi con estrema solerzia sulla caratterizzazione del personaggi, sulla loro evoluzione, perfino sulla loro peculiare visione di quel mondo inventato. Cosa che in <em>Biancaneve </em>non accade. Qui si ha fin da subito una mancanza di punti certi, un contesto corale che via via va intensificandosi, spostando il baricentro dell’opera dal personaggio centrale della protagonista ad una serie di caratterizzazioni che prendono forma e senso solamente nella loro organicità complessiva. Le creature del bosco, i sette nani, la strega Grimilde, sono tutti personaggi che non godono di una specifica personalità, ma sono riconoscibili (o irriconoscibili) per tratti comuni e leggibili unicamente in virtù di qualche legame con altri personaggi. In questo senso <em>Biancaneve e i Sette nani </em>è il film più idealistico e meno materiale di Walt Disney. Gli sfondi acquerellati, che si modellano e si plasmano, come già detto, sulle <em>Silly Simphonies</em>, non offrono la possibilità di contestualizzare e di attualizzare l’opera, di rapportarla al mondo odierno, ma staccano immediatamente la percezione dello spettatore da qualsivoglia legame dialettico con la realtà. Il personaggio inizialmente isolato di Biancaneve, presentato solamente dopo la regina Grimilde - la quale incarna il Male – si sbiadisce sempre di più su questo paesaggio a cui manca la certezza dei contorni definiti, perde la propria personalità, la propria identità, per andare a raffigurare più un’idea, forse la traduzione in segni grafici di un canone, piuttosto che l’interpretazione di un carattere, di un personaggio, appunto. E a ben vedere, l’unico personaggio i cui tratti grafici sono più marcati è proprio Grimilde, la quale, in qualche modo, sveste i panni dell’idea per andare a configurarsi come fisicità, come Male materializzato.<br/>Il messaggio di quest’opera è effettivamente banale, come molto spesso accade nel Cinema. Ma è il modo di raccontarlo che lo rende unico. Il Bene è da preferirsi al Male. Due idee contrapposte. Ma Walt Disney mette in risalto, forse nascondendo un po’ di pessimismo, dietro a quella facciata di zuccheroso romanticismo, che il bene, per essere davvero tale, debba per forza fuggire dalla sfera degli istinti, della pragmaticità, della materialità, per pulirsi da ogni segno pronunciato, da ogni legame terreno, fino a rendersi un’idea spuria di qualunque riferimento fisico. E’ inutile negare che la bellezza di Biancaneve è in realtà quanto di più distante dal concetto di bellezza che da sempre abbiamo in mente. Per un essere umano la bellezza è prima di tutto fisica, sensoriale, non ideale. Biancaneve, invece, sembra rinnegare e spegnere proprio ogni istinto (prima di tutto sessuale), rinunciare ad ogni stimolo erotico, per andare a rappresentare una bellezza canonica che non era mai stata presa in considerazione, nella sfera dei sensi o degli istinti. La bellezza di Biancaneve è ciò che la bellezza dovrebbe essere. E come qualcuno ha già rilevato, è un concetto che è estremamente antitetico a quello dell’istinto, che invece, qui, va a caratterizzare il Male. Mi piacerebbe che la dimensione psicologica che il concetto di “pulizia” assume in quest’opera non passasse inosservato. I rimandi a quest’idea sono davvero frequenti: fin dalla tecnica dell’acquerello (che richiama appunto una mancanza di tratti decisi, di istinti e, quindi, rimanda all’idea di visione acquatica, pulita, spesso addirittura slavata ed incerta), per arrivare alle scene in cui Biancaneve pulisce, insieme agli animali del Bosco, la casetta dei Sette nani, per giungere al bagno forzato di Brontolo. L’istinto deve essere lavato via da una purezza idealistica, concettuale.<br/><div align="center"><img alt="" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/richmond/43558bc31b2af384880acec2121d8eea.jpg" /><br/></div><br/>Se si sposta l’attenzione sul personaggio della Regina - la quale, comunque, sempre in virtù di questo relativismo spinto, riesce a non concedere punti saldi nella percezione, ma cambia, nella mirabile sequenza della metamorfosi, sconvolgendo quella bellezza, che era convinta le appartenesse, in un nuovo aspetto quasi aberrante – si noterà che i segni che la contraddistinguono sono in verità molto più pronunciati, calcati rispetto a quelli di Biancaneve. La sua bellezza fisica e materiale va necessariamente a contrapporsi ai tratti attutiti, attenuati, spesso confusi della grazia di Biancaneve. Grimilde offre fin da subito spunti di ambiguità e infonde immediatamente inquietudine nello spettatore: ombreggiature insistite, contrasti in chiaroscuro, che derivano, ovviamente, anche dal contesto paesaggistico in cui è disegnata, che è appunto l’interno tetro e tenebroso del suo castello. Biancaneve, al contrario, che rappresenta l’innocenza idealistica, manca di linee sicure, ma si configura come un personaggio semplice, che richiami addirittura alla fisionomia di una bambina (il capo sproporzionato rispetto al corpo, il viso tondeggiante, il naso appiattito, la pelle chiarissima, la totale assenza di seno), priva di ombreggiature, tranne quelle necessarie a renderne credibile il dinamismo, complice anche, ovviamente, il paesaggio solare che introduce il personaggio fin dall’inizio.<br/><div align="center"><img alt="" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/richmond/d7bb447e064b99ae41a1e68188898f9b.jpg" /><br/></div><br/>Insomma, se per ogni caratterizzazione, in realtà, si rifugge generalmente proprio l’idea stessa di caratterizzazione, attribuendo senso e significato a tutto solo nella dimensione collettiva e corale, può tuttavia dirsi che la personalità emerga maggiormente nella rappresentazione di Grimilde, la quale ostenta fin da subito istinti materiali, passioni, sentimenti, invidia, tensioni fisiche: cerca in uno specchio (dall’immagine algida e fredda, dalla superficie vitrea, ferma e sicura) non ciò che è, ma ciò che fortissimamente vuole e perciò deve essere.<br/><img align="cssLeft" alt="" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/richmond/f3e5ba52ebe6f4607953dce9710525f4.jpg" style="margin: 0pt 10px 10px 0pt; float: left;" />Ed infatti non è la sua immagine a riprodursi sul vetro, ma quella di un servo, una sorta di maschera teatrale (quasi il simbolo della mistificazione, della recitazione, della perdita dell’identità, della finzione) frutto di un incantesimo, che da sempre le rivela ciò che ella vuole sentirsi dire, ma che in un impeto di verità le farà notare che <em>la più bella del reame</em> (ma nell’originale addirittura <em>the fairest of them all</em>, la più bella di tutte) non è più lei, ma la giovane ed innocente principessa. E così Grimilde acquista significato in virtù del legame con questo non secondario personaggio. In parallelo, Biancaneve cerca in un pozzo l’amore ideale, senza minimamente curarsi della sua immagine (ancora una volta, guarda caso, acquatica) che si riflette sul fondo della cisterna, invocando il sentimento in nome di una speranza, di un sogno, ma assolutamente non di una ferma e convinta (nonché egoistica) volontà.<br/>E pure il personaggio del cacciatore, che a suo modo riassume il contrasto particolarmente violento che si sottolinea fra educazione ed istintività, non deve essere trascurato. Costui esercita una professione che già di per sé è fortemente inerente alla sfera degli istinti. E proprio in virtù di questi, la Regina gli comanda di uccidere Biancaneve, pretendendo come prova che le riporti il suo cuore in un cofanetto. Ma proprio sul punto di commettere il crimine, il cacciatore, disegnato sempre con tratti decisi, ma inclini a sottolineare il contrasto interiore che vive - pelle scura/occhi azzurri, barba e capelli lunghi/cappello con piuma soffice, abbigliamento dal colore acceso e cupo allo stesso tempo (un giallo ocra particolarmente ambiguo) – cede alla forza della purezza di Biancaneve. Prevale l’educazione, ciò che è bene e ciò che è male, il saper riconoscere il limite ed il confine fra lecito e l’illecito, fra ciò che si può e ciò che non si può fare.<br/>Un mondo di istinti che Biancaneve stenta a comprendere, fin dal momento stesso in cui fugge dal cacciatore per rifugiarsi nel bosco. Ma si tratta di una foresta letteralmente infestata di esseri che inizialmente paiono deformi a Biancaneve, quasi stesse vivendo un incubo (espressionista) dove i colori si confondono e tutto si sconvolge in un delirio di occhi, sguardi e passioni al culmine della loro esplosione.<br/>In realtà Biancaneve scoprirà che quegli istinti (gli animali del bosco) non sono connotati negativamente, come quelli di Grimilde, bensì, al pari di quelli dei Nani – dei quali a breve farà la conoscenza – sono espressione di una naturalità selvaggia ma genuina, al limite dell’infantilismo.<br/>Gli stessi sette nani, a soffermarsi sulla loro caratterizzazione, per riprendere quanto detto prima, sono l’emblema tanto dell’istinto, quanto della presa di forma e senso solamente in un contesto collettivo.<br/><img align="cssRight" alt="" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/richmond/dd0d9f7c23010725f87ab27e9018c90e.jpg" style="margin: 0pt 0pt 10px 10px; float: right;" />In effetti noi li conosciamo come I Sette Nani, senza quasi mai soffermarci a pensarli o a ricordarli ad uno ad uno. Ciascuno di essi rappresenta una tensione, un carattere, preso singolarmente, ma che da solo significa ben poco e solo nel suo insieme ci riconduce alla sfera sensoriale ed istintiva del genere umano: c’è Brontolo che palesa atteggiamenti ostili. Eolo che non riesce a frenare le sue allergie e le sue violente manifestazioni incontrollate che da esse derivano. Mammolo che agisce d’impulso, con il cuore, senza mediare con la ragione. Dotto, che dovrebbe essere quello più illuminato fra tutti, e che invece è sempre piuttosto agitato, tanto da ingarbugliare le parole e da incepparsi frequentemente mentre parla. Pisolo, che non si cura della presenza della Principessa e si abbandona costantemente al sonno, come è sua abitudine. Gongolo, che non conosce problemi e incertezze, e nella sua spensieratezza risulta essere sempre inconsapevolmente allegro. E infine Cucciolo, che è talmente infantile da non saper neppure parlare. Non sono personaggi evoluti, ma rimasti fermi ad uno stadio di non crescita; non per nulla sono “nani”, nell’accezione più razzista del termine. Ed infatti <em>Biancaneve </em>è fortemente contaminato da un manicheismo di stampo razzista, o comunque improntato sulla paura del diverso, quando non del reietto, che è visto come incarnazione del male: il bianco è sempre sinonimo di purezza, il nero sempre di malvagità; l’altezza è sinonimo di panteistica intelligenza (forse anche di ingenuità, ma comunque si tratta di un’inconsapevole capacità di essere madre di tutte le idee, i concetti), la bassezza è invece lo specchio di un istinto che rimane bloccato e che è impossibilitato a comprendere il tutto, specialmente le idee; la giovinezza è sinonimo di purezza, la vecchiaia significa invece inganno e crudeltà; infine, la bellezza interiore è bene, quella esteriore, pur essendo funzionale alla prima, è e rimane il mezzo per comunicare l’idea di integrità morale e di completa realizzazione (im)personale: il principe che con un bacio arriverà a salvare la principessa in preda al sonno mortale, quando i nani erano giunti in ritardo, mancando all’appuntamento con la crescita, la riabilitazione, con l’evoluzione. Gli stessi istinti che i nani o gli animali rappresentano, non sono in fin dei conti negativi come quelli di Grimilde. Si tratta di passioni allo stato brado, selvagge, per così dire, mai domate, che necessitano dell’educazione (la pulizia) proprio di Biancaneve. Ma i tratti di questi personaggi non sono violentemente negativi come quelli della Regina/strega, bensì naïf, infantili, anch’essi privi di contorni duri. <br/><em>Biancaneve e i Sette nani</em> è quindi, riassumendo, l’emblema di come il Cinema - anche d’animazione, il quale è uno stile, una tecnica, opera degli uomini e non “di uomini” - sia davvero un mezzo per raccontare e per comunicare. Se il suo messaggio rimane ancorato ai concetti obsoleti e talvolta negativi delle fiabe - xenofobi ed antropocentrici, che via via comunque spariranno, anche nei lungometraggi Disney, per lasciare lo spazio all’esaltazione della natura incontaminata (da <em>Bambi </em>a <em>Il Re Leone</em>) se anche talvolta ostinatamente incentrata sull’antropomorfismo dei personaggi (<em>Le avventure di Bianca e Bernie</em>), spesso comunque rappresentante una lotta continua fra il mondo onesto degli animali e quello corrotto degli esseri umani (<em>Red e Toby</em>) – il modo in cui li racconta, pur senza mai perdere di vista il fatto che è un’opera di largo consumo, destinata alle famiglie, ai bambini e ad infondere un certo senso di “educazione” nei suoi destinatari (concetti che stridono fortemente con quello di arte), è sempre incontestabilmente sublime. Come valeva, in ben altri ambiti, per artisti quali Frank Capra, John Ford o, su fronti ancora differenti, Dzjiga Vertov o S. M. Ejsestein.<br/>Sintomo che, nonostante le finalità, se il risultato complessivo è soddisfacente, tutto sommato, si possono chiudere non uno, ma anche due occhi e, proprio staccandosi dal contatto con la realtà, farsi trasportare in quel mondo magico che è sempre stato il Cinema. Anche quello disegnato. Anche quello firmato Walt Disney.ImagoAltrovehttp://www.blogger.com/profile/14725579928464469991noreply@blogger.com13tag:blogger.com,1999:blog-4270418888591832432.post-67862980328457390042008-06-03T19:59:00.001+02:002011-11-30T20:12:36.349+01:00Vita da cosplayer<div align="justify">Avete mai fatto caso a quelle persone che alle fiere del fumetto girano vestite da personaggi dei fumetti o di qualche cartone animato? O che si muovono e vestono i panni di eroi di film e videogiochi più o meno famosi? Ecco, quelli sono cosplayer, ovvero persone che fanno cosplay.Il termine "cosplay" <span style="">–</span> in giapponese <span style="font-weight: normal;"><span class="t_nihongo_kanji" lang="ja"></span></span> <span style=""><a href="http://i137.photobucket.com/albums/q220/doni_chan/immagini%20post%20imagoaltrove/cosplay.jpg" target="_blank">kosupure</a> <span style="">– </span> nasce dalla contrazione dei due termini inglesi costume (<span style="">“</span>costume<span style="">”</span>) e play (<span style="">“</span>gioco/recitazione<span style="">”</span>).<br />Questa pazzia ha origine in Giappone ma negli ultimi anni è arrivata anche in Italia e ha preso radici anche <a target="_blank" href="http://www.anacosplay.it//index.php?option=com_content&task=view&id=5&Itemid=6"><img src="http://www.anacosplay.it//images/stories/logo_anaco.jpg" alt="" align="left" /></a>grazie alla creazione dell’A.Na.Co. (Associazione Nazionale Cosplay) che organizza fiere ed eventi in tutta Italia.<br />Nata nel 2003, questa associazione è riuscita ad ottenere in cinque anni di attività fiere con eventi completamente organizzati da lei, come il <a href="http://www.festivaldelfumetto.com/" target="_blank">FESTIVAL DEL FUMETTO</a> di Novegro (MI), l'<a href="http://eventi.anacosplay.it/hasta_cosplay/" target="_blank">HASTA COSPLAY</a> di Asti (gestiti con il regolamento ufficiale dell'A.Na.Co.) e il primo raduno ufficiale italiano sul Gothic Lolita, il <a href="http://eventi.anacosplay.it/glim/" target="_blank">GLIM </a>(Gothic Lolita Italian Meeting). Ma questi sono solo gli eventi storici, tra le ultime new entry degli eventi A.Na.Co. c'è da segnalare il <a target="_blank" href="http://www.ludicomix.it/index.php">LUDICOMIX </a>di Empoli (FI) e <a target="_blank" href="http://xoomer.alice.it/fantasy.landia/">FANTASYLANDIA </a>a Lignano (UD) (di questo evento è da segnalare che il presidente dell'A.Na.Co. mi ha detto che siamo stati riconfermati per la terza edizione).<br /><div><br /><strong> Ma vi siete mai chiesti cosa c’è dietro?</strong><br />Non in molti di sicuro.<br />Quando ho visto per la prima volta un cosplayer, ho pensato solo che non ci assomigliava molto e che il vestito non era molto uguale… Ora se una frase del genere venisse detta a me, chi ha osato parlare potrebbe morire… <br />Se vuoi prepararti un cosplay, per quanto semplice possa essere, come minimo ci impiegherai, solo per l’abito, da un paio di mesi intensi ad un anno con calma. Poi ci sono i gadget, i vari accessori che caratterizzano il personaggio, il trucco ed eventuali parrucche da recuperare.<br />Tutto ciò se vai solo a passeggiare in fiera, ma se vuoi anche partecipare a qualche gara, devi studiare bene il personaggio ed eventualmente preparare una scenetta, quindi colonna sonora e battute, poi cercare di sapere come è il palco, come sono i supporti alla fiera, se puoi portare un cd, se hai possibilità di avere un microfono.<br />E poi che scena prepari? Una comica inventata di sana pianta o riproduci una parte del manga o dell’anime? E se porti un personaggio del videogioco? Il problema si complica.<br />Le scelte da fare sono parecchie e quello che posso fare ora è raccontarvi le avventure/disavventure dei miei primi cosplay conclusi. Ora ne sto preparando un altro ahimé più complesso.<br /><br /><strong>Dalla teoria alla pratica...</strong><br />Hinata Hyuga e Kiba Inuzuka, personaggi quasi secondari dell’anime/manga <em>Naruto</em>.<br /><a href="http://i137.photobucket.com/albums/q220/doni_chan/immagini%20post%20imagoaltrove/hinatakibatraanimeecospar3.jpg" target="_blank"><img src="http://i137.photobucket.com/albums/q220/doni_chan/immagini%20post%20imagoaltrove/hinataekiba.jpg" style="margin: 0pt 0pt 10px 10px; float: right;" alt="" align="cssRight" height="200" width="200" /></a>Come potete vedere nell’immagine, sembrano semplici: pinocchietti neri... felpa grigia con un po’ di pellicciotto... ecco, i simboli sulle maniche per Hinata, magari per quelli ci vuole un attimo in più.</div><br /><div>In realtà quelli furono la cosa più facile…<br />Il cosplay di Hinata prevede, oltre pinocchietti e felpa: parrucca, lenti bianche (maledetto byakugan), kunai e shuriken (le armi dei ninja che, per chi non sapesse sono rispettivamente i pugnali e le “stelline rotanti”), il porta armi, i sandali e la fascia del villaggio.<br />Per il cosplay di Kiba non c'erano lenti bianche ma “denti canini” e Akamaru, il cagnolino bianco compagno fidato di Kiba.<br />Dopo aver capito la valanga di accessori che ti serviranno è capire quale materiale è il più economico e facile da reperire.<br /><a href="http://i137.photobucket.com/albums/q220/doni_chan/immagini%20post%20imagoaltrove/simbologiaccaeshuriken.jpg" target="_blank"><img src="http://i137.photobucket.com/albums/q220/doni_chan/immagini%20post%20imagoaltrove/simbologiaccaeshurikenanteprima.jpg" style="margin: 0pt 10px 10px 0pt; float: left;" alt="" align="cssLeft" /></a> Nel mio caso ho utilizzato molto il panno lenci, sia per il simbolo sulla giacca che per i <a target="_blank" href="http://i137.photobucket.com/albums/q220/doni_chan/immagini%20post%20imagoaltrove/portaarmi.jpg">porta armi</a>, essendo una stoffa che “non sfilaccia” quando la tagli (come ad esempio il cotone) e non ci sono grosse difficoltà a cucirlo a mano.<br />Questo stesso tessuto si è rivelato utile anche per i sandali, alla fine la parte più complicata del cosplay.<br /><p class="MsoNormal">A volte le idee ti vengono nel momento più inaspettato. Il problema delle armi fu sempre il più tosto… Gli shuriken in commercio alle fiere sono in metallo, e non sono ammessi come accessori alle gare cosplay perché considerati vere e proprie armi. Quindi… come ovviare? L’idea me la diede un ragazzino delle medie dove lavoravo, aveva costruito uno shuriken con un vecchio cd, tagliato con la taglierina e colorato con l’indelebile nero: il lavoro era un po’ rozzo, ma era uno shuriken!<br />Così ne parlai con “Kiba” e lui si mise al lavoro. Recuperammo dei cd finti, ovvero quelli che si trovano in cima o in fondo alle colonne dei cd (si possono usare anche cd bruciati), così da non sprecare cd buoni. Poi il lavoro fu solo suo: per prima cosa li scartavetrò con la carta vetrata fine, per renderli opachi, e poi ci disegnò sopra la stella che andò a tagliare con le cesoie. Per colorarli usò l’aerografo con colori acrilici (ma si può pure usare una bomboletta spray) prima su un lato e poi sull’altro… ed ecco dei perfetti shuriken che puoi usare durante una scena in gara senza ammazzare nessuno.</p><br /><p class="MsoNormal"><strong style="">…E adesso, cosa me ne faccio del mio cosplay?<o:p></o:p></strong><br />Dopo aver risolto tutti i problemi tecnici legati all’abito, c’erano i problemi legati al gruppo: non si <span>trattava infatti di un cosplay individuale, ma eravamo il gruppo “Konoha Cosplay” (Konoha è il nome del villaggio dove è ambientato il manga/anime di <em>Naruto</em>) E dovevamo organizzare qualunque cosa insieme.</span><br />E' importante precisare che il nostro era un gruppo un po’ particolare dato che provenivamo da tutta Italia, così una volta al mese ci trovavamo per provare, le varie scene che in teoria dovevamo fare in giro per la fiera… i risultati li potete vedere nei due video (<a href="http://dailymotion.alice.it/video/x1zut3_prove-di-%3Cbr/%3Ecombattimento_dating" target="_blank">video 1</a> & <a href="http://dailymotion.alice.it/video/x23f7f_prove-2-%3Cbr/%3Ecombattimenti-e-non-solo_dating" target="_blank">video 2</a>).<br /></p><br /><p>All’interno delle prove delle varie scene c’è anche la caratterizzazione dei personaggi, e quindi, oltre ai <span>copioni delle scene collettive<span>, ti</span> devi </span> imparare i movimenti e la gestualità. Per Kiba nessun problema, le posizioni ed i movimenti erano relativamente fattibili, doveva solo comunicare con Akamaru. Ma Hinata… c’è stato da ridere, durante i combattimenti, soprattutto in uno molto importante che si pensava di riprodurre: per eseguire il Byakugan esegue tutta una serie di <a target="_blank" href="http://i137.photobucket.com/albums/q220/doni_chan/immagini%20post%20imagoaltrove/sigilli.jpg">posizioni delle mani</a>... bhè non è stato così facile impararle e quando mi sono resa conto che non si sarebbe fatta più la scena ho smesso subito di esercitarmi, anche perché ero abbastanza impacciata. Ma pure questo fa cosplay.</p><br /><p> </p><br /><p class="MsoNormal"><strong style="">La sera della prima</strong></p><br /><p class="MsoNormal"><a href="http://i137.photobucket.com/albums/q220/doni_chan/immagini%20post%20imagoaltrove/rotoli-1.jpg" target="_blank"><img src="http://i137.photobucket.com/albums/q220/doni_chan/immagini%20post%20imagoaltrove/rotolianteprima.jpg" style="margin: 0pt 10px 10px 0pt; float: left;" alt="" align="cssLeft" height="88" width="100" /></a> </p><br /><p>Arriva il momento tanto atteso della fiera, e spesso ci sono gadget che devi utilizzare e non si trovano in giro: per noi furono i rotoli del villaggio della foglia. Ispirati a quelli dell’anime, i nostri sarebbero stati verdi e gialli, e soprattutto dovevano aprirsi. Il primo tentativo fu in carta pesta, ma non c’era possibilità di aprirli e scriverci dentro, così alla fine si risolse il problema con il panno lenci ed il cotone bianco con all’interno scritto il motto del gruppo “Konoha Cosplay – amicizia ed onestà”. I rotoli dovevano servirci per rubarceli a vicenda durante la fiera (li sentite citare nel video 2 nella scena del bosco).<br />Inoltre a pochi giorni dal Romics, il nostro boss ci comunicò che mancava Naruto, e che quindi per far passare la cosa per “voluta” serviva <a href="http://img252.imageshack.us/img252/8180/dscn0647rd4.jpg" target="_blank">un cartellone</a> con la scritta “Missing Naruto”.<br /></p><br />Risolti i problemi dell’ultimo minuto, ci siamo trovati tutti al Romics e devo dire ch<span style=""><span style=""><a href="http://i137.photobucket.com/albums/q220/doni_chan/immagini%20post%20imagoaltrove/villaggiodellasabbia.jpg" target="_blank"><img src="http://i137.photobucket.com/albums/q220/doni_chan/immagini%20post%20imagoaltrove/teamsabbiaanteprima.jpg" style="margin: 0pt 0pt 10px 10px; float: right;" alt="" align="cssRight" height="113" width="150" /></a></span></span>e facevamo la nostra figura come gruppo, anche perché devo segnalare che tra i nostri accessori avevamo Karasu, una marionetta alta un metro e settanta circa, il ventaglio di Temari nelle misure reali, e la giara di Gaara che era anche quella a misura reale (<span>spesso certi gadget vengono riprodotti solo simbolicamente, più piccoli del naturale, perchè a misura reale non sono comodi nei movimenti e nel trasporto)</span>.<br /><span style=""></span>La giornata è andata bene, a causa di contrattempi e ritardi non siamo riusciti a partecipare alla gara cosplay ma ci siamo divertiti molto e ci hanno scattato parecchie foto, che per i cosplayer è importante tanto quanto partecipare ad una gara, perché più foto ti scattano, più il tuo cosplay è somigliante e più ti senti un grande cosplayer… e per questo il nostro gruppo è stato un gruppo di grandi cosplayer.<br /><p> </p><br /></div><br /><div align="center"><img src="http://i137.photobucket.com/albums/q220/doni_chan/creazioni%20a%20computer/KonohacosplayaKonoha2conscritte.jpg" alt="" align="absmiddle" width="300" /></div><br /></span></div>ImagoAltrovehttp://www.blogger.com/profile/14725579928464469991noreply@blogger.com32tag:blogger.com,1999:blog-4270418888591832432.post-90114860209748678532008-05-11T16:09:00.007+02:002011-11-30T20:07:31.736+01:00Prima che Cristina D'avena uccidesse i nostri sogni e le nostresperanze...Dall'alto dei miei stimabilissimi quattro anni osservo il microfono davanti ai miei occhi. Sarebbe stata la performance di una vita. Un intero anno trascorso davanti alla TV avrebbe finalmente fruttato una rispettabile carriera da rock star. Chiudo gli occhi per godere appieno del mio momento di gloria. Quando li riapro il basso ha già cominciato a pompare un riff infernale, accompagnato da una batteria violenta e martellante. Il mio abito glitterato avrebbe inevitabilmente condizionato le mode del decennio alle porte. La folla è in delirio, visibilmente rapita dalla mia voce incisiva e graffiante, esaltata dai trascinanti cori di una band numerosa ed esperta. Le tastiere diffondono nell'aria quell'alone mistico e visionario capace di dare forma ai fotogrammi partoriti dall'immaginazione, come in un trip ad alto contenuto acido.<br />Terminata l'esibizione osservo le urla eccitate di un pubblico che pende letteralmente dalle mie labbra. Ma ecco che la pressione del tasto <em>Stop</em>, seguito dal rumoroso riavvolgimento del nastro, mi riportano immediatamente alla realtà. Mia nonna mi osserva con quel fare amorevole misto a compassione che solitamente si riserva a un cucciolo dalle fattezze buffe mentre si accinge a fare qualcosa di insolitamente goffo: <em>"Adesso la riascoltiamo dall'inizio e poi registriamo Anna dai capelli rossi, d'accordo?"</em>. <em>"D'accordo!"</em>, rispondo io con voce esile e vagamente effeminata che ben si addice a un moccioso della mia età.<br />Da qualche parte conservo ancora quelle registrazioni: <em>Astro Robot</em>, <em>Anna dai capelli rossi</em>, <em>Paul e Nina</em> e forse anche <em>Capitan Futuro</em>. E oltre a quelle conservo anche una piccola collezione di 45 giri originali, di cui in effetti gradirei poter rientrare in possesso quanto prima. Purtroppo è tuttora custodita sottochiave nelle oscure segrete della villa di mia nonna, che tanto fu amorevole nell'acquistarli, quanto carogna nel non volermeli cedere. <em>"Quando morirò"</em>, ripeteva sempre. Il vero problema è che mia nonna è moribonda da almeno cinque anni, ma non accenna a voler abbandonare definitivamente questo pianeta. Sembra quasi che qualcuno l'abbia mesmerizzata nella speranza che la sua essenza continui a vivere a dispetto del totale disfacimento fisico.<br />Inutile dire che ormai le speranze di poter recuperare quella manciata di 45 giri sono pressoché pari allo zero. Che sia una sorta di pena del contrappasso? Mi spiego meglio: all'età di cinque anni ebbi tra le mani la più grande collezione di 45 giri legati al mondo delle sigle che si possa immaginare. A dire il vero non è che fosse proprio mia. Era della mia migliore amica, nonché vicina di casa, Claudia. Annoverava un po' di tutto, dalle sigle più conosciute a quelle più ricercate, per un totale di una sessantina di pezzi (forse più), molti dei quali oggi come oggi farebbero gola a parecchi collezionisti del settore. Ebbene, quella collezione oggi, grazie alle mie famigerate doti vandaliche, non esiste più. Accadde una mattina. Io e Marco, ci introducemmo furtivamente in casa di Claudia durante la sua assenza e sequestrammo l'intera collezione accuratamente riposta in un contenitore di legno colorato. Ci recammo quindi in una zona deserta non lontana dalle nostre rispettive abitazioni e lì procedemmo alla strage: trasformammo quei 45 giri in veri e propri frisbee da spiaggia e ce li lanciammo uno ad uno sulla lunga distanza, fino a quando non si frantumarono tutti quanti sull'asfalto. Ricordo ancora l'espressione della piccola Claudia al suo ritorno e le successive sgridate da parte dei nostri genitori a dir poco imbestialiti. Non so esattamente cosa mi spinse a compiere quel tremendo gesto distruttivo, ricordo soltanto che lì per lì mi parve una buona idea per far trascorrere il tempo.<br />Tutto questo per dire che, se ancora oggi il destino rema contro la mia esplicita volontà di rientrare in possesso di quei pochi pezzi che compongono la mia collezione, probabilmente lo devo anche a questo.<br /><br /><img style="margin: 0pt 10px 10px 0pt; float: left;" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/deep/jeegfp7.jpg" alt="" align="cssLeft" />In quegli anni comunque non avevo ancora maturato una vera e propria passione per le sigle dei cartoni animati. Intendiamoci, le ho sempre trovate emotivamente coinvolgenti, forse per la natura stessa della sigla. Tuttavia non mi appassionavano al punto da sentire la necessità di approfondire l'argomento con la conoscenza di interpreti ed episodi legati alla loro realizzazione. Quello accadde solo in seguito, all'età di circa ventidue anni, quando per puro caso mi accorsi che quelle sigle erano ancora reperibili in versione estesa nei meandri oscuri del selvaggio Web. Ed ecco quindi che riascoltandole ritrovai quelle stesse emozioni che mi avevano accompagnato durante l'infanzia. Fu solo col senno di poi che fui capace di rivalutare ed apprezzare gli intricati meccanismi che si celavano dietro quel piccolo e meraviglioso microcosmo ricco di sensazioni.<br />All'epoca Cristina D'avena non era stata ancora inventata e l'universo delle sigle si presentava competitivo e variegato: competitivo perché a quel tempo le sigle venivano date in appalto a più complessi che presentavano la loro versione del brano nella speranza che venisse scelto e poi mandato in onda; variegato perché questo sistema a commissione stimolava le capacità creative di molti validi gruppi o artisti che in alcuni casi la sorte non aveva concesso loro di far carriera come musicisti tradizionali. <em>Jeeg Robot</em> è stato il primo cartone animato trasmesso dalle televisioni private italiane. La sigla non è altro che una rivisitazione in lingua italiana del pezzo originale: il brano è stato convertito in mono, tagliato di una strofa e modificato con l'aggiunta di una traccia strumentale. Si dovette optare per questa soluzione perché il cartone animato sarebbe dovuto andare in onda solo due giorni dopo e non sussisteva dunque il tempo materiale per incidere una sigla tutta nuova. Venne così reclutato tale <em>Roberto Fogu</em> (in arte <em>Fogus</em>) che in breve diede vita alla canzone che tutti abbiamo ascoltato e canticchiato almeno una volta.<br />Il brano tuttavia non venne venduto immediatamente, c'erano ancora numerose reticenze in merito a un'eventuale distribuzione commerciale. <em>Mariano Detto</em>, proprietario della <em>CLS Records</em>, riteneva infatti che nessuna sigla avrebbe potuto fare successo a meno che non fosse stata trasmessa dalle reti RAI e negò dunque il consenso alla pubblicazione. Dopo qualche tempo tuttavia, per mera curiosità, decise di domandare al suo distributore romano se ci fossero state delle richieste in merito a una sigla dal titolo Jeeg Robot. E fu allora che si rese conto del suo clamoroso errore di valutazione: le richieste c'erano state ed anche piuttosto numerose. Il distributore di Roma ordinò ventimila copie del quarantacinque giri, che venne così stampato in fretta e furia. In ogni caso i risultati in termini di vendite lasciarono alquanto a desiderare, dato che nel frattempo la RCA ne aveva approfittato per distribuire nei negozi una cover della suddetta sigla, realizzata dai <em>Superobots</em>. Senza contare che la copertina del 45 giri di Fogus, contrariamente a quello dei Superobots, non mostrava Jeeg in tutto il suo meccanico splendore, bensì un mostro nemico dalle inquietanti sembianze. Insomma, una scelta sbagliata dietro l'altra compromise il successo di questo 45 giri, ma permise al tempo stesso di comprendere la portata potenziale di un vero e proprio mercato delle sigle, non più circoscritto ai prodotti trasmessi dalla RAI.<br />Per molto tempo sulla sigla di Jeeg circolò la leggenda secondo cui a cantarla sarebbe stato nientemeno che un giovanissimo Piero Pelù. Inutile dire che questa affermazione, alla quale ho sempre faticato a dar credito per tutta una serie di ottime ragioni che ora non starò qui a spiegare, si è rivelata nel tempo una banale leggenda metropolitana.<br />Ad ogni modo non fu questo l'unico episodio in cui una sigla italiana venne rimaneggiata direttamente dall'originale. Accadde anche per le due sigle di <em>Ryu, il ragazzo delle caverne</em>. Credo invece che <em>Mazinga Z</em>, pur essendo anch'essa una cover della rispettiva sigla giapponese, sia stata completamente riarrangiata. In rari casi si è arrivati addirittura a non modificare per niente il brano d'apertura giapponese, probabilmente più per mancanza di tempo che per assecondare una precisa scelta di marketing: è il caso di <em>Zambot III</em> o <em>L'invincibile Shogun</em>, tanto per fare qualche esempio. Sigle che nonostante tutto sono entrate comunque a far parte della memoria storica di ogni appassionato. Certo, in maniera alquanto ironica e grottesca, visto che poi i testi venivano reinterpretati da noi marmocchi in chiave sarcastica e, spesso e volentieri, pornografica. Ma ci hanno comunque segnato.<br /><br /><img src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/deep/dieciqb5.jpg" alt="" /><br /><br />A farla da padrone erano soprattutto <em>I Cavalieri del Re</em>, c'è poco da fare. E non tanto per il numero di sigle incise o per il valore effettivo delle stesse, quanto piuttosto per le voci particolarmente incisive di <em>Riccardo Zara</em> e <em>Clara Serina</em>. Riccardo Zara ha cantato la sigla di <em>Devilman</em>, mentre Clara Serina, tanto per fare chiarezza, ha dato voce alla prima sigla italiana di <em>Lady Oscar</em> (che a me personalmente non è mai piaciuta, ma che pare riscuotere ancora oggi enorme successo tra gli appassionati). Nonostante il loro aspetto tremendo (a metà tra gli Abba e I Cugini di Campagna), che per fortuna all'epoca nessuno conosceva, bisogna ammettere che I Cavalieri del Re son stati comunque capaci di sfornare alcune tra le sigle più belle e meglio arrangiate del panorama italiano: <em>Il libro Cuore</em> in primo luogo; ma anche <em>Lo specchio magico</em>, <em>Kimba</em> o <em>L'isola dei Robinson</em>. Si trattava essenzialmente di ballate in vecchio stile, caratterizzate da soluzioni armoniche di tutto rispetto. Forse gli appassionati più giovani avranno avuto modo di apprezzarli soprattutto per la bellissima sigla della serie <em>Caro Fratello</em>, intorno alla realizzazione della quale si può tranquillamente affermare abbiano dato davvero il meglio.<br />Tuttavia già all'epoca le mie preferenze vertevano più che altro sul rockeggiante, il che mi portava a preferire altri artisti ed altre sigle, come ad esempio i <em>Rocking Horse</em> (interpreti di <em>Candy Candy</em>, <em>Toriton</em>, <em>Il dr. Slump e Arale</em> e della magnifica <em>Forza Sugar</em>), i <em>Superobots</em> (<em>Blue Noah</em>, <em>Babil Junior</em>) o la <em>Superband</em> (<em>Fantaman</em> e <em>Supereroi</em>, due tra le più belle sigle di sempre). Tutti questi complessi vedevano alla voce il grande <em>Douglas Meakin</em> che, con quella sua cadenza straniera e quel falsetto terribilmente irritante, riusciva a rendere tutti i suoi pezzi facilmente riconoscibili.<br />Da non dimenticare poi i <em>Fratelli Balestra</em>, pure loro simili nell'aspetto ai protagonisti di una soap sudamericana degli anni '70. Ottimi soprattutto per le soluzioni armoniche a più voci (in stile Cavalieri del Re) e per via di tre pezzi assolutamente memorabili: <em>Daitarn III</em>, <em>Teppei</em> e <em>X Bomber.</em> Daitarn III in particolare è forse ancora oggi la sigla più amata ed apprezzata di sempre, data la sua melodia semplice ed efficace, accompagnata da un arrangiamento che definire perfetto sotto tutti i punti di vista è addirittura poco.<br />Altro complesso degno di nota furono gli <em>Oliver Onions</em>, gli autori che in assoluto ho preferito. E non solo perché hanno firmato alcune delle sigle a cui sono maggiormente legato, quanto perché si può tranquillamente affermare che non abbiano mai interpretato una sigla che possa definirsi brutta: <em>Rocky Joe</em>, <em>Galaxy Express</em>, le due sigle di <em>Marco Polo</em> e via dicendo. Che poi, per dirla tutta, la loro carriera discografica si è estesa ben oltre l'universo dei cartoni animati, come ben sa chiunque sia cresciuto con le pellicole di Bud Spencer e Terence Hill. Un complesso coi controcazzi insomma, che probabilmente avrebbe meritato qualcosa di più in termini di successo, ma che comunque può vantare una carriera di tutto rispetto nell'ambito delle colonne sonore. Anche loro d'altronde peccavano in termini di immagine, dato che sul palcoscenico avevano tutta l'aria di due figli dei fiori fricchettoni con chiare tendenze omosessuali.<br />C'erano poi due grandi voci femminili, morbide e calde come poche. Erano quelle di <em>Giorgia Lepore</em> e <em>Stefania Mantelli</em>. La prima interprete di <em>Conan, il ragazzo del futuro</em>, <em>La fantastica Mimì</em> e <em>Peline story</em>; la seconda voce solista del coro <em>Le Mele Verdi</em>, nonché artefice della memorabile interpretazione di <em>Mademoiselle Anne</em>.<br /><br /><img src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/deep/cinqueun3.jpg" alt="" /><br /><br />Purtroppo col tempo il sistema di assegnare le sigle in appalto venne meno e in breve il mercato fu letteralmente fagocitato dalla voce di <em>Cristina D'Avena</em>. Non che la povera Cristina non abbia mai cantato belle canzoni, intendiamoci, ma senza quella giusta dose di competitività e concorrenza che aveva caratterizzato il mercato discografico tra la fine degli anni '70 e la prima metà degli anni '80, la qualità media delle sigle proposte cominciò progressivamente a scadere. Come se questo non bastasse, ogni qual volta un vecchio cartone veniva ritrasmesso in TV sulle reti nazionali, si affidava (e si affida tuttora) a Cristina l'ingrato compito di registrare una nuova sigla, decretando così la definitiva sepoltura di un contesto musicale florido e ricco di intense emozioni quale fu l'universo delle sigle di un tempo.<br />A volte mi domando quale sorte avrebbero avuto i robottoni giapponesi se a cantarne le sigle fosse stata la D'Avena. Sarebbero stati altrettanto affascinanti e coinvolgenti? Ed io li avrei guardati con gli stessi occhi? Probabilmente a quest'ora sarei più rincoglionito e traumatizzato che se fossi cresciuto con i lungometraggi della Disney: non fumerei, non sarei dedito all'alcool e neppure sognerei la distruzione del Mondo a cavallo di una macchina ipertecnologica dalle fattezze umanoidi. Cosa che invece prima o poi farò, questo è chiaro.<br /><br/><br/><br />Scritto da <a title="Visita il sito di Deeproad" href="http://www.deeproad.net/" target="_blank">Deeproad</a><br/><br/>ImagoAltrovehttp://www.blogger.com/profile/14725579928464469991noreply@blogger.com75tag:blogger.com,1999:blog-4270418888591832432.post-44246529645957995812008-04-21T14:11:00.000+02:002011-11-30T20:19:26.985+01:00Dizionario: B (1)<div align="justify">Inizialmente avevo pensato di trattare la A e la B nello stesso post. Poi, vista la lunghezza finale della A, ho deciso che avrei messo B e C insieme. Alla fine ho dovuto pure dividere in due la B... al momento, studiando i miei appunti per le prossime voci, sono piuttosto convinta che potrò mettere la seconda parte della B e la C insieme. Ma forse è meglio non cantare vittoria troppo presto...<br/><br/>Nel caso ve lo foste dimenticati, il dittongo "OU" si pronuncia come una "O" lunga e traslitterato si può trovare anche come "ō" (ma è più facile scrivere "ou", quindi ho usato questo modo).<br/><br/><br/><img align="cssLeft" style="margin: 0pt 10px 10px 0pt; float: left;" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Dizionario%20B1/baka.jpg" alt="" /><strong>BAKA = stupido</strong><br/>I giapponesi non hanno molte parolacce, e tra queste gli insulti sono solo una parte. Il più diffuso è indubbiamente "baka", di cui esistono anche le varianti un po' più forti di <a target="_blank" href="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Dizionario%20B1/bakamono.jpg">Bakamono</a> e <a target="_blank" href="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Dizionario%20B1/bakayarou.jpg">Bakayarou</a> (i primi due caratteri dei tre termini significano sempre "baka", ma si è scelto di scriverli per "baka" in Hiragana, per "bakamono" in Kanji e per "bakayarou" in Katakana: i tre modi sono assolutamente "intercambiabili", ma l'uso di un modo rispetto ad un altro può essere una scelta del mangaka al fine di trasmettere un diverso contenuto - per Hiragana e Katakana si rimanda alla <a target="_blank" href="http://imagoaltrove.splinder.com/post/15303710/Dizionario%3A+A">voce A del dizionario</a>).<br/><strong>AGGIUNTA DEL 24.04.08:</strong> non so perchè non l'ho messo prima, ma credo sia utile avere un vocabolario di insulti un minimo ampliato... scherzo, ovviamente, volevo solo aggiungere un paragone tra "baka" e <a target="_blank" href="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Dizionario%20B1/ahou.jpg">Ahou</a> (o <a target="_blank" href="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Dizionario%20B1/aho.jpg">Aho</a>, scritto in katakana - quindi come se fosse in grassetto - e con la O breve). I due termini sono sinonimi, ma c'è una sfumatura importante da sottolineare: in base alla zona del Giappone, "baka" può risultare più offensivo di "aho" o viceversa. Nella regione di Tokyo "aho" risulta più pesante ed è quindi usato, in anime e manga, soprattutto da delinquenti e simili, mentre nella regione di Osaka è il contrario: ricordiamo che il giapponese che sentiamo e leggiamo in film, anime, manga è quello di Tokyo, e che quindi sarà sempre o quasi usato "baka" per questioni più "leggere" (come negli esempi) e "aho" per insultare con vero gusto. Eventualmente nei commenti vi posto un esempio, così potrete pronunciarlo correttamente in caso di necessità!<br/><strong> Esempi</strong><br/>1. Molti sono i casi in cui, negli anime, la giovane protagonista si rivolge allo sventurato di turno con questo epiteto. Spesso è un semplice "nome-del-tipo no BAKA!!!", ma non è raro che arrivino a sotterrarlo letteralmente di "baka". Tra tutte, comunque, nessuna ha la classe di <a href="http://it.youtube.com/watch?v=QleyNcziqc0" target="_blank">Akane Tendou</a><a href="post/16822508/#1"><sup>1</sup></a>...<br/>2. Nella traduzione italiana di <em>Neon Genesis Evangelion</em><a href="post/16822508/#2"><sup>2</sup></a> la suscettibile e - diciamolo - isterica Asuka Soryou Langley chiama Shinji (l'amorfissimo protagonista) "Stupishinji": non è un brutto modo per rendere nella nostra lingua il "bakashinji" originale.<br/>3. Capita spesso che, come nell'esempio 2, il nome venga storpiato per inserire questo simpatico aggettivo, ma il livello di fusione dei due termini è raramente tanto alto come in <em>Zero no soukoushi</em><a href="post/16822508/#3"><sup>3</sup></a>, dove il protagonista Kanade viene chiamato dalla cugina "Cretinade" <a href="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Dizionario%20B1/zeronosoukoushi.jpg" target="_blank">in italiano</a> - non male come resa - ma che in giapponese deve essere stato sicuramente "ba<em>Kanade</em>".<br/>NB. Attenzione a non confondere BakAmono con BakEmono: quello che avrebbe potuto essere solo un insulto colorito diventerebbe un'offesa seria...<br/><br/><img align="cssLeft" style="margin: 0pt 10px 10px 0pt; float: left;" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Dizionario%20B1/bakemono.jpg" alt="" /><strong>BAKEMONO = mostro</strong><br/>...E infatti, ecco il termine appena citato: può essere tradotto con "mostro", "fantasma": una creatura che fa paura, che non ha fattezze umane... o un umano che ha perso completamente la sua umanità. Un Vampiro è un <em>bakemono</em>, così come un killer spietato, ma sicuramente i <em>bakemono</em> più noti sono i mostri classici, quelli della mitologia giapponese: in questo contesto un sinonimo di <em>bakemono</em> è <em>youkai</em>.<br/>Animali, piante o oggetti troppo grandi o che raggiungono età impensabili (detti <em>mononoke</em>), ombre misteriose che intravvediamo nella foresta o fenomeni inspiegabili (come i fuochi fatui) hanno generato in Giappone come da noi delle tipologie specifiche di creature entrate senza difficoltà nell'immaginario collettivo.<br/><strong> Esempi</strong><br/>Si è voluto accennare ad alcuni tra i più noti mostri tra quelli usati in anime e manga; chiaramente eventuali aggiunte e proposte sono come sempre gradite, inoltre nei commenti non mancheranno approfondimenti e curiosità che non verranno aggiunte in questa voce per non appesantirla.<br/><img align="cssRight" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Dizionario%20B1/kappa.jpg" style="margin: 0pt 0pt 10px 10px; float: right;" alt="" /><strong>- Kappa</strong>. Ne esistono tantissime specie e gli avvistamenti non si contano: è la caratteristica bestia fluviale via di mezzo tra una rana e una tartaruga, alta circa un metro, dispettosa e vagamente idiota, coi "capelli" tagliati a mò di chierica e identificabile da una puzza penetrante di marcio. Da dispettoso può spesso trasformarsi in pericoloso, quando afferra e trascina in acqua bambini e bestiame. In <a href="post/16822508/#4"><a href="http://imagoaltrove.splinder.com/post/21055845/Saiyuki" target="_blank"><em>Saiyuki</em></a><sup>4</sup></a> Goku chiama sempre Gojyo "pervertito di un kappa": non che Gojyo assomigli a un kappa, anzi! Semplicemente si fa riferimento allo spunto per questo manga/anime, e cioè al libro <em>Viaggio in Occidente</em>, nel quale si narrano le vicende di un bonzo, una scimmia nata da una roccia, un maiale e un kappa, appunto... Lunga storia, quella di questo importantissimo romanzo...<br/><img align="cssRight" style="margin: 0pt 0pt 10px 10px; float: right;" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Dizionario%20B1/kasabakerokurokubi.jpg" alt="" /><strong>- Kasabake e Rokurokubi</strong>. E' l'animazione che mi spinge, volente o nolente, ad accogliere nella stessa voce questi due mostri: chi infatti non ricorda tra i gruppi spettrali dei cartoni animati quel buffo ombrello con una gamba (kasabake) e la donna col collo lunghissimo (rokurokubi)? Il kasabake ("kasa" = ombrello, "bake", appunto, mostro) è solo uno dei tantissimi esempi di oggetti che, dopo cent'anni, ottenevano un'anima, e le notti buie solo lievemente richiarate dalla luna devono aver contribuito al loro "processo di animazione"... Sembrerebbe essere solo dispettoso, nel suo aggirarsi sghignazzando per le strade notturne, con la lingua fuori e l'unico occhio piantato sul viandante che lo incrocia. La rokurokubi invece è meno benevola: di giorno è una comunissima donna, ma di notte usa il suo lungo collo per infiltrarsi nelle stanze e succhiare l'anima di chi dorme. Per l'esempio sfruttiamo un passaggio di un <a target="_blank" href="http://it.youtube.com/watch?v=aNWgxmsagxg">un episodio</a> di <em>Lamù</em><a href="post/16822508/#5"><sup>5</sup></a> gentilmente segnalatomi da Deeproad, ed è un classico: Atavu Movoboshi (come lo chiama la ragazzina) si addentra in un cimitero, con tutte le conseguenze inevitabili del caso...<br/><img align="cssRight" style="margin: 0pt 0pt 10px 10px; float: right;" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Dizionario%20B1/kitsune.jpg" alt="" /><strong>- Kitsune</strong>. Ha l'aspetto di una volpe, ma è a tutti gli effetti una creatura magica: maestra nel trasformismo, predilige farsi passare per essere umano per poter così agevolmente truffare e prendere in giro gli uomini. Di kitsune negli anime e nei manga ce n'è un'infinità: da Shippo di <em>Inuyasha</em><a href="post/16822508/#6"><sup>6</sup></a>, a Youko Kurama, la seconda personalità di Shuichi Minamino in <em>Yu degli Spettri</em>... Ho scelto un'immagine da <em>Naruto</em><a href="post/16822508/#7"><sup>7</sup></a> perchè il suo è indubbiamente un caso di "kitsunetsuki", cioè di possessione da parte di un demone volpe, e non uno qualsiasi: è Kyuubi, il demone volpe a nove code di cui si raccontano moltissime leggende in Giappone. Una curiosità: quando piove col sole, in Giappone si dice che da qualche parte si sta svolgendo un <em>kitsune no yomeiri</em>, un corteo di nozze delle volpi.<br/><img align="cssRight" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Dizionario%20B1/tanuki.jpg" style="margin: 0pt 0pt 10px 10px; float: right;" alt="" /><strong>- Tanuki</strong>. E' una sorta di procione simile a un tasso, esiste veramente e come per la volpe ha dato origine a numerose leggende e aneddoti misteriosi. Ha capacità metamorfiche e può trasformarsi sia in umano che in mostro o oggetto; a lui si riconducono un'infinità di scherzi, rumori (prodotti dal tamburellare sulla propria pancia), disturbi e imbostate: molte apparizioni mostruose riportate dalle leggende sono senza dubbio opera sua. Un gran rompiscatole molesto, insomma, niente a che vedere con la furba (e vendicativa) kitsune... Nell'immagine, sempre da <em>Inuyasha,</em> compare Hachiemon, il servitore del monaco Miroku: un grosso e grasso, tonto e pauroso tanuki. E' stato scelto per poter fare un esempio da anime e manga, come negli altri casi, ma credo possa incuriosire di più il fatto che Mario, star del videogioco Super Mario Bros. 3, possa trasformarsi in <a href="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Dizionario%20B1/mariotanuki.jpg" target="_blank">tanuki</a> e diventare così una statua di jizo (comportamento tipico del nostro mostro)...<br/><img align="cssRight" style="margin: 0pt 0pt 10px 10px; float: right;" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Dizionario%20B1/tengu.jpg" alt="" />- <strong>Tengu</strong> (<strong>AGGIUNTA DEL 30.04.08</strong>; grazie a InitialDwe e Deeproad per le segnalazioni nei commenti, che ho ripreso in parte per creare la voce). Il tengu è una pericolosa, in quanto irascibile, vendicativa e arrogante, creatura che abita montagne e foreste. La sua rappresentazione più diffusa é quella di un volatile antropomorfo con la faccia rossa e un lungo naso. Sono creature dagli enormi poteri e valorosi combattenti, a volte considerate alla stregua di divinità (v. commento #33 di Dwe). Secondo Shigeru Mitsuki (l'autore dell'Enciclopedia illustrata cui ho fatto riferimento) l'origine del mito dei tengu è da ricercarsi nella presenza di asceti ed eremiti sulle montagne giapponesi: credo però che a pensarla così si perda una parte del fascino di questo mostro... Nell'immagine c'è Kurama, la principessa dei Tengu, che in <em>Lamù</em> sono extraterrestri (vi rimando al commento #39 di Deep - che ha trovato l'esempio - per un breve approfondimento).<br/><strong>- Akuma, Oni... e Magia!</strong> Oni e akuma sono alcuni tra i tanti tipi di <em>bakemono</em>, e sono anche sinonimi tra loro. Significano entrambi demone, diavolo, ma naturalmente esistono sfumature di significato ed usi specifici, che per noi che non viviamo in Giappone è difficile comprendere. Proviamo a farci comunque un'idea...<br/><strong><img align="cssRight" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Dizionario%20B1/lamu.jpg" style="margin: 0pt 0pt 10px 10px; float: right;" alt="" /></strong>Vi pregherei di far caso al legame che c'è tra i termini <em>Oni</em>, <em>Akuma</em> e <em>Mahou</em> ("magia") aiutandovi coi kanji dell'immagine. <em>Akuma</em>, abbiamo detto, significa "demone", e viene associato soprattutto all'idea occidentale di "creatura degli inferi": è composto da due parti, AKU- scritto col kanji che vuol dire cattivo e -MA con quello che da il concetto di entità demoniaca. Questo secondo kanji compare anche nel termine <em>Mahou</em> insieme ad -HOU, il cui kanji vuol dire regola, metodo: insomma, le regole che permettono il controllo del mondo demoniaco. Brrrrr. Infine, credo abbiate notato come, all'interno del kanji che sta per MA-, tra i tanti disegnini (il termine tecnico è <em>radicali</em>) ci sia anche quello che vuol dire ONI... Non resta che chiarire cosa sia un oni: beh, è il diavolo per i giapponesi, spesso di carnagione scura, grosso e muscoloso e dotato di corna zanne e sguardo truce. Beh, a voi le conclusioni!<br/>Ah, di akuma si parla in <em>D.Gray-man</em> (e infatti chi li caccia ha la qualifica di esorcista), e per chi non lo sapesse, Lamù è senz'ombra di dubbio un oni!<br/><br/>Per concludere, segnalo il testo cui ho fatto riferimento e da cui sono tratte le immagini dei mostri: l'<em>Enciclopedia dei mostri giapponesi</em>, di Shigeru Mizuki, Edizioni Kappa (due volumi, A-K del 2004 e M-Z del 2005). Provate a rivedere <em>La città incantata</em> e <em>La principessa Mononoke</em> (by Miyazaki) dopo aver sfogliato questi due volumi, vi si aprirà un mondo!<br/>Vi consiglio anche un paio di anime, <em>xxxHOLiC</em> e <em>Tactics</em><a href="post/16822508/#8"><sup>8</sup></a>: praticamente sono entrambi (seppure in maniera molto diversa) un'enciclopedia a puntate sui mostri giapponesi, che non solo vengono citati, ma le cui apparizioni sono spesso accompagnate da spiegazioni di origini, caratteristiche e modi di affrontarli. Proprio per questa loro peculiarità non sono anime facilissimi da seguire, ma restano una miniera di notizie interessanti.<br/><br/><hr width="100%" size="2" /><br/><strong>NOTE</strong><br/><br/><font size="1"><a name="1"><sup>1</sup></a> <em>Ranma ½</em>, di Rumiko Takahashi. Manga edito in Italia dalla Starcomics; anime di 161 episodi trasmesso da varie reti italiane. La canzone è <em>Yasashii, Ii Ko ni Narenai</em> (= non posso diventare una ragazza buona e brava), cantata da Noriko Hidaka (doppiatrice giapponese di Akane) e contenuta nel CD <em>Ranma 1/2: 1991 Song Calendar</em>.<br/><a name="2"><sup>2</sup></a> <em>Neon Genesis Evangelion</em>, ideato dallo Studio Gainax. Manga di Yoshiyuki Sadamoto edito in Italia dalla Planet Manga (serie in corso); anime di 26 episodi trasmesso in Italia da Mtv.<br/><a name="3"><sup>3</sup></a> <em>Zero no soukoushi</em>, di Kaori Yuki. Manga edito in Italia </font><font size="1">dalla Planet Manga </font><font size="1">col titolo <em>Zero - Il maestro dei profumi</em>.<br/><a name="4"><sup>4</sup></a> <em>Saiyuki</em>, di Kazuya Minekura. Manga edito in Italia dalla Dynit (I serie completa; II serie - <em>Saiyuki Reload</em> - in corso); anime di 50 episodi trasmesso da Mtv col titolo <em>Saiyuki e la leggenda del demone dell'illusione</em> (mancano III e IV serie). Ulteriori approfondimenti nel post <em>Saiyuki</em> di questo blog, come da link nel testo.<br/><a name="5"><sup>5</sup></a> <em>Lamù</em>, di Rumiko Takahashi. Manga edito in Italia dalla Starcomics; anime di 195 episodi trasmesso da varie reti italiane.<br/><a name="6"><sup>6</sup></a> <em>Inuyasha</em>, di Rumiko Takahashi. Manga edito in Italia dalla Starcomics (serie in corso); anime di 167 episodi trasmesso da Mtv.<br/><a name="7"><sup>7</sup></a> <em> Naruto, </em>di Masashi Kishimoto. Manga edito in Italia da Planet Manga (serie in corso); anime di 220 episodi in corso su Italia 1 (I serie); la II serie (<em>Naruto Shippuuden</em>) è tuttora in prosecuzione in Giappone e verrà trasmessa in Italia sempre da Italia 1.<br/><a name="8"><sup>8</sup></a> <em>Tactics</em>, di Sakura Kinoshita. Manga inedito in Italia (serie in corso); anime di 25 episodi (I serie) recuperabile sottotitolato in italiano.<br/>Per gli altri titoli citati ma non segnalati in questa nota, si fa riferimento alle voci precedenti del dizionario.<br/><br/></font>Copyright di immagini e video degli aventi diritto.<br/><br/><strong> Argomenti correlati</strong>: <a target="_blank" href="http://imagoaltrove.splinder.com/post/11583558/Dizionario%3A+1-10">Dizionario: 1-10</a>, <a target="_blank" href="http://imagoaltrove.splinder.com/post/15303710/Dizionario%3A+A">Dizionario: A</a>, <a target="_blank" href="http://imagoaltrove.splinder.com/post/20545584/Dizionario%3A+B+(2)+-+C">Dizionario: B (2) - C</a><br/></div>ImagoAltrovehttp://www.blogger.com/profile/14725579928464469991noreply@blogger.com44tag:blogger.com,1999:blog-4270418888591832432.post-5831453367705507122008-04-03T00:54:00.001+02:002011-11-30T21:21:58.154+01:00Paradise Kiss<strong>ANIME</strong><br/>La vicenda è ambientata nel mondo della moda, un po’ come <em>Gonkinjo Monogatari </em>(“Curiosando tra i cortili del cuore”, solite traduzioni italiane), da cui l’autrice riprende alcuni personaggi. L’anime è tratto dall’omonimo manga di Ai Yazawa. Le puntate, per la precisione <em>stage</em>, sono insolitamente 12 e non risulta nessun OAV. Consigliato a quel pubblico che sta attraversando il drammatico passaggio verso l’età adulta.<br/><br/><strong>TRAMA</strong><br/>La vita di una ragazza diciottenne viene stravolta nel momento in cui conosce un gruppetto di ragazzi creativi, che sa cosa vuole e che insegue i propri sogni. Per Yukari sarà il momento di fare i conti, per la prima volta, con l’amicizia, l’amore e le ambizioni, di cambiare la propria vita e scegliere il futuro che desidera maggiormente, senza dover sottostare alle ambizioni altrui.<br/><br/><strong>PERSONAGGI</strong><br/><em><img src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/mulaky/2000486423251949842_rs.jpg" style="margin: 0pt 10px 10px 0pt; float: left;" alt="" />Yukari Hayase</em> non può che essere la protagonista della serie. Ragazza dotata di carattere, che però diventa fragile quando si tratta dei suoi affetti. Studia moltissimo per accontentare la madre, che è sempre insoddisfatta dell’operato della figlia perché dovrebbe sempre primeggiare rispetto a chiunque. E' stata battezzata <em>Caroline</em> da Miwako e da qui nasce <em>Carrie</em> per Isabella. Intraprenderà una turbolenta storia d’amore con George.<br/><br/><br/><em><img src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/mulaky/2000463278133085097_rs.jpg" style="margin: 0pt 0pt 10px 10px; float: right;" alt="" />George/Joji Koizumi</em>, lo stilista di Paradise Kiss (o <em>Parakiss</em>, l’etichetta). E' parecchio eccentrico basta, infatti, notare i suoi abiti. Ha delle idee assolutamente geniali, non si può dire lo stesso del suo carattere. E’ generalmente un tipo gentile, anche se con Yukari certe volte sono scintille (in tutti i sensi).<br/><br/><br/><img src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/mulaky/2003500838130205943_rs.jpg" style="margin: 0pt 10px 10px 0pt; float: left;" alt="" /><em>Miwako Sakurada</em> da’ una mano al gruppo, non avendo la creatività di tutti gli altri. Si sente inferiore alla sorella Mikako che è diventata una grande stilista e sa di non poter essere come lei. E’ fidanzata con Arashi ed è stata amica d’infanzia di Hiroyuki. Legherà moltissimo con Yukari.<br/><br/><br/><img src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/mulaky/2003588505148692059_rs.jpg" style="margin: 0pt 0pt 10px 10px; float: right;" alt="" /><em>Arashi Nagase</em> è il classico duro dal cuore d’oro. L’aspetto non è certamente dei più confortanti dato i suoi innumerevoli piercing (o spille da balia), tanto che il primo incontro con Yukari è tutto un programma! Anche lui è stato amico d’infanzia di Hiroyuko. Cuce gli abiti e fa parte di una band.<br/><br/><br/><img src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/mulaky/2000466220379860969_rs.jpg" style="margin: 0pt 10px 10px 0pt; float: left;" alt="" /><em>Isabella</em> disegna le stoffe. Anche se dall’aspetto non si direbbe, è un travestito e conosce George da sempre. Scopriamo qualcosa in più sulla sua vita e sulla sua infanzia proprio nelle ultime due puntate della serie. E’ una persona veramente dolce, premurosa e affabile. L’amica che tutti vorrebbero avere.<br/><br/><br/><em><img src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/mulaky/2000410869433522428_rs.jpg" style="margin: 0pt 0pt 10px 10px; float: right;" alt="" />Hiroyuki Tokumori</em> è il classico bravo ragazzo studioso, il tipo che ogni madre vorrebbe come genero. E’ un tipo molto riservato e molto gentile. Yukari, che inizialmente aveva una cotta per lui, è una sua compagna di classe e lui le è molto affezionato. Il ragazzo è un po’ sfigatello in amore, infatti, anni prima Miwako scelse Arashi tra i due amici.<br/><br/><br/><strong>Curiosità</strong><br/><ul><br/> <li>Assolutamente da ascoltare le due sigle, la prima poi è eccezionale: <em>Lonely in Gorgeous</em> di Tomoko Kawase e <em>Do You Want To</em> dei Franz Ferdinand (il nome della band comparirà in una scena). <br/> <br/> </li><br/> <li>Il nome di George. Noi occidentali siamo abituati alla pronuncia inglese, ma guardandolo in lingua originale il suono è diverso. Pensando che fosse un errore dei traduttori ammetto di averlo cercato su internet e ho scoperto che “Il nome <em>Joji </em>è la pronuncia giapponese del nome <em>George</em> <a href="post/16585968/#PD1"><sup>[1]</sup></a>”. <br/> <br/> </li><br/> <li>Nella sigla di apertura compare Arashi che canta e il pubblico che poga. In effetti, questa scena non si è mai vista nell’anime. La scena finale riprende le caricature, parecchio divertenti, dei personaggi.<br/> </li><br/></ul><br/><br/><u>Impressioni</u>:<br/>Per chi la conosce, Ai Yazawa (il già citato <em>Curiosando nei cortili del cuore</em> e <em>Nana</em>) è famosa per il suo tratto che personalmente non rientra nei miei gusti, ma, nonostante questo, mi sono piaciuti proprio molto gli occhi di Yukari. Non apprezzo il disegno del make-up, né tanto meno le capigliature, ma in generale proprio il tratto. Mi sono resa conto che i colori non sono molto brillanti, alcuni addirittura sono un po’ smorti, ma è probabile che siano stati scelti proprio di queste tonalità per adattarsi perfettamente alla storia che, in alcune sequenze, è intervallata da immagini reali. Una scelta interessante, dopotutto, che si vede davvero poco in giro.<br/>I personaggi sono variegati e hanno una loro psicologia: troviamo il ragazzo rude dal cuore d’oro, la ragazza sensibile e sorridente, lo sfigato di turno che però è il classico bravo ragazzo, e così via, ma di tutti, un po’ alla volta, comprendiamo i pensieri, le emozioni, le sensazioni. Infatti, non sono poche le volte che entriamo anche noi nella storia, magari al posto di quegli stessi ragazzi o comunque come pubblico attivo. Alla fine, benché la storia non sia proprio comune, quei ragazzi lo sono. Se togliamo la “moda” e la sostituiamo genericamente con “passione” (hobby sarebbe certamente inappropriato), allora sì in questo caso, avremo una storia più facilmente “nostra”. Tutti avranno conosciuto nell’età d’oro (la giovinezza, ma non solo) un ragazzo carismatico ed enigmatico come George, apparentemente non molto cortese da “fidanzato” (tanto da farmi ricordare la famosa canzone <em>Teorema</em>), ma è nei piccoli gesti che si nota tutto il contrario (un caso eclatante non può che essere il famoso <a href="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/mulaky/2003567320794154990_rs.jpg" target="_blank">anello </a>a forma di farfalla fatto con le perline). George indossa una maschera. La risposta al “perché? ” è identica a quella che ci diamo ogni giorno. E tutti avranno conosciuto una Yukari, bella ragazza ma glaciale col prossimo per due motivi: uno perché la madre non è così espansiva, e l’altro perché studiando e vivendo per lo studio non ha molte occasioni di relazionarsi con la gente, con i suoi coetanei. E l’elenco si potrebbe fare per tutti i personaggi.<br/>Le colonne sonore non sono messe lì tanto perché ci vuole un po’ di musica. I due pezzi, di apertura e di chiusura, predicono, anticipano la storia ma saranno capite solo man mano che si procederà nella visione delle puntate e si giungerà alla fine. La sigla di apertura è il preambolo per eccellenza, è come se dicesse “è questo che vi dovete aspettare” ma si capirà veramente alla fine. Io sono rimasta molto colpita dalla sigla iniziale per questo motivo, l’ho trovata assolutamente geniale, un’ottima sigla per anime. Oltretutto è anche molto bella, a prescindere.<br/><br/><a href="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/mulaky/2006042765244189256_rs.jpg" target="_blank"><img src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/mulaky/2006026776096670599_rs.jpg" style="margin: 0pt 10px 10px 0pt; float: left;" alt="" /></a> Ma allora <em>Parakiss </em>che cos’è?<br/>Ottima domanda! <em>Parakiss </em>è sostanzialmente una storia di passioni: passione per qualcosa, per qualcuno, passioni sopite. E’ anche una storia passioni represse per un fine più grande che può essere un’amicizia o la crescita dei personaggi. Capire se è giusto continuare qualcosa che ci fa stare male o no, capire se le amicizie possono essere recuperate, capire che bisogna solo prestare la propria spalla. Capire, infine, che dopotutto, anche se sono necessari parecchi anni il dolore scema, eppure il ricordo rimane magari anche solo in un angolino di noi stessi, ma è lì e non andrà mai via. Forse è questa l’interpretazione più giusta che si possa dare all'anime (che poi è un manga). Parlare della moda, della storia d’amore sarebbe riduttivo.<br/>Premetto che quest’anime, in realtà, l’ho guardato più per curiosità piuttosto che per interesse vero e proprio. Dopo la terza puntata, però, mi sono dovuta ricredere sul perché lo stessi guardando e intuendo la risposta ho deciso di vederlo fino in fondo. Ero curiosa perché me ne avevano parlato brevemente, ma inconsciamente era già scattato qualcosa (la curiosità, appunto) altrimenti non l’avrei certo cercato! Se non fossi arrivata alla terza puntata, probabilmente, non avrei continuato la visione per il tratto che, come ho già detto, non rientra fra le mie preferenze. La vicenda, per fortuna, è andata diversamente. E mi sono addentrata nel tunnel. Avrebbero potuto (dovuto!) allargare la storia, anche se non c’è nulla di intentato o lasciato a metà. In realtà le 12 puntate sono perfette, bisogna darne atto. La pecca insopportabile è la fine. No, davvero, è paurosa. Intendiamoci ci può anche stare, ma non può finire in quel modo. E’ contro tutte le leggi che governano la finzione! Ma volendo accontentarsi di quel finale (cosa alquanto impossibile per come è articolata la storia), l’ultimo minuto è decisamente troppo. Per la precisione sono sessantacinque secondi (cronometrati) in cui ci si domanda solo una cosa: perché. Forse, da un certo punto di vista, la vita è meglio. Mi spiego meglio: nel “reale” si sa che le cose potrebbero andare in un certo modo poiché la “vita” ha in sé parecchi significati positivi e pure negativi. Si sa a cosa si va incontro, insomma. In un anime (o manga) ci sono altre aspettative: la finzione e quindi il contrario di quello che può accadere realmente. Quando queste aspettative vengono stravolte, il risultato è un coinvolgimento emotivo a ridosso dell’ira funesta di Achille. Quantomeno è quello che è capitato a me durante quei secondi.<br/>Riassumendo dell’anime mi è piaciuta la storia, ma soprattutto i tratti psicologici dei personaggi. E la musica. Tutto il resto fa assolutamente da contorno, è un qualcosa che aggiunge e che non leva nulla. La fine, comunque, per me è stata pessima, come se fosse stata scritta giusto perché bisognava concludere il tutto. Ho sempre detestato questo genere di conclusioni perché rinnegano un po’ tutta la storia. Ma questa, signori miei, questa fine è veramente atroce!<br/><br/><strong>MANGA</strong><a href="post/16585968/#PD2"><sup>[2]</sup></a><br/>La prima edizione del manga di <em>ParaKiss </em>fu distribuita dalla Planet Manga a partire dal dicembre 2001 ed era costituita da 10 volumetti al prezzo di 2,32 euro cadauno. Attualmente, ne è in corso la ristampa sotto forma di Collection: 4,50 euro per ogni volume (sono in totale 5). <br/>Il tema principale su cui verte tutta la storia è sicuramente la passione. Che sia passione fra uomo e donna o quello per la famiglia o l'amicizia, conta poco dal momento che saranno temi che si intrecceranno inevitabilmente fra loro di continuo, coinvolgendo protagonisti e personaggi di secondo piano. Ma non possiamo non notare anche la presenza, forte, della passione nei confronti delle proprie abitudini e attinenze, come confezionare abiti. Un compito ben lontano dall'obiettivo scolastico cui Yukari è stata indirizzata fin dalla più tenera età ma che la trascinerà in questo vortice all'improvviso, a partire dal momento in cui si ritroverà a fare da modella per la sfilata di fine anno accademico dell'istituto <em>Yaza </em>(evidente il richiamo al cognome dell'autrice). La passione per la moda è sicuramente il perno di tutta la narrazione poiché ogni personaggio si ritroverà a dare anima e corpo per terminare il lavoro, a sacrificare il proprio tempo libero per tagliare e cucire, a mettere i propri mezzi e le proprie finanze per comprare tessuti e accessori. Insomma, tutto il manga è l'elogio al sacrificio inteso in primis come voglia di riuscire per portare a termine un impegno ma anche per poter essere soddisfatti di se stessi, sempre e comunque, indipendentemente dalle imposizioni esterne e dai giudizi spesso fin troppo critici. E' questo un messaggio importante che la Yazawa ha voluto dare pagina dopo pagina, sotto diverse forme e sfaccettature.<br/>Ogni capitolo prende il nome di <em>Stage </em>e i personaggi sono disegnati con una cura maggiore rispetto all'anime, perfetti nei lineamenti del viso ma soprattutto negli abiti, ricchi di particolari e sempre accompagnati da accessori.<br/>Tutti i protagonisti, in tempi e modi diversi, subiscono un'evoluzione pagina dopo pagina, che si traduce soprattutto come una serie di cambiamenti mirata a renderne più maturo il carattere e più consapevoli le azioni. E' necessaria però una lettura attenta ed esente da distrazioni, perché sovente le espressioni di un viso sono più eloquenti di un qualsiasi dialogo.<br/><a href="http://i218.photobucket.com/albums/cc102/utopia3585/parakissnanan.jpg" target="_blank"><img src="http://aycu40.webshots.com/image/51639/2005110751796577778_rs.jpg" style="margin: 0pt 0pt 10px 10px; float: right;" alt="" /></a> Il più enigmatico fra tutti è <em><a href="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/mulaky/jojiwj5.jpg" target="_blank">Joji Koizumi</a></em>. I tratti delicati gli donano un inevitabile tocco di classe e un fascino maggiore, lasciano inoltre intendere, prima di ogni spiegazione dell'autrice, il suo sangue misto. Il modo di fare del giovane non appare subito chiaro, infatti capita di aspettarsi da lui tutto l'opposto di quello che farà; ciò fa sì che ci si abitui al suo lato un po’ dongiovanni e menefreghista in modo graduale, a differenza della trasposizione su schermo dove tutto è stato accelerato e molti passaggi non sono stati spiegati a dovere a causa delle poche puntante a disposizione. Joji è senza dubbio il più affascinante fra tutti, forse per il suo porsi da arrogante ed intrigante allo stesso tempo e per le sue imprevedibili carinerie; la Yazawa vi è molto affezionata, tanto da citarlo anche in <em>Nana</em><a href="post/16585968/#PD3"><sup>[3]</sup></a> (vedi anteprima a destra).<br/>Un personaggio che suscita da subito curiosità è invece <em><a href="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/mulaky/isabellaok8.jpg" target="_blank">Isabella</a></em>. E' l'addetta ai fornelli dell'atelier, oltre che collaboratrice della collezione <em>ParaKiss. </em>Nel manga ha sempre vestiti eccentrici e unghie impeccabili, nonchè una certa raffinatezza nei modi di fare; spesso, però, ha un make-up fin troppo eccessivo (cosa che è molto evidente nel manga, meno nell'anime), fa uso di accessori molto vistosi e dalle mani trapela un che di "stonato": questo perché, come sarà possibile comprendere a storia inoltrata, in realtà è un ragazzo. Un ragazzo che non ha mai accettato, fin da piccolo, il suo sesso e che poco a poco ha deciso di cambiare totalmente identità, grazie soprattutto all'appoggio di Joji, suo amico di infanzia per il quale rivelerà indirettamente d'avere una cotta.<br/>L'ultimo ragazzo della compagnia è <a href="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/mulaky/arashi2wr2.jpg" target="_blank"><em>Arashi Nagase</em></a>, che nei tratti del manga è un incrocio fra Nobu e Shin di <em>Nana </em>mentre nell'anime è quello che è stato disegnato peggio; è il personaggio cui la Yazawa ha affidato il proprio interesse per la musica, avendogli donato, oltre alla passione per la moda, quella per la chitarra. E' il personaggio che richiede sicuramente più tempo per essere conosciuto, dato che inizialmente ha un ruolo molto marginale soprattutto per il fatto che viene messo in ombra da Miwako, la sua chiassosa fidanzata.<br/><a href="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/mulaky/2005703011350562298_rs.jpg" target="_blank"><em>Miwako Sakurada</em></a>, a dispetto di quel che può sembrare, è il personaggio chiave di tutta l'opera; è la sorella di Mikado Koda, proprietaria della linea d'abbigliamento "Happy Berry" e che abbiamo già visto in <em>Gokinjo Monogatari</em>. Miwako ha una personalità frizzante e sbarazzina; è un incrocio fra una lolita giapponese ed una bimba che accoglie le belle novità con tanto entusiasmo. In realtà, nonostante l'indole spensierata, ha un lato del suo carattere che tende a celare, ovvero quello più insicuro, che si manifesta sia nei confronti del suo amore per Arashi, messo in dubbio in seguito all'incontro con il suo amico di infanzia <a href="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/mulaky/tokumoripl3.jpg" target="_blank"><em>Hiroyuki Tokumori</em></a> (figlio del proprietario del pub "Blue Parrot", anche lui visto in <em>Gokinjo Monogatari</em>), sia nei confronti della sorella stessa, stilista affermata e richiesta che sente non riuscirà mai ad eguagliare.<br/>L'ultima descrizione tocca alla protagonista assoluta, <a href="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/mulaky/yukarieh2.jpg" target="_blank"><em>Yukari Hayasaka</em></a>. La storia si apre proprio con lei che, molto irritata, incontra casualmente Arashi ed Isabella per le strade di Tokyo. E' una ragazza molto fragile, che racchiude in sé tutte le caratterizzazioni negative tipiche delle liceali: è insicura e ansiosa, è oppressa dalla famiglia che vuole a tutti i costi che lei sia la prima a scuola, è incapace di avere relazioni interpersonali e se ne sta sempre chiusa nel suo mondo di libri per prepararsi agli esami che le consentiranno di accedere all'università. Non ha passioni, non ha sogni. Tutto questo finché, un giorno, si troverà catapultata contro la sua volontà nel mondo di <em>ParaKiss</em>. Caroline, inconsciamente, ha dentro di sé un'indole molto ribelle che ha bisogno di una spinta molto forte per essere tirata fuori Una spinta che le verrà data proprio dall'amore.<br/><br/><hr width="99%" size="2" /><br/><strong>NOTE</strong><br/><br/><div align="left"><font size="1"><a name="PD1"><sup>[1]</sup></a> Fonte <a href="http://www.wikipedia.it" target="_blank">Wikipedia</a>.</font><br/></div><br/><font size="1"><a name="PD2"><sup>[2]</sup></a> Recensione curata da <a href="http://utopiantro.splinder.com" target="_blank"><strong>Utopia</strong></a>, la nostra fondatrice, alla quale va il mio più sentito ringraziamento.<br/><a name="PD3"><sup>[3]</sup></a> Nana collection #4, <em>La stanza di Junko</em>.</font><br /><br/><br/><br />Scritto da <a title="Visita il profilo di mulaky" href="http://www.blogger.com/profile/06811257343440160760" target="_blank">mulaky</a><br/><br/>ImagoAltrovehttp://www.blogger.com/profile/14725579928464469991noreply@blogger.com20tag:blogger.com,1999:blog-4270418888591832432.post-10948677566906471762008-01-28T12:30:00.000+01:002011-11-30T20:18:09.844+01:00Il lungometraggio nel Cinema d'animazione: come Walt Disney diede un
tocco di rinnovamento ad un'arte imbrigliata in se stessa<p>Quando negli anni Trenta l’esplosione del Cinema d’animazione sembrava non conoscere limiti - con l’errata e diffusa credenza che il disegno animato di serie fosse la sola ed unica forma per implementarne il successo di platea – una confusionaria ed oltremodo eterogenea realtà si presentava agli occhi della critica. Ma fu soprattutto il pubblico a risentire maggiormente di questa situazione, nella misura in cui si trovava di fronte a stili, tecniche e metodi di fruizione del suddetto prodotto filmico senza che una necessaria scansione didattica ed una visione pragmaticamente ben definita lo accompagnasse durante il suo approccio passivo con l’arte dell’animazione.<br/>L’approfondimento e lo studio dell’espansione di questo fenomeno cinematografico sono argomenti piuttosto interessanti, ma almeno altrettanto vasti e complessi da richiedere un impegno maggiore di quello ad essi ivi dedicato. Per questo, dando per scontate le origini “preistoriche” del disegno animato nel Mondo - e le sue (talvolta) autoproclamate finalità – individuabili in nomi quali P. Terry o i fratelli Fleischer, si può tranquillamente affermare che un vero e proprio periodo di svolta in quell’intricata situazione di stallo nel Cinema d’animazione è rappresentato proprio dagli anni Trenta del Novecento, periodo storico per antonomasia ed in cui il Cinema d’animazione ha finito per occupare una fetta predominante dei consensi indirizzati da parte del pubblico nei confronti più generalmente della Settima Arte. <br/>E’ presupposto dell’industria cinematografica tutta quel dato di fatto che, sebbene all’apparenza banale, è sempre importante non sottovalutare: più i produttori investono, più il prodotto si vende con largo successo e soddisfacenti risultati. Per questo, mentre le ragioni dell’arte faticavano ancora a trovare una retta via su cui immettersi, quelle del commercio avevano già intuito che, nonostante la confusione generale, il Cinema d’animazione era un ottimo pretesto per ottenere lauti guadagni. Una mentalità tipicamente americana, che se talvolta ha ucciso l’anima pura (ed incontaminata dai pregiudizi materiali) degli artisti che per necessità vi ricorrevano, talaltra è riuscita a conciliare le esigenze di mercato con la più alta espressione dei talenti al momento in crescita. <br/>Walter Elias Disney (1901 –1966) può dirsi l’uomo che meglio ha sposato questa filosofia (per ulteriori approfondimenti, fare riferimento a <a href="http://imagoaltrove.splinder.com/post/11280327" target="_blank">questo</a> post). L’avvento nel mondo dell’animazione da parte sua è cosa nota ai più, così come il suo apporto innegabile nei confronti dello stesso è storia condivisa dalla maggior parte degli appassionati del genere. Ciò che spesso non viene tenuto in considerazione, piuttosto, è quella sua indiscutibile capacità di districarsi nel caos cui l’arte dell’animazione era pervenuta (e che in buona parte dipendeva anche da lui) innovando questa branca della cinematografia mondiale tramite l’immissione di un format inedito che cambiava radicalmente l’utilità pratica del disegno animato, almeno negli USA: il lungometraggio. Una formula che pareva novità assoluta in quest’ambito, ma che in realtà non può vantare a tutti gli effetti il primato mondiale, essendo anagraficamente seconda (e non di poco: vent’anni) all’opera dell’animatore argentino, di origine italiana, Quirino Cristiani, intitolata <em>El Apostol</em> (1917). <br/>Dopo aver riscontrato un inaspettato successo per il personaggio di Mickey Mouse (in Italia noto come Topolino) - la cui paternità è probabilmente attribuibile ad Ub Iwerks – giustificabile forse con la capacità di quest’ultimo di precorrere i tempi e di idealizzare la coscienza collettiva dell’America catturando sguardi, attenzioni e risate, l’evoluzione del Cinema d’animazione di Wal Disney e dei suoi fedeli “aiutanti” non si è fermata di fronte allo scoglio della non comprensione data dallo stravolgimento del tessuto narrativo e tecnico: i primi film che vedevano protagonista il topo/ragazzo che incarnava da un lato la semplicità dell’americano medio, dall’altra parodiava le gesta eroiche del suo tempo di svariati personaggi che avevano conquistato il cuore degli americani (e così facendo, Topolino sapeva cavalcare l’onda del successo), erano caratterizzati dalla timorosa aderenza del mezzo cinema verso il reale (in questo, appunto, non distaccandosi molto dal Cinema “del vero”, così come lo si usava definire, in contrapposizione a quello d’animazione), spesso attenendosi agli schemi preimpostati da esso, talvolta ricalcandone letteralmente le vicende raccontate (<em>Gallopin’ Gaucho</em>, del 1928, per esempio). Più spesso accadeva che fosse la realtà sociale americana a fungere da fucina di idee e progetti, dimostrando come il disegno animato negli anni Trenta fosse dotato di una dirompente carica di ironia, spesso comicità, talvolta velato sarcasmo che riempivano il cuore del pubblico di nostalgico senso di appartenenza. </p><br/><p><img src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/richmond/f6984d681f01d7c7acd4e3f69002c03e.jpg" alt="Mickey Mouse[1]" style="margin: 0px auto 10px; display: block; text-align: center;" />Ma ciò che a tutti gli effetti mancava al <em>Cinema del Disegno</em> era una doverosa coscienza autonoma, qualcosa che lo slegasse dalla realtà pratica e materiale di tutti i giorni e che facesse dell’animazione non più un genere narrativo, ma una tecnica cinematografica. Questa fase ambigua del Cinema d’animazione ha condizionato pesantemente critica e pubblico che, negli anni, non sono stati capaci di intravedere la comicità o la drammaticità, lo spirito moralista o la cruda sagacia, il vivido erotismo o il bigottismo sofisticato, il noir o l’epica nei “cartoni animati”, “accomunando” superficialmente opere come <em>Shrek </em>e <em>Lupin III</em> per il solo fatto che sono entrambe caratterizzate dall’animazione del disegno. <br/>Questo falso storico è qualcosa che tutt’ora svilisce l’arte dell’animazione. L’incapacità di riconoscere in essa non un genere, ma una tecnica per narrare attraverso più generi (o più personalità artistiche espresse) ha sminuito il Cinema d’animazione e non ne ha permesso una necessaria conoscenza da parte del pubblico. In realtà, personalità come quella di W. Disney, sono state in grado di fornire alla tecnica e all’arte dell’animazione una sua peculiare coscienza indipendente, un modo per slegarsi dalle canalizzazioni teoriche. Con il disegno animato Walt Disney ha raccontato l’America semplice di Topolino. Ma resosi conto che tutto ciò imbrigliava notevolmente l’arte che sosteneva, ha preferito evolversi, per lasciare libero sfogo ad essa. E’ in questa fase che nascono le <em>Silly Symphonies</em>. Ma ciò che preme sottolineare non è tanto l’avvento di una nuova branca nelle serie animate, quanto piuttosto di una nuova filosofia cui le stesse si rifanno. A questo punto il realismo non bastava più. Disney ed Iwerks guardavano all’animazione come alla possibilità di infrangere le barriere del fantastico e del sogno, rifuggendo la verità (per quanto raffinata, nel tempo) per narrare fiabe e costruire un mondo nuovo, fatto di surreale commozione e languida rappresentazione della vita. Si innescavano meccanismi di esteriorizzazione dei sentimenti, caramellando ed infantilizzando le immagini. Le scarpe larghe ed i tratti appena accennati di Topolino erano ormai acqua passata; fu lo stesso Walt Disney a smentire coi fatti la sua programmatica precedente, caratterizzata da una dichiarazione esemplare della sua mentalità pragmatica riguardo alla creazione del personaggio di Mickey Mouse: <em>Cinque dita ci parvero troppe per un esserino così piccolo, così gliene levammo uno. Un dito di meno da animare</em>. <br/>Una corrente molto più raffinata, quasi snob sembrava invece, appunto, soffiare in quel periodo negli <em>studios di Burbank</em>. Si suggerivano valori o dogmi etici, ma mai prendendo spunto dal “vero”. Ciò che prima era semplice, schematico, quasi “allergico alla sofisticazione”, sarebbe divenuto una totale trasfigurazione della realtà: non ciò che il Mondo era, ma ciò che esso avrebbe voluto essere. <br/>E’ bene precisare, però, che in verità per arrivare a questa totale autonomia dell’animazione (per lo meno disneyana) si dovette passare attraverso un periodo di gretta sperimentazione. In altre parole, quelle <em>Silly Symphonies</em> che oggi apprezziamo tanto, sono servite unicamente da virtuosistico e manieristico esercizio di stile. Con esse Disney aspirava alla perfezione tecnica, una tensione che si sarebbe portato dietro e che avrebbe reso un vero perno di tutta la sua industria dello spettacolo. Qualcosa che, in un periodo così denso di cambiamenti, raggiunse il suo culmine con l’introduzione della <em>multiplane camera</em>: inaugurata con la <em>Silly Simphony</em> intitolata <em>The Old Mill</em> (1937), questa tecnica che ricercava preziosismi e perfezionamenti nell’ambito della rappresentazione della profondità – avvicinandosi alla tridimensionalità del soggetto rappresentato – consiste in un congegno che permette di porre i personaggi su un livello sfalsato e sovrapposto rispetto a quello delle scenografie o dei paesaggi.</p><br/><p> </p><br/><div align="center"><img src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/richmond/bfbb659fd9bf229cc059fe5232850575.jpg" alt="" /><br/></div><br/><p> E’ con questa determinazione (che nel periodo della guerra costerà anche diversi dissapori e malumori all’interno dell’azienda, capaci di sfociare in uno sciopero davvero improduttivo per la Walt Disney) che il magnate dell’animazione più famoso al mondo è riuscito a farsi strada nella selva di stili e di opere anonime (per i non appassionati), imponendosi sulla scena mondiale e sviluppando per l’animazione quella coscienza autonoma e personale, per cui una tecnica poteva finalmente dirsi slegata dalle definizioni dottrinali e farsi mezzo unicamente stilistico per esprimere l’arte. Occorre però non dimenticarsi che, in questi anni che fungono da premessa vera e propria ai lungometraggi dell’animazione disneyana, Walt Disney ha saputo cogliere la palla al balzo e soddisfare le aspettative del pubblico. In fin dei conti il suo obiettivo primario era proprio quello di non deludere la piccola borghesia delle famiglie o dei benpensanti americani (e non solo). <br/>Ma è proprio nella sua capacità di fare di necessità virtù che si può individuare l’abilità di Walt Disney. Riuscire a smuovere le acque ferme, o le fronde ingarbugliate di un mondo cinematografico che stentava a riconoscere sé stesso, per ingrandire un impero, sarà forse moralmente poco apprezzabile (sfido, però, a trovare, nel Cinema tutto, un produttore che non dipenda da simili leggi economicamente condizionate), ma è indubbiamente impresa ammirevole sotto il profilo dei risultati. <br/>Tanto più se si pensa che quegli esiti a cui Disney è riuscito a giungere, si sono evoluti sfruttando l’onda del successo per divenire molto di più che un semplice tentativo di garantire il prodotto alle masse. Perché chi conosce l’universo disneyano, sa bene che i suoi lungometraggi, a partire dal sofferto ma soddisfacente esordio nel 1937 con <em>Biancaneve e i sette nani</em>, sono molto di più di un semplice ponte fra l’industria del Cinema ed il pubblico impaziente seduto sulle poltrone. Ognuno di essi contiene una storia, qualcosa di nuovo, un fascino misterioso dato proprio dalla sua peculiare ricreazione di un Mondo che nella realtà non c’è.<br/>Ed è per questa ragione che ognuno di essi merita di essere approfondito separatamente da tutti gli altri.</p>ImagoAltrovehttp://www.blogger.com/profile/14725579928464469991noreply@blogger.com7tag:blogger.com,1999:blog-4270418888591832432.post-40730915238656182762007-12-29T14:01:00.000+01:002011-11-30T20:19:26.985+01:00Dizionario: A<div align="justify"><strong>Particolarità di questo dizionario</strong><br/>Ormai trovare i significati delle parole giapponesi è veramente facile. Anche l'uso che si fa di certi tecnicismi è spiegato ovunque (pensiamo solo al vasto spazio nella Wikipedia riservato ad anime e manga).<br/>La sfida di questo dizionario non è nelle spiegazioni, ma nel modo in cui queste vengono effettuate... insomma, negli esempi, tratti da anime o manga conosciuti (potreste scoprire particolarità che non avevate notato), o poco noti (tra i quali ci potrebbero essere titoli di vostro gradimento, perchè no). Nei commenti quindi sarebbe bello poter leggere non solo i vostri pareri sul lavoro, ma anche i vostri consigli, le vostre esperienze, richieste di termini che non conoscete o magari errata corrige. Ah, anche vostri contributi, perchè no!<br/><br/><strong>Alcune note sulla pronuncia</strong><br/>La "U" praticamente non si legge ("suki" si leggerà più o meno "ski")<br/>Il dittongo "OU" si pronuncia come una "O" lunga e traslitterato si può trovare anche come "ō".<br/><br/>Specificato questo, cominciamo col dizionario vero e proprio.<br/><br/><br/><img align="cssLeft" style="margin: 0pt 10px 10px 0pt; float: left;" alt="A" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Dizionario%20A/d5017728.jpg" /><strong>A, intesa come prima lettera dell'alfabero giapponese,</strong> che col nostro ha solo questa somiglianza. Intanto, oltre ai kanji (cioè i famosi ideogrammi), vengono usati 2 alfabeti sillabici, l'Hiragana (l'alfabeto "normale") e il Katakana. Ho pensato di linkare (<a href="http://www.tokyowithkids.com/fyi/japanese/katakana/katakana1.gif" target="_blank">tabella 1</a>; <a href="http://www.tokyowithkids.com/fyi/japanese/katakana/katakana2.gif" target="_blank">tabella 2</a>; <a href="http://www.tokyowithkids.com/fyi/japanese/katakana/katakana3.gif" target="_blank">tabella 3</a>) l'immagine del katakana, l'alfabeto usato per trascrivere i nomi stranieri e per attirare l'attenzione del lettore su un dato termine (una sorta di grassetto o corsivo). Con alcuni accorgimenti (se volete li spiego nei commenti) vi permetterà di scrivere il vostro nome in giapponese.<br/>A parte questo, l'alfabeto può tornare utile nei manga e negli anime ad ambientazione scolastica, dove capita che facciano l'appello giusto per scoprire che il protagonista della serie è puntualmente assente.<br/><strong> Esempio</strong><br/>In una delle puntate di <em>Yu Yu</em><a href="post/15303710/#1"><sup>1</sup></a> accade proprio quanto detto sopra: Yusuke fa di cognome Urameshi... beh, il suo nome, cominciando con la terza lettera dell'alfabeto (e non la ventesima), è tra i primi ad essere fatto.<br/><br/><strong>AHO/AHOU = stupido</strong> (v. <a target="_blank" href="http://imagoaltrove.splinder.com/post/16822508/Dizionario%3A+B+%281%29">Baka</a>)<br/><br/><img align="cssLeft" style="margin: 0pt 10px 10px 0pt; float: left;" alt="AI" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Dizionario%20A/9621bea5.jpg" /><strong>AI = Amore</strong><br/>Termine indispensabile in anime e manga. Per gli adolescenti (e non) che amano dire "ti amo" in tutte le lingue del mondo, ecco come lo direbbero i giapponesi: 愛している ("aishiteiru").<br/>Come per noi italiani, non esiste in giapponese un solo modo per esprimere un sentimento d'amore. Molto diffuso in anime e manga è "<a target="_blank" href="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Dizionario%20A/suki.jpg">suki</a>", che letteralmente vuol dire "mi piace/i". Si può usare un po' per qualsiasi cosa (cibi compresi) ma avendo un significato molto meno "potente" di "ai" si adatta bene alle atmosfere dolci e innocenti degli shojo (i manga per ragazze): è una sorta di "ti voglio bene", insomma, e sentire "suki" al posto di "ai" da la sensazione di un sentimento delicato e affettuoso.<br/><strong>MODIFICA del 19.01.2008</strong>: ho fatto recentemente caso a un altro modo per dire "amore", cioè "<a target="_blank" href="http://img212.imageshack.us/img212/6206/koips3.jpg">koi</a>": dall'uso che ne fanno (sulla base dei miei esempi) sembra non avere particolari sfumature d'uso o intensità di sorta. E' come se descrivesse "un dato di fatto" puro e semplice, tanto che l'amante (inteso in senso etimologico) si dice "koibito", cioè "persona che si ama". (filmatino di esempio al commento #49)<br/><strong> Esempio</strong><br/><a target="_blank" href="http://www.youtube.com/watch?v=FkbfzXAGDiE">Ecco</a> alcune scene dall'anime <em>Loveless</em><a href="post/15303710/#2"><sup>2</sup></a>. Il protagonista, Ritsuka, per una serie di vicende parecchio spiacevoli, si interroga spesso su cosa sia l'Amore, ancor di più dopo aver conosciuto Soubi, che del termine "suki" fa un uso "esagerato" e a volte contraddittorio.<br/><br/><strong>AKUMA = diavolo, demone</strong> (v. <a target="_blank" href="http://imagoaltrove.splinder.com/post/16822508/Dizionario%3A+B+%281%29">Bakemono</a>)<br/><br/><img align="cssLeft" style="margin: 0pt 10px 10px 0pt; float: left;" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Dizionario%20A/326efc5d.jpg" alt="" /><strong>ANATA = Tu</strong><br/>Siamo in piena grammatica giapponese, eppure il rischio s'ha da correre per poter spiegare alcuni usi particolari a) di questo pronome, b) della resa in giapponese della seconda persona singolare.<br/>a) Per quanto grammaticalmente corretto, dire "tu/anata sei, fai, etc" non va sempre bene, anzi. Per parlare con la persona che abbiamo davanti useremo "anata" solo se vogliamo dimostrare un grado di confidenza veramente alto... tanto alto che negli anime è così che sentiamo le mogli rivolgersi al marito: in quel caso può essere tranquillamente tradotto come "caro". <br/>b) E allora come fanno a rivolgersi all'interlocutore? La forma più comune (ed educata) è il parlare in terza persona, usando come soggetto il cognome (o il nome) dell'interpellato o la professione. Esistono poi dei pronomi alternativi, il cui uso denota, di caso in caso, maggior confidenza ("kimi") o addirittura maleducazione ("omae", "anta"). "Kisama" e "temee" sono poi veri e propri insulti: è come se dicessimo "tuuuu!!! Brutto *censura*!!!".<br/><strong>Esempio</strong><br/>Per la questione dell' "anata=caro" non credo servano particolari spiegazioni, così come per gli altri pronomi citati: fateci semplicemente caso ;) . Piuttosto ecco <a href="http://www.youtube.com/watch?v=lG_J3unbi24" target="_blank">pochi secondi</a> dalla puntata 10 di <em>D.Gray-man</em><a href="post/15303710/#3"><sup>3</sup></a>, in cui è facile capire l'uso della terza persona usata come un "tu" (grazie al nome "comprensibile" dell'interpellata, Miranda(-san), con cui Allen sta parlando <u>direttamente</u>; Allen comunque parla sempre come un libro di grammatica...).<br/><br/><img align="cssLeft" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Dizionario%20A/aniki.jpg" alt="兄貴" style="margin: 0pt 10px 10px 0pt; float: left;" /><strong>ANIKI = Fratello maggiore.</strong><br/>E' un termine caro alla Yakuza, la mafia giapponese: i subalterni si rivolgono così ai loro superiori e mentori, purchè questi non siano il capo (quello lo chiamano "capo", logicamente).<br/>L'uso di un termine del genere in un manga o in un anime, inoltre, richiama la struttura mafiosa anche in contesti che di mafioso non hanno nulla, garantendo una certa ironia sia sul personaggio che usa il termine sia su colui al quale si rivolge.<strong><br/>Esempio</strong><br/><a href="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Dizionario%20A/aniki_HostClub.jpg" target="_blank">Esempio</a> fresco di edicola il numero 8 di <em>Host Club</em><a href="post/15303710/#4"><sup>4</sup></a>, in cui il primogenito di un capo della Yakuza si rivolge con questo termine a uno dei protagonisti, per esprimergli la sua devozione (non che Mori ne sia entusiasta) (ricordo che i fumetti dei manga si leggono dall'alto in basso e da destra a sinistra). Ecco <a target="_blank" href="http://www.youtube.com/watch?v=UP5jxefC1tA">la stessa scena</a> ripresa nella puntata 22 dell'anime (per la cronaca, il tipo non si chiama veramente Bossanova...).<br/><br/><img align="cssLeft" style="margin: 0pt 10px 10px 0pt; float: left;" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Dizionario%20A/anime.jpg" alt="" /><strong>ANIME = cartone animato giapponese</strong><br/>Vale sia per serie tv che lungometraggi o OAV; deriva dalla parola inglese "animation" (e infatti è scritto in katakana).<br/>Il vero pioniere dell'animazione giapponese è Osamu Tezuka, il "dio del manga", che curò personalmente la trasposizione su piccolo schermo dei suoi manga, fin dalla fine degli anni '50: l'anime di <em>Astroboy</em> (<em>Tetsuwan Atomu</em>, "l'atomo potente", come si può sentire nella <a target="_blank" href="http://www.youtube.com/watch?v=D4HVYZhohGw">prima sigla</a>), del 1963, è uno dei primissimi trasmessi dalla tv giapponese, se non il primo.<br/>Sui dettagli storici è meglio non soffermarsi, forse in futuro potranno essere oggetto di un post a parte...<br/><br/><img align="cssLeft" style="margin: 0pt 10px 10px 0pt; float: left;" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc34/mizar81/Imagoaltrove/Dizionario%20A/arigatou.jpg" alt="" /><strong>ARIGATOU = Grazie</strong><br/>Vi piacerebbe che fosse così semplice! E invece, siccome i giapponesi hanno un fortissimo senso delle gerarchie sociali e ci tengono a rivolgersi nel modo corretto a chiunque si trovino davanti, hanno solo quella tonnellata di modi per dire Grazie... Eccone alcuni.<br/>ARIGATOU GOZAIMASU (o gozaimashita): l'ideale per ogni occasione, sicuramente educato, diventa formalissimo, quasi retrò se usato nella forma tra parentesi.<br/>ARIGATOU: meno formale, da usare se si ha a che fare con persone che si conoscono.<br/>DOUMO: viene usato principalmente dai maschi o dalle ragazze che hanno un modo di fare un po' grezzo, e già questo rende l'idea del tipo di utilizzo. Può risultare pure scortese, se rivolto a qualcuno verso cui dovremmo comportarci con maggior rispetto.<br/><strong>Esempio</strong><br/><a target="_blank" href="http://www.youtube.com/watch?v=9kEwaMGqblY"> Nell'anime</a> <em>xxxHOLiC</em><a href="post/15303710/#5"><sup>5</sup></a>, Doumeki è un ragazzo di poche parole con un modo di fare naturalmente sfacciato, che tratta tutti con totale spontaneità, senza preoccuparsi di essere formale: ringrazia poco, e quando lo fa usa "doumo". Himawari invece è una ragazza molto gentile ed educata (a tratti fastidiosa, n.d.Miz); dice "hontouni arigatou", traducibile con "grazie veramente"; in ogni caso è raro che usi "arigatou" da solo.<br/><br/><strong>ATASHI = io (pronome femminile)</strong> (v. <a href="http://imagoaltrove.splinder.com/post/20545584/Dizionario%3A+B+%282%29+-+C" target="_blank">boku</a>)<br/><br/><hr width="100%" size="2" /><br/><br/>NOTE<br/><font size="1"><a name="1"><sup>1</sup></a>Manga: <em>Yu Yu Hakusho</em>, di Yoshihiro Togashi, edito in Italia dalla Star Comics come <em>Yu degli Spettri</em>. Anime: <em>Yu Yu</em>, 112 puntate, trasmesso in Italia da Mtv e La7.<br/><a name="2"><sup>2</sup></a>Manga: <em>Loveless</em>, di Yun Kouga, inedito in Italia; Anime omonimo di 12 puntate (I serie), recuperabile sottotitolato in italiano. Loveless è uno "shonen ai", cioè tratta di "amore tra ragazzi" visto in un ottica tutta femminile (arrivati alla "S" avrò modo di spiegare cosa si intende).<br/></font><font size="1"><a name="3"><sup>3</sup></a>Manga: <em>D.Gray-man</em>, di Katsura Hoshino, edito in Italia dalla Planet Manga. Anime omonimo tuttora in prosecuzione e recuperabile sottotitolato in italiano.<br/></font><font size="1"><a name="4"><sup>4</sup></a>Manga: <em>Host Club</em>, di Bisco Hatori, edito in Italia dalla Planet Manga. Anime: <em>Ouran Koukou Host Club</em> (et similia), 26 episodi, recuperabile sottotitolato in italiano.<br/><br/><a name="5"><sup>5</sup></a>Manga: <em>xxxHOLiC</em>, delle Clamp, edito in Italia dalla Star Comics. Anime omonimo tuttora in prosecuzione, al momento è possibile recuperare la prima serie (24 episodi) sottotitolata in italiano.<br/></font> <br/>Copyright di immagini e video degli aventi diritto; un ringraziamento va anche ai vari gruppi di fansubbers che diffondono in Italia le novità giapponesi.<br/><br/><strong>Argomenti correlati:</strong> <a target="_blank" href="http://imagoaltrove.splinder.com/post/11583558/Dizionario%3A+1-10">Dizionario: 1-10</a>, <a href="http://imagoaltrove.splinder.com/post/16822508/Dizionario%3A+B+%281%29" target="_blank">Dizionario B</a>, <a target="_blank" href="http://imagoaltrove.splinder.com/post/20545584/Dizionario%3A+B+(2)+-+C">Dizionario B (2) - C</a><br/></div>ImagoAltrovehttp://www.blogger.com/profile/14725579928464469991noreply@blogger.com45tag:blogger.com,1999:blog-4270418888591832432.post-61512115460707423462007-12-25T14:19:00.000+01:002011-11-30T19:48:39.516+01:00Da tutti noi a tutti voi...<p align="center"><strong><font color="#ff0000" size="6"><font color="#339966">**</font><u>Buon Natale!</u><font color="#339966">**</font></font><font color="#339966"> </font><br/></strong><br/><img height="428" width="570" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/natale.jpg" style="margin: 0px auto 10px; display: block; text-align: center;" alt="" /> <br/><br/></p><br/><p align="right"><em><u>Lo staff di ImagoAltrove.</u></em> </p>ImagoAltrovehttp://www.blogger.com/profile/14725579928464469991noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-4270418888591832432.post-46201214136705010862007-11-28T13:53:00.000+01:002011-11-30T19:50:35.644+01:00I Cieli di EscaflowneGaea, un pianeta dal quale è possibile osservare sia la Luna che la Terra stagliarsi nella volta celeste, è la landa immaginaria dove si sviluppano i 26 episodi de "Tenkū no Esukafurōne" il bellissimo anime di Hajime Yadate e Shoji Kawamori anche noto come "The Vision of Escaflowne" ed italianizzato ne "I Cieli di Escaflowne".<br/>Nato in principio come manga, ha visto il successo in prevalenza proprio per le puntate televisive (successivamente ne verrà prodotto anche un OAV), che in Giappone andarono in onda nel 1996 per conto della Sunrise, mentre in Italia si è dovuto aspettare MTv nel 2001. <br/>I suoi personaggi sono caratterizzati da un insolito naso allungato, che però non stona minimamente con i visi ben definiti e le corporature snelle che i creatori hanno loro attribuito; gli scenari sono curati nel dettaglio, con paesi ricchi di particolari e vallate rigogliose e verdeggianti. Ma vi è anche estrema finezza nel disegnare armi da guerra e robotici guerrieri; sì, perché è proprio con l’ausilio di automi comandati da persone che si combatte su Gaea, automi noti come ‘Guymelef’. <img height="132" width="170" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/utopia/van14aec9.jpg" alt="Van Slanzar de Fanel, re di Fanelia" style="margin: 0pt 10px 10px 0pt; float: left;" />Il più importante fra questi, capace di mutarsi anche in drago, è l’Escaflowne, nel cui Energist, che ne è il cuore, scorre il sangue del re di Fanelia, Van Fanel ('Ban Fanel' nella versione nipponica) , il quale si ritrova a dover fronteggiare la terribile minaccia bellica dell’impero di Zaibach. <br/>Prima di essere investito sovrano, il ragazzo ha dovuto affrontare un orribile drago ed a causa di un portale si è ritrovato a doverlo battere proprio sulla Terra (che gli abitanti di Gaea conoscono come 'la Luna dell'Illusione'), in una pista d’allenamento di Tokyo, dove una sua coetanea stava gareggiando per poter ricevere il primo bacio dal suo sempai. <img height="125" width="160" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/utopia/escahitomi028dp8.jpg" alt="Hitomi ed il suo pendente" style="margin: 0pt 0pt 10px 10px; float: right;" />La ragazza in questione è Hitomi Kanzaki, quindicenne con doti paranormali che sfrutta grazie ad un ciondolo particolare, donatole da sua nonna, e che le permettono di salvare la vita a Van, impedendo che il drago lo uccida con una codata. Da allora, la sua vita sarà legata a quella del giovane: verrà infatti trasportata con lui su Gaea e grazie ai suoi poteri si ritroverà a cambiare di volta in volta le sorti di chi le sta vicino.<br/> Alleanze e guerre, amore ed odio, amicizia e rinnego: questi saranno i leit motiv di ogni puntata, di volta in volta scosse da rivelazioni inaspettate, come legami di sangue e memorie nascoste. La voglia di lottare, di sperare che tutto possa finire nel migliore di modi, di non arrendersi nemmeno dinnanzi alle sofferenze più atroci: questo caratterizza la parte del bene, che vede il suo perno proprio in Van. Discendente da parte di madre dell'ormai estinta stirpe di Atlantide, dalla genitrice ha ereditato anche la sua vera natura di "Ryuujinbito": all'occorrenza, può fare ricorso ad un paio di enormi e candide ali piumate che ne vanno a caratterizzare la schiena, facendolo apparire agli occhi di Hitomi come un angelo. <a href="http://img144.imageshack.us/img144/6683/aliabbraccioag4.jpg"></a><img src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/utopia/guymelef20mini20escaflomy3.gif" alt="L'Escaflowne" style="margin: 0pt 10px 10px 0pt; float: left;" />Egli ha avuto un’infanzia segnata dall’abbandono e dal distacco e di questo ne ha risentito crescendo, divenendo una persona che esterna poco i suoi sentimenti; tuttavia, il carattere chiuso non gli impedisce di provare, poco a poco, qualcosa per Hitomi, forse fin dall’inizio del loro incontro; ma la ragazza ha la mente altrove e divide pensieri fra il suo sempai rimasto a Tokyo e per Allen, un bellissimo cavaliere dalla folta chioma bionda e dai lucenti occhi azzurri. Volente o nolente, lei però sente che il suo destino è in qualche modo segnato dall’Escaflowne e, di conseguenza, da Van, che man mano diverrà tutt’uno con il robot arrivando a provare sul suo corpo i danni subiti dal suo Guymelef.<br/>La storia prende molto, perché vede l’unione di elementi e sentimenti differenti e lo scontrarsi di parti avverse e parti alleate per il compimento dei propri interessi; vi è la classica lotta fra il bene ed il male, però proposta sovente in maniera cruenta: centri abitati dati alle fiamme, innocenti costretti all’esodo ed alla separazione, sangue che abbonda ora da una parte, ora dall’altra. Ma c’è tantissimo spazio anche per l’amore, soprattutto quello fra uomo e donna, e per l’eterno timore di non trovare l’altro disposto a corrispondere i propri sentimenti. E piano piano si cresce: Van diventa giorno dopo giorno più bravo nel combattimento e sempre più coraggioso; come lui stesso dice, non darà mai le spalle al nemico. Hitomi, invece, soffre molto per le sue visioni, la maggior parte delle volte presagio di morte, e le sarà sempre più duro cercare di evitare che si avverino avvertendo in tempo gli interessati. <a href="http://img80.imageshack.us/img80/7271/aliescaduezn4.jpg" target="_blank"><img height="165" width="220" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/utopia/aliescaduezn4.jpg" alt="Hitomi stretta a Van dotato delle ali" style="margin: 0pt 0pt 10px 10px; float: right;" /></a>La sofferenza più forte la avverte ogni qualvolta il re di Fanelia è in pericolo e ben presto comprende che il suo ciondolo è legato all’Escaflowne allo stesso modo in cui lei è legata a Van. Il contatto fra i due è fonte di emozioni indescrivibili: ognuno c’è per l’altro, e questo è di conforto sia per lei, che si trova tanto lontana dalla Terra e dai suoi affetti, che per lui, orfano di entrambi i genitori e fratello di un uomo passato dalla parte del nemico. La sigla iniziale canta “Yakusoku wa Iranai”, ovvero “Non ho bisogno di una promessa”; forse perché fra Van e Hitomi non vi è bisogno di alcun impegno di non dimenticarsi reciprocamente, una volta che lei farà ritorno a casa. <br/>Ammesso che non sia stato tutto un sogno, o, forse, un'illusione.ImagoAltrovehttp://www.blogger.com/profile/14725579928464469991noreply@blogger.com19tag:blogger.com,1999:blog-4270418888591832432.post-4389071790492591932007-11-10T20:06:00.001+01:002011-11-30T21:22:17.493+01:00Kanon<strong>SERIE</strong>:<br/>Creata da Itaru Inoue e nata da un gioco per pc (che sfoggiava immagini hentai). E' composta da 13 episodi, più un OAV. Nel 2006 è stato lanciato il progetto di creare il remake della serie che, stavolta, dovrebbe contare 24 episodi. Entrambe le serie non sono ancora arrivate in Italia.<br/><br/><strong>TRAMA</strong>:<br/>La storia, con qualche spunto magico, ruota attorno a<img align="cssLeft" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/mulaky/yuuichiaizawakm7.jpg" style="margin: 0pt 10px 10px 0pt; float: left;" alt="" /> <em>Yuuichi Aizawa</em>, ritornato in Giappone dopo 7 anni vissuti all'estero. Non ricorda praticamente nulla della sua infanzia trascorsa nella città della cugina. Man mano che i giorni trascorrono e incontra un paio di persone, appaiono nella sua mente delle scene, ha dei flashback che in quel momento non si spiega. Alla fine ritroverà la sua memoria. Motore della vicenda sono le promesse che ha fatto da bambino ad altre due bambine, nonchè compagne di giochi.<br/><br/><strong>PERSONAGGI</strong>:<img align="cssRight" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/mulaky/nayukiminaseup0.jpg" style="margin: 0pt 0pt 10px 10px; float: right;" alt="" /><br/>La cugina di Yuuichi è <em>Nayuki Minase</em>. E' un po' fissata con le rane come testimonia il grosso peluche Keroppi e il pigiama che indossa. E' una ragazza dolce e gentile. Fa parte del club di atletica della scuola ed è sempre disponibile con tutti. Non riesce a svegliarsi la mattina, nonostante le 25 sveglie rumorose piazzate in camera. E' molto legata al cugino, per cui prova qualcosa.<br/><br/><img align="cssLeft" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/mulaky/ayutsukimiyazi7.jpg" style="margin: 0pt 10px 10px 0pt; float: left;" alt="" /><em>Ayu Tsukimiya</em>, nominata dalla sottoscritta "miss uguuu", è una ragazza un po' bizzarra che adora mangiare un dolce tipico giapponese che, quasi sempre, ruba. Porta sempre con sè un simpatico zainetto con delle ali. Ayu si scontra ripetutamente con Yuuichi e in qualche modo, le loro vite sono intrecciate da sempre. E' alla perenne ricerca di qualcosa che non ricorda.<br/><br/><img align="cssRight" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/mulaky/shiorimisakakg1.jpg" style="margin: 0pt 0pt 10px 10px; float: right;" alt="" /><em>Shiori Misaka</em> è una ragazza dolcissima che incontra Yuuichi per caso. Non può frequentare la scuola per motivi di salute, ma spesso fa una capatina alla scuola dell'amico per passare un po' di tempo insieme. Sebbene sia una ragazza solare e allegra, spesso sul suo volto si nota tristezza. Ama disegnare e non si separa mai dalla sua stola.<br/><br/><em><img align="cssLeft" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/mulaky/maikawasumizf2.jpg" style="margin: 0pt 10px 10px 0pt; float: left;" alt="" />Mai Kawasumi</em> è molto introversa e ha solo un'amica. Yuuichi la incontra di notte a scuola mentre la ragazza combatte con dei mostri che sembrano infestare la scuola. Ogni volta che capita è sempre sgridata e punita dal consiglio studentesco. Non ha mai protestato o detto alcunché e tutti la considerano la pecora nera dell'istituto.<br/><br/><em><img align="cssRight" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/mulaky/makotosawataritu0.jpg" style="margin: 0pt 0pt 10px 10px; float: right;" alt="" />Makoto Sawatari</em> ha lo scopo di attaccare ripetutamente Yuuichi, ma non ricorda assolutamente cosa le ha fatto il ragazzo. Quando si trasferisce a casa sua, gli fa ogni genere di scherzi possibili ed immaginabile, ma alla fine i due riescono ad andare d'accordo. Yuuichi non si ricorda di lei, nè può chiedere aiuto alla ragazza perchè l'amnesia di Makoto è molto più grave di quanto si pensi. Col tempo i due iniziano ad andare d'accordo. <br/><br/><strong>OAV</strong>:<br/>Ne esiste solo uno ed è una puntata a tutti gli effetti, anche se non la si può classificare totalmente come 14esima. Per certi versi è una pre/post-puntata 13esima.<br/><br/><u>Impressioni</u>: <br/>Sebbene il disegno non piaccia a tutti, io ho trovato questo "dramma sentimentale" parecchio intenso. La storia merita e c'è davvero da trasformarsi in una fontana. La storia più drammatica è quella di Makoto che non sto qui a raccontarvi altrimenti farei dello spoiler gratuito e non bisogna rivelare mai tutto nella vita. La ragazza in questione non è mai stato il mio personaggio preferito, anzi mi stava pure un po' antipatica, ma col tempo l'ho rivalutata parecchio. Il mio personaggio preferito, soprattutto dal punto di vista mentale, è Mai, che tra l'altro è proprio disegnata bene, segue a ruota Ayu.<br/>La storia, come dicevo, è un mix tra magia, dramma e piccole gag, ma non mancano i colpi di scena. Mi verrebbe da dire che è "soffice" ma allo stesso tempo straziante. La fine lascia l'amaro in bocca nonostante tutto. Volendo essere più obiettivi, qualche buco nella storia c'è, ma nel complesso non posso che consigliare di vederlo se piace la storia o si è incuriositi. Ovviamente senza dimenticare i kleenex...<br /><br/><br/><br />Scritto da <a title="Visita il profilo di mulaky" href="http://www.blogger.com/profile/06811257343440160760" target="_blank">mulaky</a><br/><br/>ImagoAltrovehttp://www.blogger.com/profile/14725579928464469991noreply@blogger.com14tag:blogger.com,1999:blog-4270418888591832432.post-64657253568866328012007-10-09T20:44:00.002+02:002011-11-30T20:07:10.755+01:00Devilman - L'uomo DiavoloIn principio erano i demoni, creature mostruose nate dalla fusione degli esseri viventi più disparati. Dominavano la Terra prima dell'avvento dell'uomo, in un clima di primitivo e violento terrore ove vigeva la legge del più forte. Poi vennero le glaciazioni e i demoni furono imprigionati nelle profondità dei grandi ghiacciai.<br/>Il professor Asuka, archeologo di fama internazionale, durante una spedizione tra le rovine di un'antica civiltà Maya, conobbe tutta la verità sull'esistenza dei demoni e quando tornò in patria non fu più lo stesso. Divenne sadico e malvagio fino al giorno in cui, dopo aver tentato di divorare suo figlio, decise di mettere fine alla propria esistenza dandosi fuoco.<br/>Ryo Asuka, unico figlio del professore, rovistando tra gli appunti del padre, si rese conto che il celebre archeologo era stato posseduto da un demone. Seppe così che i demoni si erano destati dal loro sonno millenario e che si apprestavano a riconquistare la Terra.<br/>Un giorno il giovane Ryo si presentò dinanzi al suo unico vero amico: Akira Fudo. Akira era sempre stato un ragazzo codardo, ma dal cuore puro e dai sentimenti onesti. La sua famiglia si era trasferita all'estero e, dato che lui doveva completare gli studi, era stato ospitato dalla famiglia Makimura che lo aveva sempre trattato come fosse loro figlio. Secondo Ryo esisteva un solo modo per riuscire a contrastare i demoni: fare in modo che uno di essi si fondesse con un uomo capace di dominarne gli istinti, affinché la natura demoniaca non prevaricasse quella umana. La scelta ricadde su Akira.<br/>La fusione avvenne, Akira Fudo fu posseduto dal grande demone Amon e da quel momento divenne Devilman, altrimenti detto l'uomo diavolo.<br/><br/><div align="center"><a target="_blank" href="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/deep/devilman01vo9.jpg"><img src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/deep/adevilman01ze0.jpg" alt="" /></a> <a target="_blank" href="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/deep/devilman02lx8.jpg"><img src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/deep/adevilman02bx7.jpg" alt="" /></a> <a target="_blank" href="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/deep/devilman03yc4.jpg"><img src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/deep/adevilman03vu5.jpg" alt="" /></a><br/></div><br/><br/>Pur essendo composta da soli tre volumi (ristampata recentemente in una nuova edizione da cinque), l'opera di Go Nagai possiede una ricchezza ed una profondità particolarmente rare, che fanno leva sui principi del bene e del male che convivono nell'uomo. Go Nagai indaga sulle due facce della stessa medaglia portando in superficie gli istinti carnali, primordiali ed oscuri che albergano in ciascuno di noi, nell'ambito di un equilibrio tanto instabile da condurre inevitabilmente all'autodistruzione.<br/>Dopo la fusione Akira cambiò radicalmente. Divenendo scontroso e a tratti persino violento, ma riuscì comunque a dominare l'istinto del demone che lo possedeva. Questa sua duplice e contrastante natura fece innamorare la giovane figlia dei Makimura, Miki, che viveva sotto lo stesso tetto di Akira. Miki non conosceva il segreto di Akira e lui ritenne opportuno fare di tutto per nascondergliela, limitandosi a proteggerla a sua insaputa. A questo punto il racconto di Go Nagai si tinge di nero, attraverso il susseguirsi di una serie di brevi episodi di rara crudeltà quotidiana: una madre che tortura il suo unico figlio; una bambina divorata dal demone-tartaruga Jinmen, il cui volto e la cui coscienza restano impresse sul suo guscio; un gruppo di ragazzi controllati da orribili tarantole aggrappate alla testa; una giovane studentessa costretta a convivere col suo corpo demoniaco capace di secerne liquidi che corrodono ogni cosa. Insomma, non si può certo dire che a Go Nagai manchi la fantasia, come neppure si può dire che non sappia dipingere l'orrore nella sua forma più pura, profonda e radicata.<br/>E così, giorno dopo giorno, Akira si vide costretto ad affrontare sè stesso e i demoni che insidiavano la razza umana. Si, perché i demoni erano troppo furbi per riconquistare il pianeta dichiarando guerra aperta all'umanità: erano consapevoli delle armi create dall'uomo, ma conoscevano bene anche tutte le sue debolezze e le sue paure. Decisero quindi di optare per una fusione indiscriminata: presero a impossessarsi di persone normali, comuni lavoratori, casalinghe, studenti delle superiori e via dicendo. Alcuni di questi si tramutavano in orrende creature dalle apparenti sembianze umane; altri, non sopportando il peso della fusione, morivano manifestando apertamente la loro natura demoniaca sotto lo sguardo sbigottito e impotente dei passanti. A quel punto divenne chiaro a tutti che chiunque poteva nascondere un demone dentro di sé e in breve tempo il terrore dilagò a macchia d'olio. In tutto il mondo vennero istituite speciali squadre anti-demone e l'umanità cadde vittima di una seconda epoca inquisitoria, ancora più devastante della prima. l'obbligo morale di denunciare alle autorità chiunque fosse stato anche solo sospettato di essere un demone si diffuse come il peggiore dei virus e tanti uomini innocenti caddero vittime delle spietate pattuglie anti-demone. Nel giro di pochi mesi le cose precipitarono e, se in un primo momento il compito di Devilman era quello difendere la Terra dai demoni, ben presto si ritovò a proteggere l'umanità da sé stessa. Ma l'odio e la crudeltà umana si dimostrarono ben più violente dei primordiali istinti demoniaci e lo stesso Akira capì di essere del tutto impotente nell'affrontare l'odio generato dall'uomo nei confronti dei suoi simili.<br/><br/><div align="center"><a target="_blank" href="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/deep/devilman04vx1.jpg"><img src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/deep/adevilman04dj8.jpg" alt="" /></a> <a target="_blank" href="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/deep/devilman05rv4.jpg"><img alt="" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/deep/adevilman05vj8.jpg" /></a> <a target="_blank" href="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/deep/devilman06ct4.jpg"><img alt="" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/deep/adevilman06ef5.jpg" /></a><br/></div><br/><br/>Infine il tragico epilogo. Per difendere la famiglia di Miki, Akira fu costretto a rivelare apertamente la sua vera identità demoniaca e a fuggire lontano dalla sua amata, con la promessa che avrebbe continuato a proteggerla. Miki giurò ad Akira che avrebbe fatto il possibile per sopravvivere e che, una volta che tutto questo fosse finito, si sarebbero finalmente ricongiunti. L'obiettivo di Akira era quello di cercare altri devilmen come lui. Si rese conto che, durante la precedente fase di fusione indiscriminata ad opera dei demoni, potevano essere nati altri devilmen, così come era capitato a lui: l'amore di Miki l'aveva spinto a credere che, nonostante tutto, l'umanità meritasse ancora di essere salvata e l'unico modo per farlo sembrava essere proprio quello di organizzare un esercito di devilmen, così da ingaggiare una battaglia all'ultimo sangue contro i nemici dell'uomo. Nel frattempo, quando il quartiere seppe che la famiglia Makimura aveva ospitato un devilman in casa propria per tutto quel tempo, cominciarono a diffondersi inquietanti ed insidiose dicerie sul loro conto. D'altronde Miki era sempre stata una ragazza affascinante e tutti coloro che in passato avevano segretamente subito questo suo fascino cominciarono a giustificare la loro debolezza d'animo accusando la ragazza di essere una creatura dagli oscuri poteri. Una notte, una folla inferocita di cittadini, armati di bastoni, randelli e ardenti fiaccole, assediò la casa dei Makimura. Uccisero brutalmente tutta la famiglia. Miki si difese fino allo stremo delle proprie forze e, prima di essere linciata, invocò tra sé il perdono Akira per non essere stata capace di sopravvivere a tutta quella ferocia. Alle prime luci dell'alba, mentre Akira rientrava a casa dei Makimura per poter finalmente riabbracciare la sua amata, vide una folla esaltata portare in trionfo un macabro trofeo: la testa della giovane Miki impalata in cima a una lunga asta di legno.<br/>I demoni a quel punto ebbero gioco facile e ben presto l'umanità si ritrovò decimata. Ma lo scontro finale doveva ancora avvenire: dopo una lunga battaglia tra demoni e devilmen sopravvissero soltanto i rispettivi capi delle due fazioni nemiche: Satana e Amon. Satana si rivelò essere la vera identità di Ryo Asuka, l'amico d'infanzia di Akira. Sul finale l'angelo ermafrodita cacciato dal Paradiso raccontò di essere sempre stato innamorato di Akira e di averlo fatto possedere dall'invincibile Amon non per difendere l'umanità, bensì nella speranza che potesse sopravvivere ad essa. Dopo la lunga e malinconica rivelazione di Ryo, Akira chiuse gli occhi e si addormentò per sempre tra i resti di una Terra ormai devastata.<br/><br/><br/>------------------------------------------------------------<br/><font size="1">N.B. Le tavole riportate rispecchiano il formato originale dell'opera, dunque eventuali dialoghi (mi riferisco nello specifico alla tavola numero cinque) andranno letti nell'ordine inverso: dall'alto verso il basso e da destra verso sinistra.</font><br /><br/><br/><br />Scritto da <a title="Visita il sito di Deeproad" href="http://www.deeproad.net/" target="_blank">Deeproad</a><br/><br/>ImagoAltrovehttp://www.blogger.com/profile/14725579928464469991noreply@blogger.com10tag:blogger.com,1999:blog-4270418888591832432.post-15859738228670566842007-09-20T00:36:00.000+02:002011-11-30T20:25:18.734+01:00Death Note<div align="justify">Una partita a scacchi.<br/>Di quelle serie però, di quelle giocate dai grandi campioni dotati di una mente tale da prevedere in anticipo le mosse dell'avversario; con la sola (?) differenza che pedoni, alfieri, torri, cavalli e regine sono degli esseri umani, manovrati (e sacrificati) abilmente dai 2 re.<br/>La scacchiera? Una Tokyo che presto sta stretta, spostando la partita su scala globale.<br/>Il mezzo? Da un lato la tecnologia della polizia giapponese e di un geniale investigatore, dall'altro il Death Note.<br/><br/><img align="cssCenter" style="margin: 0px auto 10px; display: block; text-align: center;" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/mizar/scacchierams6.jpg" alt="" /><br/>Beh, presentiamo i pezzi disposti su questa scacchiera, allora.<br/><strong><br/>I pedoni.</strong> I pedoni degli scacchi sono anonimi, tutti uguali e limitati nei movimenti. Nella partita di Death Note invece devono avere un nome: <em>"The human whose name is written in this note shall die"</em>. Quelli bianchi sono quelli a disposizione della polizia, quelli neri del possessore del Death Note... poi ce ne sono altri che non c'entrano con la partita: c'è un brusio continuo di pedoni che scompaiono, per tutta la storia.<br/><strong>Alfieri, torri, cavalli, regine.</strong> Entrambi i giocatori hanno dei pedoni un po' più importanti - non si può definirli diversamente - che scelgono di muovere con maggior libertà e che sono a conoscenza di parte della strategia.<br/><strong>Re.</strong> Imbrigliati nelle maglie tessute dall'avversario, i due re mandano avanti tutti gli altri pezzi secondo uno schema di anticipazioni e mosse preparatorie che è il vero nucleo della storia.<br/>- Il re bianco è L (proprio la lettera), o Riuzaki (nome fittizio). Di lui non si sa nulla se non quello che mostra di sè: un ragazzo indubbiamente strano, pieno di tic e con la passione per i dolci. Un ragazzo prodigio che in varie occasioni aveva aiutato la polizia a risolvere casi intricatissimi e che ora è chiamato a capire e fermare il serial killer che sta uccidendo a suon di attacchi cardiaci i criminali ("<em>If the cause of death is not specified, the person will simply die of a heart attack</em>").<br/><img align="cssRight" style="margin: 0pt 0pt 10px 10px; float: right;" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/mizar/deathnoteanime1tu5.jpg" alt="" /> - Il re nero è Light Yagami. Light è Kira, colui che, spinto da un deviato (o no?) senso di giustizia, sceglie di usare il Death Note per punire. Kira raccoglierà numerosi fan (saranno loro a dargli questo nome, "killer" pronunciato dai giapponesi), ma non manca chi lo avversa, in primis suo padre, il capo della polizia di Tokyo.<br/><strong>Gli shinigami. </strong>Eh? Su una scacchiera? Beh, sono un po' gli spettatori, un po' gli organizzatori dello spettacolo: sono gli dei della morte, naturali possessori dei Death Note coi quali dovrebbero gestire vita e morte degli esseri umani dal loro mondo... Non è bello da dire, ma tutto questo gran casino tra L e Kira è causato dalla noia mortale di uno di loro, Riuuk, che lascia cadere sulla Terra un Death Note che gli avanzava. <br/>Dire i nomi di tutti gli altri ci interessa poco, ve l'assicuro. Una volta che siamo entrati nell'ottica che sono tutti pedine nelle mani dei due giocatori di loro poco ci fregherà (anche se, chiaramente, la storia ce li propone egregiamente, con le loro speranze e le loro paure, i loro desideri e le loro aspirazioni...)<br/><br/>Le regole, infine, sono quelle dettate dal <a target="_blank" href="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/mizar/deathnoteeo0.jpg">Death Note</a>.<br/><br/>Della storia non si può dire veramente di più. Immagino sia chiaro che non è possibile raccontare oltre senza togliervi la possibilità di capire autonomamente i perchè delle mosse dei due giocatori.<br/>Posso dirvi che avete 3 possibilità di scoprirla: <strong>manga</strong>, <strong>anime</strong> e <strong>film</strong>.<br/>I 12 numeri del manga e le 37 puntate dell'anime viaggiano sulla stessa lunghezza, le differenze sono minime (a quanto ho potuto al momento riscontrare). C'è da dire che entrambi si spostano oltre la storia che vi ho accennato: nell'anime dalla puntata 27 inizia una seconda partita a scacchi, a dire il vero meno intensa della prima...<br/>Col film (inevitabilemente) le differenze sono notevoli. Coi film, anzi: <em>Death Note</em> e <em>Death Note - The last name</em>. La storia si ferma alla "prima partita" tra L e Kira e la necessità di far stare tutto in 4 ore causa cambiamenti nella trama, tanto che si può dire che anime/manga e film arrivano allo stesso finale ma per due strade diverse, sovrapponendosi solo in alcuni passaggi chiave.<br/><img align="cssLeft" style="margin: 0pt 10px 10px 0pt; float: left;" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/mizar/deathnotemovie1fx6.jpg" alt="" /> Sono modifiche intelligenti, non raffazzonate, ma che causano un appiattimento emotivo nella storia:<em> l'anime e il manga</em> sono caotici, neanche i protagonisti spesso hanno le idee chiare (sono pur sempre esseri umani) e la confusione aumenta tra la gente comune (spaccata in due tra un senso di giustizia sano ma inerme e uno malato ma efficace), è tutto meno orchestrato, insomma, ma la possibilità di avere più spazio (in tankoubon e puntate) permette di spiegare comunque gli eventi. <em>Nel film</em> invece la trama tessuta da L e Kira fila liscia fino alla conclusione, intrecciandosi perfettamente a formare un quadro geniale.<br/><br/>C'è solo un'ultima cosa da dire: il manga è stato presentato come uno dei rari successi in cui il protagonista è cattivo. Beh, Light/Kira magari non è cattivo, a voi decidere... ma certamente non è normale: la sua fortissima e controversa personalità deve aver spinto gli sceneggiatori del film a ridimensionarlo, almeno all'inizio: nel film infatti Light è uno studente di legge con un forte senso di giustizia e fiducia nella polizia, ma che dopo aver assistito a una palese ingiustizia rimasta impunita ottiene da Ryuuk il Death Note e diventa (seppur con qualche iniziale esitazione) un dio punitore. Nel manga/anime invece queste sue velleità divineggianti sono manifeste da subito e le esitazioni ridotte a zero: Light accetta una forza assoluta e divina certo di essere la persona giusta per applicare la vera giustizia. Chissà, magari presentare sullo schermo un'anima umana così nera ha messo paura agli sceneggiatori... E' infatti inevitabile che chiunque abbia visto questa storia, a un certo momento (per ognuno diverso) abbia pensato che forse Kira tutti i torti non li ha...</div>ImagoAltrovehttp://www.blogger.com/profile/14725579928464469991noreply@blogger.com72tag:blogger.com,1999:blog-4270418888591832432.post-67137178696969015842007-09-02T20:59:00.001+02:002011-11-30T21:22:35.716+01:00Full Metal Panic! - Full Metal Panic? Fumoffu<a name="FMP"><strong><u><em>FULL METAL PANIC!</em></u></strong></a><strong><br/><br/>ANIME:</strong><br/>Come tutti gli anime che si rispettino, pure questo conta ben 24 puntate. Molte puntate si diramano per più blocchi. Ci saranno solo due o massimo tre puntate che servono per allungare il brodo, ma nel contesto ci stanno molto bene. Non ho ben idea di quale possa essere il “genere” specifico per l’anime di Shouji Gatou perché è per ragazze (il lato più sentimentale) e per ragazzi (guerre, robottoni vari e combattimenti). Comunque, tralasciando questa distinzione che alla fine nemmeno serve, bisogna dire che originariamente FMP è una serie a romanzi, distinti in filoni centrali (dai quali nasceranno gli anime <em>Full Metal Panic!</em> e <em>Full Metal Panic! The second Raid)</em> e in filoni umoristici demenziali (dai quali nascerà <a href="post/13666110#Fumoffu"><em>Full Metal Panic? Fumoffu!</em></a>).<br/><br/><strong>Trama:</strong><br/>Una giovane sedicenne molto carina, Kaname Chidori, è molto importante per gruppi terroristici del KGB. In realtà sono interessati alla sua memoria dove sono immagazzinati, fin da prima che nascesse, informazioni riguardanti una nuova tecnologia altamente sofisticata, la Black Technology. Kaname non lo sa, ma è una Whispered. Per fermarli, allora, un’organizzazione militare formata da mercenari devoti alla giustizia, la Mithril, manda uno dei suoi migliori soldati, il sergente Sousuke Sagara, per proteggere la ragazza. Il ragazzo, anch’esso sedicenne, viene spacciato come studente della stessa classe di Chidori. L’integrazione sarà quanto di più divertente si sia mai visto in giro: lui è sempre cresciuto a pane e guerre, pertanto ragiona sempre e solo in termini militari anche (soprattutto) quando non ce n’è bisogno.<br/><br/><strong>Personaggi:</strong><br/><em><img align="cssLeft" alt="" style="margin: 0pt 10px 10px 0pt; float: left;" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/mulaky/sousuke.jpg" />Sousuke Sagara</em> – Nonostante la giovane età è già sergente e il suo nome in codice è URUZ-7. Cresciuto soprattutto tra le guerre in Medio Oriente, è probabilmente il miglior soldato della Mithril ed eccelle nel combattimento degli AS (<em>Arm Slave</em>, i robottoni). Il suo passato è avvolto nel mistero, si sa che all’età di otto anni veniva chiamato Kassim dai gruppi ribelli, cui faceva parte, in Hermajistan.<br/><br/><br/><em><img align="cssRight" alt="" style="margin: 0pt 0pt 10px 10px; float: right;" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/mulaky/kaname.jpg" />Kaname Chidori</em> – La nostra protagonista è famosa a scuola per essere bellissima, ma anche per il suo caratterino per niente docile. Ha perso la madre anni fa e ha deciso di vivere da sola. Questo ha rafforzato la corazza, ma alla fine è una ragazza fragile. La sua vita cambierà nel momento in cui conoscerà Sousuke. I rapporti tra i due non saranno idilliaci anche per i caratteri opposti, eppure, nonostante questo...<br/><br/><em><br/><img align="cssLeft" alt="" style="margin: 0pt 10px 10px 0pt; float: left;" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/mulaky/teletha.jpg" />Teletha Testarossa</em> – Colonnello della Mithril e capitano del loro sottomarino da lei stesso ideato. E’ molto dolce, intelligente e ha 16 anni, ma i suoi riflessi sono praticamente inesistenti. Si fa chiamare Tessa, è innamorata di Sousuke e a differenza di Kaname lo ammette a tutti tranne al diretto interessato (che comunque non capisce). Soffre del complesso di inferiorità rispetto al fratello.<br/><br/><br/><img align="cssRight" alt="" style="margin: 0pt 0pt 10px 10px; float: right;" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/mulaky/melissa.jpg" /><em>Melissa Mao</em> – Nome in codice URUZ-2 è il Sergente maggiore, superiore di Kurz e Sousuke. Abile soldatessa, è specializzata nel corpo a corpo. E’ molto avvenente e viene rispettata da tutti. Ha fatto parte dei marines, è un po’ scurrile, ma sa perfettamente tutto quello che c’è da sapere su un AS sotto il punto di vista tecnico. E’ lei che ha scelto Sousuke e Kurz nella sua squadra.<br/><br/><br/><img align="cssLeft" alt="" style="margin: 0pt 10px 10px 0pt; float: left;" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/mulaky/kurz.jpg" /><em>Kurz Weber</em> – Nome in codice URUZ-6, è un grande amico di Sousuke nonostante siano il giorno con la notte. Kurz, infatti, è molto espansivo, fissato con le donne, tanto da avere la nomea di maniaco e pervertito. Il primo incontro con Melissa è emblematico sotto questo punto di vista e, nonostante i frequenti litigi, è molto affezionato alla donna. Ha 19 anni e un passato da modello. E’ un abilissimo cecchino.<br/><br/><br/><em><img align="cssRight" alt="" style="margin: 0pt 0pt 10px 10px; float: right;" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/mulaky/gaurun.jpg" />Gaurun </em>– E’ il cattivone della serie. Un pazzo mercenario senza scrupoli assoldato dal KGB per rapire Kaname. E’ un uomo assolutamente malvagio ma dotato di una intelligenza da non sottovalutare. Pianifica ogni cosa e c’è sempre un motivo dietro le sue mosse. Conosce Sousuke sotto il nome di Kassim. I due avevano già combattuto molti anni prima. <br/><br/><strong>Curiosità:</strong><br/>La cronologia degli anime è la seguente:<br/><ul><br/> <li>Full Metal Panic!</li><br/> <li><a href="post/13666110#Fumoffu">Full Metal Panic? Fumoffu!</a></li><br/> <li>Full Metal Panic! The Second Raid</li><br/> <li>Wari to Hima na Sentaichou no Ichinichi</li><br/></ul><br/>Il secondo capitolo, in realtà, non segue il primo, si svolge piuttosto durante il primo. Il terzo e il quarto (che è un OAV del terzo), purtroppo, non sono ancora usciti in Italia. Si vocifera "entro fine 2007". Voglio sperare che si diano una mossa sul serio perché sarebbe anche ora…<br/><br/><u>Impressioni:</u><br/>Diciamolo, la fine della prima serie è proprio “a metà”. Dopo tanto discutere e lottare, ci si aspetta qualcosa che però non è arrivato. Ma mi dico che, in fondo, ci sono altre tre capitoli sicché attenderò con ansia e trepidazione. <br/>I personaggi sono sviluppati bene, ognuno ha delle caratteristiche proprie e non è mai superfluo o inutile. Nonostante questo, mi sento in dover di esternare il mio odio verso Tessa. Troppo buona, troppo bambina in certe questioni. Io detesto i triangoli e detesto chi si intromette in una love story che sta per sbocciare. Ma a parte questo, non l’ho mai potuta soffrire prima, chissà perché ma è proprio una cosa a pelle, un po’ come era accaduto per la principessa Hinoto (vedi <a target="_blank" href="http://imagoaltrove.splinder.com/post/11455670">X/1999</a>). Lo capisco, è impossibile non invaghirsi di Sousuke: terribilmente serio in campo militare e assolutamente goffo nelle questioni di vita normale, anche se non ride mai. E Kaname è adorabile nonostante il suo caratterino che per certi versi è simile a quello di Akane (vedi Ranma ½). A me ha fatto sbellicare pure Kurz, è assolutamente divertente nelle sue manifestazioni da accalappia-ragazze. Tralasciando questi argomenti un po’ frivoli, che però erano necessari, bisogna ammettere che i disegni degli AS (sempre i robottoni) sono belli e talvolta non sono nemmeno troppo rigidi. I combattimenti non sono così confusionari da non far capire che accade, nonostante ci siano tanti personaggi e gli AS che si muovono freneticamente. Pure gli scenari fatti al computer si miscelano bene con i disegni. I colori sono vivaci anche quando la vicenda si svolge nel sottomarino, dove predomina il grigio. Il nostro eroe è sempre in missione e non sarà facile sconfiggere Goukon che non muore mai, nemmeno fosse highlander. Ma d’altronde conosciamo tutti il noto proverbio sull'erba cattiva... Alla fine il bene trionferà sul male, almeno è così che ci fanno vedere. Dal punto di vista militare, delle guerre insomma, l’anime si conclude e non lascia in sospeso nulla. Piuttosto può sfuggire qualche particolare sulla vita dei personaggi. Insomma, sono convinta che ulteriori sviluppi saranno illustrati nelle altre tre serie, pena attentati terroristici ad opera dei fans.<br/>Lo diciamo? E diciamolo: le guerre ci vanno bene, anche i morti, ci piace tutto di <em>Full Metal Panic</em>, ma vogliamo ulteriori sviluppi sulla love story tra Sousuke e Kaname. Non potete lasciarci così, vogliamo una prova tangibile, senza dover andare ad interpretazione di pensieri e sguardi!<br/><br/><br/><a name="Fumoffu"></a><br/><u><em><strong> FULL METAL PANIC? FUMOFFU!<br/><br/></strong></em></u> <strong>ANIME:<br/></strong>Conta 12 puntate nell’edizione originale, 13 in quella originale mandata in onda da MTV (hanno creato una puntata prendendo varie scene da entrambe le serie), per un totale di 17 episodi inediti (più il mix). Come scritto poco sopra, la serie è da considerarsi in contemporanea con <a href="post/13666110#FMP"><em>Full Metal Panic!</em></a> e non un sequel.<br/><br/><strong>Trama: <br/></strong>La trama è inesistente! Gli episodi non hanno implicazioni con altre, non c’è una storia da seguire. Sono puntate assolutamente slegate da ogni cosa, che trattano del rapporto tra Kaname, Sousuke e gli altri civili nella scuola da loro frequentata, o forse sarebbe meglio dire del rapporto tra Sousuke e il mondo civile. Storielline assolutamente comiche, anzi direi demenziali grazie anche all’incapacità di Sousuke di essere un ragazzo “normale”.<strong><br/><br/>Personaggi:<br/></strong><img align="cssLeft" alt="" style="margin: 0pt 10px 10px 0pt; float: left;" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/mulaky/bontakun.jpg" />I personaggi sono gli stessi, manca solo il cattivone, anche se bisogna ammettere che il gruppo dei militari c’è poco e niente. Ma c’è una new entry che merita di essere segnalata: <em>Bonta-kun</em>. Altri non è che un pupazzo opportunamente modificato da Sousuke (grazie all’impiego di altissime tecnologie), che gli permetterà di compiere le sue “missioni” camuffato tra i civili.<strong><br/><br/><br/>Curiosità: </strong><br/><ul><br/> <li>Il perché di “Fumoffu” verrà spiegato nel corso delle puntate: gli autori sono geniali.</li><br/> <li>In una puntata Kaname chiama la madre al cellulare, ma nella prima serie sappiamo che è morta.</li><br/></ul><br/><u>Impressioni:<br/></u>C’è da spaccarsi dalle risate, specie quando compare il pupazzo! Ho visto la serie in un pomeriggio intero e ho riso come una pazza. La serie, per certi versi, va un po’ più a fondo nel rapporto tra i nostri due protagonisti, anche se in una puntata si insinua Tessa che, ovviamente, rompe non poco. Io detesto questa tizia, ma si era già capito. Le storielline vanno un po’ più a fondo, ma sempre in maniera ironica e demenziale. Si capisce che c’è del tenero, ma questo ancora non ci basta! I disegni sono leggermente diversi, ma si tratta di tratti veramente minimi. Spassoso pure il capo del consiglio studentesco, mi ha fatto morire dal ridere quando in una puntata legge tremila libri al mare, mentre gli altri giocano! E’ assolutamente da vedere dopo la prima serie!<br /><br/><br/><br />Scritto da <a title="Visita il profilo di mulaky" href="http://www.blogger.com/profile/06811257343440160760" target="_blank">mulaky</a><br/><br/>ImagoAltrovehttp://www.blogger.com/profile/14725579928464469991noreply@blogger.com10tag:blogger.com,1999:blog-4270418888591832432.post-22978746166585775362007-08-01T19:10:00.000+02:002011-11-30T19:48:39.517+01:00Chiusura estivaCarissimi lettori, vi comunichiamo che il blog rimarrà chiuso per ferie per tutto il mese di agosto. Riapriremo a settembre con nuovi articoli. Vi ricordiamo, altresì, che le iscrizioni sono sempre aperte: basta semplicemente inviare la vostra adesione tramite messaggio privato a <a target="_blank" href="http://www.splinder.com/profile/ut0pia/contact">ut0pia</a> o <a target="_blank" href="http://www.splinder.com/profile/mulaky/contact">mulaky</a>. Auguriamo a tutti voi buone vacanze!<br/><div align="center"><img src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/chiusoperferie.jpg" alt="" /><br/></div>ImagoAltrovehttp://www.blogger.com/profile/14725579928464469991noreply@blogger.com8tag:blogger.com,1999:blog-4270418888591832432.post-8530018398997077542007-06-29T15:47:00.000+02:002011-11-30T20:19:49.040+01:00Appunti di viaggio (3)<p><font face="Verdana" size="4"><strong>28 aprile 2007. Terzo giorno.</strong></font></p><br/><p align="justify"><font face="Verdana">I Bassotti sono davanti a me, tengono in mano il mio zainetto nel quale sono contenuti tutti i miei strumenti per il disegno. Io li inseguo di corsa, con tutte le mie forze, ma loro sono in macchina... Stiamo correndo in un tunnel buio e credo che alla fine sbucheremo da qualche parte nel porto di Paperopoli, forse proprio a Cavazzano Quay.</font></p><br/><p align="justify"><font face="Verdana">Però è strano: nonostante io sia a piedi, riesco a stargli dietro perfettamente, anche se ho il fiatone e non riesco ad avvicinarmi neanche un po'. Sono sempre lì, una cinquantina di metri avanti a me, e li sento cantare canzonacce sguaiate. Mi prendono in giro e questo accresce la mia rabbia e la mia agitazione.</font></p><br/><p align="justify"><font face="Verdana">Infuriato, spingo ancora di più sul monopattino. Ah, ecco perché andavo così veloce: non sono a piedi, sono in monopattino. Devono avermelo prestato i nipotini di Paperino. Spingo sempre più forte e sto andando talmente veloce che ho paura, ma non riesco a fermarmi. Le luci del tunnel mi sfrecciano ai lati in una corsa folle, sembra di essere in un videogioco.</font></p><br/><p align="justify"><font face="Verdana">Paperoga alle mie spalle mi consiglia: più forte, più forte! Strano, non mi ero accorto che ci fosse Paperoga dietro di me sul monopattino. Deve stare arrivando anche la polizia, perché sento arrivare una sirena. No, non è una sirena, è uno scampanio.</font></p><br/><p align="justify"><font face="Verdana">Poi a un certo punto l'auto dei Bassotti frena e sterza bruscamente, fermandosi per traverso nel tunnel. Povero me, penso raggelando, ci finirò contro, non riesco a fermarmi! La vedo avvicinarsi inesorabilmente, sempre più grande, la salto col monopattino, forse mi ci sono schiantato contro e ora sto volando, finirò sull'asfalto, aiuto... e dentro la macchina non ci sono i Bassotti ma Gambadilegno che mi guarda con un sorriso beffardo... è un lungo volo...</font></p><br/><font face="Verdana"><br/><p><br/>* * *</p><br/><p align="justify"><br/>Con la sensazione brusca di essere precipitato dall'alto mi ritrovo sul divano di Gastone. Da dietro le tapparelle chiuse inizia a filtrare piano piano il sole del mattino... Ma allora era solo un sogno! Che sollievo! Sembrava tutto così reale... Ma Paperopoli non è un sogno! Sono proprio a casa di Gastone, e tutto il resto, l'incontro dell'altro ieri con Paperoga, il giro della città, era tutto vero! Però qualcosa non quadra lo stesso, penso, nella confusione del sonno che piano piano, svanendo, fa riemergere i miei sensi...</p><br/><p align="justify"><em><strong><font face="Comic Sans MS" size="2">Din-don Din-don Din-don...</font></strong></em> Ecco cos'era! Lo scampanio, quello c'è ancora! Qualcuno sta suonando ripetutamente il campanello di Gastone, realizzo ora, e proprio mentre me ne rendo conto la voce di chi mi ospita risponde trafelata dal piano di sopra...</p><br/><p align="justify">"Arrivo, arrivo!". Gastone, spettinato, scende di gran carriera le scale. Non si è accorto che mi sono svegliato e vederlo così è buffissimo. Non ha i suoi soliti riccioli ben curati ma un testone biondo arruffato... e passando davanti allo specchio si dà un'occhiata e deve rendersi conto di quant'è buffo, perché subito apre un cassetto del comò e si caccia sulla zucca un berrettone. Poi apre.</p><br/><p align="justify">"Mister Gander, buongiorno." È un uomo robusto, sulla quarantina, di quelli col naso nero. "Sono venuto a ritirare i premi che abbiamo portato ieri mattina." "Ma veramente..." risponde lui, guardando verso di me "non è ancora... oh! Zniga, sei sveglio? Ciao!" Sembra molto imbarazzato.</p><br/><p align="justify">Non capisco che stia succedendo, ma rispondo. "Ciao, Gastone. Che succede?" "Oh..." fa lui. "Ti spiegherò tutto." Poi, rivolto al signore: "Lasciane due a caso. Devo firmare qualcosa?" "No, no..." replica lo sconosciuto "...è a posto così. Porto via tutto subito." E richiude la porta. Un attimo dopo lo sento trafficare in giardino.</p><br/><p><br/>* * *</p><br/><p align="justify">Anche a casa di Gastone sono stato costretto a saltare la colazione. Solo un caffè, e per giunta all'americana. Ma è possibile che in questa città io non riesca mai a mangiare? Penso, mentre Gastone mi invita a salire su una splendida spider arancione, nuova fiammante, parcheggiata accanto al marciapiede, di fronte alla villetta. Potrei giurare che ieri non c'era.</p><br/><p align="justify">Con Gastone percorriamo in macchina Barks Drive, come ieri a piedi con Paperoga... e sta iniziando già a sembrarmi un ambiente familiare. L'aria è tiepida e c'è una leggera brezza. Ma vorrei fare colazione... Ok, l'aveva detto ieri di avere il frigo rotto... ma ero convinto che stasera ne avrebbe vinto uno ultimo modello, e invece non solo nel giardino non c'era nessun frigo, ma erano pure spariti quasi tutti gli scatoloni di ieri! Ce n'erano rimasti solo due o tre...</p><br/><p align="justify">"Vedi, Zniga..." mi fa Gastone mentre guida, forse leggendomi nel pensiero. "Credo di doverti una spiegazione per quel che è successo stamattina. Sai quel tipo, quello che è arrivato quando tu ti eri appena svegliato..."</p><br/><p align="justify">E mi racconta che, sì, fortunato lo è per natura, anzi per genetica, dato che sua madre è la fortunatissima Daphne Duck... ma che il ruolo che recita nei fumetti è decisamente al di là delle possibilità anche di un superfortunato come lui... per cui la maggior parte degli oggetti che riceve in premio altro non sono che un modo di suo zio di... sfruttare il suo ruolo di "baciato dalla buona stella" nei fumetti!</p><br/><p align="justify">"Così" mi spiega "quando disegnano una storia dove io ho un ruolo importante, mio zio fa arrivare a casa mia un sacco di premi, tutti rigorosamente prodotti delle sue fabbriche, in modo da farsi più pubblicità! E in cambio me ne lascia scegliere due o tre da tenermi... per esempio la Pasta Birilla, quella di ieri sera... io ne sono ghiotto, capisci? Me la sono tenuta tutta... ma tutti gli altri premi, finita la storia, tornano ai suoi negozi. Anche perché dove li terrei, sennò? Vedi, stamattina stavo giusto uscendo a vedere se tra i premi di ieri ci fosse per caso un frigorifero, ma poi ti ho visto sveglio e ho detto al tizio di portarsi via tutto subito e lasciarmi due scatole a caso... non sapevo se dirtelo o no..."</p><br/><p align="justify">"Sì, ok" rispondo "ma oggi che c'entrava la faccenda dei premi? Mica ti stanno disegnando!"</p><br/><p align="justify">"Beh... in questi giorni a Paperopoli ci sei tu! Evidentemente lo zione non era al corrente del fatto che già sapevi in parte come funzionano le cose qui... Anche questa spider dove siamo, vedi? Deve essere arrivata stamattina. Probabilmente dovranno disegnarla in qualche storia imminente, e devo prenderci familiarità. Naturalmente passerà per un premio. Ma puoi star sicuro che, appena finita di disegnare la storia, lo zio se la riprenderà. Sai, non mi lamento... posso guidare praticamente una macchina diversa ogni giorno, anche se non sono mie... praticamente è il mio lavoro... diciamo così!"</p><br/><p align="justify">"Lavoro? Mi stupisce sentirti parlare di lavoro!" rispondo, sorridendo. "Proprio tu... proprio tu che..." (potrò dirlo?) "Sai, la storia... ehm... della cassaforte..."</p><br/><p align="justify">"Ah, ah ah!... quella!" replica allegramente "È vuota, non ha nessuna combinazione! Me l'aveva fornita Archimede e il decino me lo diede mio zio. Servì solo per quella storia, credo di non averla nemmeno più in casa..."</p><br/><p align="justify">Io sono sempre più strabiliato. Allora Gastone non è quell'antipatico sbruffone sempre fortunello che tutti conosciamo...</p><br/><p align="justify">Intanto siamo arrivati in fondo a Barks Drive, e percorriamo il ponte sul Tulebug, quello con gli alberelli. Gastone vuole portarmi a fare un giro nella parte della città che non ho ancora visto, quella settentrionale. Non ho idea di come questo possa aiutarmi a ritrovare lo zainetto rubatomi dai Bassotti, ma mi fido di lui... ok, dopo quello che mi ha raccontato la sua proverbiale fortuna si è un po' ridimensionata ai miei occhi, ma resta pur sempre il figlio di Daphne Duck, e la buona sorte deve averla nel sangue... e in fondo io non attendo altro se non di girare tutta questa città meravigliosa, conoscere ogni suo angolo e ogni suo segreto...</p><br/><p><br/>* * *</p><br/><p align="justify"><br/>Così, superato il fiume e il quartiere commerciale, percorriamo prima Carpi Lane, quindi, oltrepassata Arrigada Rios Square, imbocchiamo Manrique Road. "Passo di qua" fa Gastone "perché se passassi da Cimino Avenue e Paperino fosse in giardino come suo solito dovrei fermarmi a parlare... sai com'è..." Ma non è giusto, penso! "Ma io ci voglio andare, da Paperino!" "Ci andremo, ci andremo..." risponde Gastone... "ma all'ora di pranzo! Non hai idea di come cucini mio cugino!" Lo ha detto anche ieri Paperoga, per cui deve essere proprio un ottimo cuoco.</p><br/><p align="justify">Manrique Road non arriva dritta al Deposito come la parallela Cimino Avenue, ma lo oltrepassa a qualche isolato di distanza. Per cui devo accontentarmi di ammirarne il profilo da lontano. A quanto pare, l'incontro con Paperone non avverrà nemmeno stamattina. "Ma io devo andarci, da tuo zio!" protesto. "Lo sai anche tu come tratta i ritardatari, no?"</p><br/><p align="justify">Gastone, tuttavia, sembra tranquillo. "Fidati di me, è tutto a posto, l'ho già avvertito". Strano, non l'ho visto telefonare. Ma mi fido. Forse qui a Paperopoli comunicano con il pensiero... in questo posto ormai non mi stupirei più di niente.</p><br/><p align="justify">Intanto, il mio accompagnatore mi spiega che sta portandomi in uno dei luoghi più misteriosi di Paperopoli... istintivamente penso alla Cattedrale di Notre Duck, quella che si vede così raramente eppure c'è... però siamo ormai su una strada a scorrimento veloce, diretti sempre più a nord, e mi sembra che dal centro ci stiamo allontanando sempre di più.</p><br/><p><br/>* * *</p><br/><p align="justify">Dopo chilometri, non saprei dire quanti, dopo aver scavalcato su un ponte una linea ferroviaria, l'unica da me vista finora, e sorpassato numerosi svincoli autostradali con indicazioni che si riferiscono al porto - ma quanto è grande questo porto? Non sapevo si estendesse su entrambi i lati del fiume! - arriviamo in una zona più periferica. Qui le case sono più piccole, le strade semivuote, i muri pieni di scritte. la zona è pianeggiante, a ovest, lontano, si intravede il mare, ma verso est il terreno si articola in una serie di collinette a panettone sulla cui sommità sono abbarbicati grappoli di piccole case, semplici e colorate. I pochi passanti mangiano gelati e tutti, o quasi, sono in canottiera. E mi stupisce il fatto che la metà delle persone che vedo, paperi e non paperi, siano di colore.</p><br/><p align="justify">"Cos'è, il quartiere africano?" chiedo incuriosito.</p><br/><p align="justify">"No, no... questo è il quartiere brasiliano, ed è molto più grande di come tu possa immaginare. Ci abita Gloria, la fidanzata di Paperoga. Anche lui ha una casa qui tra l'altro, anche se non ci viene spesso. E qui vicino c'è pure la villa di mio zio, pensa un po'!"</p><br/><p align="justify">Ma certo! I brasiliani, come ho fatto a non pensarci? E le targhe stradali lo confermano: Saidenberg Road, Miyaura Square, Rodrigues Lane... che peccato passarci così in fretta, deve essere uno dei quartieri più interessanti. Mi piacerebbe incontrare magari Pennino e Cinzia... che peccato avere così poco tempo! Tornerò, Paperopoli, puoi starne certa!</p><br/><p align="justify"><br/>* * *</p><br/><p align="justify">La strada, usciti ormai da quell'abitato che sembrava interminabile, si fa più stretta e inizia a inerpicarsi. Siamo sulla costa adesso, una costa rocciosa e articolata, piena di piccole baie, insenature e promontori. Finalmente ho capito, forse, dove siamo diretti.</p><br/><p align="justify">Il vecchio faro è laggiù, su una sporgenza rocciosa a picco sul mare. Mancheranno ancora un paio di chilometri. Il panorama da lì deve essere stupendo. Ai due lati della strada ci sono solo distese d'erba... e sulla sinistra, oltre l'erba, il mare, giù in basso... il vento è forte e con la maglietta leggera che ho, qui sulla spider ho quasi freddo. L'autoradio di Gastone diffonde una canzone nostalgica di un certo Capellone Joe.</p><br/><p align="justify">Poi Gastone lascia l'auto sul ciglio della strada e m'invita a proseguire a piedi. Il rumore del mare è assordante e l'odore della salsedine giunge fin quassù, inebriante, portato dal vento. C'incamminiamo per un ripido sentiero che si discosta dalla statale in direzione del mare, inerpicandosi sul promontorio. Il vecchio faro è distante, almeno cinquecento metri. Sembrava più vicino. Qualche gabbiano vola in lontananza, lasciandosi trasportare dalle correnti come un aliante. Alti ciuffi di erbe sconosciute si piegano sotto le raffiche. E l'urlo delle onde che si frantumano contro gli scogli, giù in basso, si fa sempre più forte e più insistente dagli anfratti delle scogliere che non vedo ma immagino, mentre seguo la figura di Gastone, così buffo e irreale con quei vestiti eleganti in un paesaggio verde e azzurro che neppure credevo potesse esistere qui nei dintorni.</p><br/><p align="center"> <img src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/zniga/5059c827376ef8ad32a6e5710a58cb69.jpg" alt="the Old Lighthouse" style="margin: 0px auto 10px; display: block; text-align: center;" /></p><br/><p align="justify">La porta lignea del vecchio faro è spalancata. Sulla piccola cupola alla sommità della costruzione, alta una dozzina di metri, sette o otto gabbiani e una cornacchia spiccano simultaneamente il volo appena sbuchiamo dal sentiero sullo spiazzo che circonda l'edifico. Oltre lo spiazzo, il promontorio termina bruscamente con un salto. Giù, solo il mare azzurro, lo sconfinato Pacifico di James Cook, screziato fino all'orizzonte dai milioni d'increspature bianche delle onde, riccioli di schiuma da barba su un immenso vetro che specchia il cielo. Prudentemente, giro intorno al faro e mi sporgo a guardare. È un salto vertiginoso, saranno almeno venti metri. Ogni onda che s'infrange esplode in una nuvola di spruzzi che quasi lambisce l'orlo del promontorio dove mi trovo, mi arrivano tutte le goccioline, sospese nell'aria come una nebbia. In bocca ho il sapore del sale. È fantastico, irreale.</p><br/><p align="justify">Dev'essere uno di quei luoghi dove la gente viene, si sa, ma quando ci vai non ci trovi mai nessuno. Come in tutti i posti misteriosi. E già ho dimenticato lo scopo per cui sono qui, Paperone, i Bassotti, mentre seguo Gastone verso la torretta, i cui vecchi muri sono incrostati di sale e scarabocchiati, qua e là, da scritte mezze cancellate. Alcune inneggiano al Drakesbro e al Pepper, ma la maggior parte sono scritte d'amore. Anche tra paperi ci si ama, penso sorridendo. E quest'angolo incantevole sembra fatto apposta. In effetti, se ora al posto di Gastone ci fosse una ragazza sarebbe perfetto. Peccato non abitare qui, penso ancora una volta.</p><br/><p align="justify">La scaletta interna sale rapidamente a spirale, e poco dopo io e Gastone ci troviamo nella stanza del faro, sotto la cupola di vetro che, ormai priva di ogni manutenzione, è tutta imbrattata e incrostata dal guano di generazioni di gabbiani. Sui muri scritte ovunque, per terra mozziconi di sigarette e lattine vuote. Ma anche così ha un fascino indescrivibile, quel fascino tipico dei luoghi abbandonati e segretamente frequentati un po' da tutti.</p><br/><p align="justify">Sul terrazzino esterno, facendo attenzione a non appoggiarmi alla ringhierina arrugginita dall'aria davvero malferma, mi volto finalmente verso Sud. Lo spettacolo è indescrivibile.</p><br/><p align="justify">Verso Sud, la baia si stende immensa, leggermente velata dalla nebbiolina sollevata dal continuo infrangersi dei marosi sulla costa. La città è enorme. Lontanissime, piccole come giocattoli, sfuocate, navi colorate sostano in rada, nell'attesa di entrare in porto. In mezzo al golfo, l'isolotto. Le case più lontane sono una massa indistinta, i colori da qui non si vedono, sembra un enorme tappeto chiaro. È qualcosa che lascia senza fiato. Sul terrazzino c'è un cannocchiale, girevole, simile a quelli che nelle città di mare sono situati sui lungomare, e i bambini ci mettono la monetina e guardano le barche lontane. Voglio puntarlo sulla città. Gira a fatica, cigolando, probabilmente non ci si vede più niente. Invece, accostando l'occhio alla lente, vedo un po' velato dal sale, ma distinto, l'insieme delle case, le finestre, perfino le auto e le persone per le strade. Vicinissime. Riesco persino a vedere la Killmule Hill e il Deposito. L'osservo per qualche minuto... Paperone è lì, deve esserci per forza, se solo si affacciasse alla finestra, se solo uscisse a fare un giro...</p><br/><p align="justify">"Stupito, eh, della città? Hai visto quant'è grande?"</p><br/><p align="justify">"Sì... è incredibile! Ma quanti abitanti siete? Dovete essere milioni!"</p><br/><p align="justify">"Beh, Zniga, quanti siamo esattamente non lo so, però fai un rapido collegamento. Pensa a quante storie vengono disegnate ogni anno. Pensa alla gente che si vede nelle storie. A parte me, i miei cugini, la mia famiglia... hai mai visto due facce uguali? Ecco, pensa a quante persone diverse compaiono in ogni storia e a quante storie vengono disegnate, in tutti i Paesi. E aggiungici migliaia e migliaia di persone che ancora nessuno ha mai rappresentato. Dobbiamo essere davvero in tanti, non trovi?"</p><br/><p align="justify">In effetti non ci avevo mai pensato. Ed è sorprendente.</p><br/><p align="justify">"E poi, Gastone... questo cannocchiale... ma... com'è possibile? Che funzioni ancora dico... e che ingrandisca così tanto! Ero convinto che non funzionasse!"</p><br/><p align="justify">"Vedi, Zniga... forse in qualsiasi posto reale quel cannocchiale non funzionerebbe più da un bel pezzo, ma sai, qui a Paperopoli... con gli occhi della fantasia puoi vedere davvero quello che vuoi..."</p><br/><p><br/>* * *</p><br/><p align="justify"><br/>Non ho ancora ritrovato lo zainetto... ma la visita al vecchio faro val bene la perdita di una cartina, qualche foglio e qualche matita! Al massimo li ricomprerò tra poco in centro, tanto ormai mi sembra di aver capito che per vedere Paperone dovrò aspettare domani mattina... l'ultimo giorno!</p><br/><p align="justify">E intanto, mentre attraversiamo di nuovo Paperopoli a tutta velocità, questa volta da Nord verso Sud, apprendo che siamo diretti a fare compere. Paperino ci ospiterà per pranzo, o per cena, dato che in realtà l'ora di pranzo deve essere ormai passata e ho un bel po' fame, ma ho capito che qui gli orari cambiano di giorno in giorno e ognuno fa un po' quello che vuole. Andremo a comperare in un supermercato vicino al Parco, sulla sponda del fiume, perché Gastone, come milionesimo cliente, ha diritto ad acquisti gratuiti a vita lì dentro. Ciò che compreremo servirà a Paperino per preparare il pranzo. Non sto più nella pelle dall'idea di pranzare da Paperino. Quasi quasi vorrei dire a Gastone di portarmi da lui e aspettarlo lì... ma forse non è gentile...</p><br/><p align="justify"><br/>Mentre ci dirigiamo verso il Parco, arrivati nella zona immediatamente a nord del Deposito, passiamo finalmente accanto alla Cattedrale di Notre Duck... e nell'ammirarla dall'auto in tutto il suo splendore di nuovo capisco come quattro giorni sono davvero troppo pochi per poter conoscere davvero questa città... mi accontento di una foto con il telefonino...</p><br/><p align="center"> <img src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/zniga/4be7f7986789ebfe1af41f115eeaa661.jpg" alt="Notre Duck Cathedral" style="margin: 0px auto 10px; display: block; text-align: center;" /></p><br/><p align="justify">Dopo aver percorso Manrique Road al contrario, arriviamo finalmente vicini ai confini settentrionali del Coot Park, il grande parco comunale intitolato al fondatore della città. Siamo nel pieno dell'ora di punta e, per buon senso, verrebbe da pensare che un parcheggio libero nelle vicinanze del supermercato non lo troveremo mai... ma non ho messo in conto la fortuna di Gastone, che naturalmente, dopo aver girato per nemmeno due minuti, finisce per trovarsi come al solito nel posto giusto al momenbto giusto.</p><br/><p align="justify">Un papero dal becco appuntito con un furgoncino, infatti, esce in retromarcia dal parcheggio, lasciando libero un posto magnifico, nel quale la sua superspider, molto più lunga e larga della maggior parte delle piccole auto paperopolesi, entra a a meraviglia.</p><br/><p align="justify">E mentre si dirige verso il supermercato - un largo e basso parallelepipedo di cemento, con un'unica grande porta a vetri e un'enorme insegna colorata, davanti al quale si stende un vasto piazzale - io ne approfitto per farmi finalmente un giretto nel parco. Si sa mai che magari incontro Paperone! Sì, lo so, lui di solito ci va al mattino, prima che passino i netturbini, per trovare i giornali vecchi... ma alla fine mi sembra che qui nessuno segua degli orari troppo rigidi...</p><br/><p><br/>* * *</p><br/><p align="justify"><br/>Coot Park, isola d'alberi e quiete tra i grattacieli, non è molto diverso da qualsiasi grande area verde di una grande città... vialetti sterrati coperti di ghiaia che si snodano tra i prati, bimbi con la bicicletta, gente col cane, belle papere in T-shirt e calzoncini attillati che corrono per tenersi in forma. Uccelli di specie diverse cinguettano sui rami. Io, appassionato di ornitologia, riconosco tra gli altri un Cardinale rosso e un Vireo, oltre a una banalissima cornacchia. Ci sono panchine di legno dappertutto e c'è anche un ruscello che lo attraversa da cima a fondo, deve essere un affluente del Tulebug. Oppure ha una foce indipendente? Non lo so, mi piacerebbe saperlo, ma purtroppo la mia carta è rimasta nello zainetto in mano a quei manigoldi...</p><br/><p align="justify">Dopo aver gironzolato in lungo e in largo tra i vialetti ed esser finalmente riuscito a gustare un gelato comprato in un chiosco, arrivo in quello che deve essere il punto centrale, dove, in mezzo a uno spiazzo ghiaioso, campeggia la ben nota statua del papero con il becco a punta e i capelli lunghi che tiene in mano le pannocchie. Cornelius Coot, il fondatore della città, antenato di Nonna Papera e quindi anche di Paperino. Non somiglia per niente a nessuno dei due. E continuo a chiedermi perché, pur essendo anch'egli un'anatra, abbia un cognome che significa "folaga". Sulla punta del becco c'è appollaiato un piccione. Anzi no, non è un piccione, è di nuovo una cornacchia.</p><br/><p align="center"><img src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/zniga/fcdb618f9271396dfc7a71888035f896.jpg" alt="Cornelius Coot" style="margin: 0px auto 10px; display: block; text-align: center;" /></p><br/><p align="justify">Dopo aver gironzolato in lungo e in largo decido che è ora di tornare, che Gastone deve aver terminato gli acquisti ma... da che parte sono entrato? Oddio, non me lo ricordo più! Come farò ad uscire? Se solo sapessi come si chiamava la strada dove Gastone ha parcheggiato la macchina! Se ricordasse lo "stile" particolare della strada, potrei associarla al nome di un disegnatore, ma... se per caso aveva il nome di uno sceneggiatore?</p><br/><p align="justify">Pensa che ti ripensa... alla fine prendo una decisione: io so che devo andare a pranzo da Paperino, so che abita in Cimino Avenue, più o meno a metà, per cui mi basterà chiedere a qualcuno come si fa per arrivarci. Gastone, con la sua fortuna, non avrà nemmeno bisogno di cercarmi e mi troverà già lì, ne sono sicuro.</p><br/><p align="justify">A chi chiedo? Ci vorrebbe una bella paperotta, sarebbe più piacevole... in effetti laggiù ce n'è giusto una, che gironzola sui pattini a rotelle... ha lunghi capelli llisci e corvini, occhiali scuri, un bel fisico asciutto... credo proprio che chiederò a lei!</p><br/><p align="justify">"Senti... ehm... scusa..."</p><br/><p align="justify">Si toglie gli occhiali e mi guarda incuriosita. Mi sembra quasi di cogliere nei suoi occhi un'espressione di interesse e incredulità. "Per caso sai dirmi come arrivare in Cimino Road?"</p><br/><p align="justify">"Cimino Road?" fa lei. Ha una voce un po' bassa, ma bella. "Cimino Road è quella che va verso il Deposito. Devi andare al Deposito?"</p><br/><p align="justify">"No, lì devo andarci domani. Mi basta sapere dov'è Cimino Road."</p><br/><p align="justify">Alla fine la paperotta acconsente ad accopagnarmi. Si siede su una panchina, si toglie i pattini e ci incamminiamo. È davvero gentile. È carina, ma meno giovane di come sembrava da lontano, penso sia più grande di Gastone (Gastone avrà più o meno la mia età, forse poco di più).</p><br/><p align="justify">Le racconto del mio arrivo a Paperopoli, del fatto che vengo dall'Italia e... scopro con grandissima sorpresa che parla un italiano perfetto! Con un lieve accento meridionale addirittura... Forse non c'è da stupirsi, qui a Paperopoli parlano tutte le lingue del mondo.</p><br/><p align="justify">Arriviamo a metà di Cimino Avenue che io nemmeno me ne accorgo, e siamo costretti a salutarci... che strano, eh? Smaniavo dalla voglia di conoscere Paperino e ora me ne andrei volentieri ancora a spasso con questa papera sconosciuta dai capelli neri...</p><br/><p><br/>* * *</p><br/><p align="justify"><br/>Cimino Road è una strada larga, con un certo via vai di automobili e furgoni, ed è interamente pianeggiante. Niente a che vedere con la quiete e le strade strette, tutte un saliscendi, della zona di Barks Drive. La casa di Paperino si trova proprio in questa via, deve essere una delle tre o quattro villette che ora vedo in successione alla mia destra. A un certo punto ne scorgo una tutta di legno, che potrebbe essere quella giusta. Ha una cassetta della posta blu, un giardino ben curato, tra un albero potato e il vialetto di accesso c'è una sdraio su cui è appoggiata una copia del Papersera, e la porta di casa è socchiusa. Dentro c'è qualcuno, vedo ombre muoversi, ma non riesco a capire se si tratta di Paperino...</p><br/><p align="justify">Poi leggo il nome sulla cassetta.</p><br/><p align="justify"><font face="Times New Roman" size="2">MITRAGLIA ANACLETO</font></p><br/><p align="justify">Sono arrivato!!! Ma allora Mitraglia è italiano davvero, mi dico. E Jones? Boh... forse abita dall'altra parte...</p><br/><p align="justify">E accanto alla casa di Anacleto c'è un'altra villetta quasi uguale, la cassetta della posta rossa e gialla, il vialetto, due alberi nel giardino tra cui è tesa un'amaca... Per terra una specie di materasso lanuginoso. Da una delle finestre, aperte, un profumo di dolci si diffonde sulla strada. </p><br/><p align="justify"><font face="Comic Sans MS" size="1"><strong>DONALD F., HUBERT, DEUTERONOMY </strong></font><font face="Comic Sans MS" size="1"><strong>and LOUIS DUCK</strong></font> </p><br/><p align="justify">Sono loro!!! È strano, è emozionante ma nello stesso tempo è quasi come entrare in casa di un vecchio amico, penso mentre apro il cancelletto di legno come farei per entrare in qualsiasi altro giardino...</p><br/><p align="justify">La ghiaia del vialetto mi scricchiola sotto i piedi mentre mi avvicino alla porta di legno e... tutt'a un tratto, il materasso lanoso che ho visto sul prato sembra animarsi, si muove e si mette a corrermi incontro abbaiando! Oddio! Ma è un cane! Sarà buono? Spero di proprio di sì, penso, immobile, mentre quel bestione - che poi ha un'aria simpatica - mi gira intorno fiutandomi dappertutto.</p><br/><p align="justify"><font face="Comic Sans MS" size="3"><em>"Bolivaaar! Stà zitto!"</em></font></p><br/><p align="justify">Inconfondibile, una voce di un'anatra parlante mi arriva dalla finestra. Sentirla dal vivo fa un effetto indescrivibile.</p><br/><p align="justify">"Arf, arf, arf!" continua a strepitare Bolivar, saltellando e correndo in cerchio intorno a me, come per attirare l'attenzione. "Arf, arf, arf!" Torna da me, si fa accarezzare un attimo e riprende ad abbaiare.</p><br/><p align="justify">La porta si apre. "Insomma, che c'è?"</p><br/><p align="justify">Ci guardiamo negli occhi per qualche secondo.</p><br/><p align="justify">Ha il solito berretto blu, per traverso, le maniche rimboccate, un largo grembiule sul davanti che scende a coprire in parte le zampe arancioni e palmate. E un'espressione tutt'altro che amichevole che, nel vedermi, lascia spazio improvvisamente all'incredulità.</p><br/><p align="justify">"Ma tu... chi sei? Non sei Zniga... o sì?"</p><br/><p align="justify">"Ma certo che sono io! Ciao, Paperino! Piacere di conoscerti!"</p><br/><p align="justify">"Zniga! Piacere! Piacere, scusami..." sembra preoccupato "Sai, ti aspettavo per pranzo con Gastone e... beh, mi dispiace accoglierti così..."</p><br/><p align="justify">"Vuoi scherzare?" rido, mentre Paperino mi apre la porta, facendomi finalmente entrare nella casa più famosa del mondo. All'interno del soggiorno, un grosso tappeto circolare, rosso, giallo e arancione, decora il pavimento di legno, mentre una poltrona verde dall'aria molto comoda, quella che si vede in tutte le storie, è appoggiata al muro, accanto a un comodino su cui è posata una grossa lampada gialla e rossa. Oltre una tenda blu che funge da porta, poi, si intravede la scala che porta al piano di sopra, dove ci sono le camere di Paperino e dei nipotini.</p><br/><p align="justify">A proposito... "Qui, Quo e Qua? Ci sono?"</p><br/><p align="justify">"No, oggi sono da Nonna Papera, con Paperina... sai, stanotte dormirai qui e ho preparato la loro stanza apposta per te..."</p><br/><p align="justify">"Ma potrò conoscerli? Torneranno domani?"</p><br/><p align="justify">"Domani ci andremo noi da Nonna Papera, Zniga! Contento?"</p><br/><p align="justify">Wow, questa sì che è una notizia! Da Nonna Papera, magari con la 313! E ci sono anche i nipotini! Non ci avrei mai sperato!...</p><br/><p><br/>* * *</p><br/><p align="justify"><br/>Mentre Paperino torna in cucina a terminare i preparativi per il pranzo, ne approfitto per dare un'occhiata alla casa.</p><br/><p align="justify">È una sensazione particolare, quella che si prova qui a casa di Paperino: un po' come quando ci si reca in un posto conosciutissimo, magari un sito archeologico, che si è già visto e rivisto mille volte in fotografia, e si ha come l'impressione di esserci già stati. Solo che questa è una casa, ed è ancora più strano. Chissà dov'è l'accesso al nascondiglio segreto di Paperinik...</p><br/><p align="justify">Mentre gironzolo, la mia attenzione è attratta da uno strano oggetto, appoggiato su uno dei mobili del soggiorno. Sembra una gabbietta per criceti, ma la ruota per far correre la bestiola è collegata con una cinghia ad una dinamo che aziona una lampadina. Nella gabbietta non c'è nessun criceto, così provo io a far girare la ruota... in effetti funziona, la lampadina si accende. Sono così incuriosito che vado in cucina, a chiedere spiegazioni a Paperino.</p><br/><p align="justify">"Ah, la gabbietta con la dinamo!" fa lui. "La tengo per ricordo. Servì per una storia di tanti anni fa, in cui quello strano oggetto doveva comparire nella prima vignetta!"</p><br/><p align="justify">"Sì, ma... che fine ha fatto il criceto? La gabbietta è vuota!"</p><br/><p align="justify">"Ti sembro uno che ama tenere gli animali in gabbia?" risponde Paperino, quasi indignato "Io, cresciuto alla fattoria di Nonna Papera, in mezzo a creature di ogni genere in libertà? Quel <<criceto>> altri non era che Ciop... Lo lasciai lì dentro solo il tempo necessario a disegnare quella vignetta. Non ti dico che fatica catturarlo! Mi diede uno di quei morsi... Anche per questo la gabbietta l'ho conservata. L'aveva costruita Archimede apposta per quella storia! Bolivaaaaar!"</p><br/><p align="justify">Paperino si distrae per richiamare il cane, che ha ripreso ad abbaiare e questa volta ce l'ha con un grosso uccello nero appollaiato su uno dei due alberi. "Ci manca solo che si metta pure ad abbaiare alle cornacchie! Quello non è un cane, è uno sfondatimpani su quattro zampe!"</p><br/><p align="justify">Sarà... a me Bolivar è già simpatico. Però che cosa curiosa, penso: in due giorni non ho visto nemmeno una cornacchia qui, mentre oggi, questa è già la quarta.</p><br/><p><br/>* * *</p><br/><p align="justify">Sono passate più di due ore. Il pranzo a casa di Paperino, tutto a base di specialità tratte dal ricettario di Nonna Papera e - devo dire - interpretate magistralmente dal cuoco, è terminato. Come ultima portata Paperino ci ha riservato le ciambelle e i "muffins" con il <em>maple syrup</em>, lo sciroppo d'acero, che ha già fatto ieri per Paperoga. Anche quest'ultimo, tanto per cambiare, si è autoinvitato. Peccato che non si sia autoinvitato anche lo zione, come nei fumetti! Quasi quasi m'era venuta l'idea di prendere di nascosto un ventilatore che diffondesse il profumo verso una certa collina...</p><br/><p align="justify">Ci sono anche Gastone e Anacleto. Si sa, coi vicini, anche antipatici, bisogna sempre cercare di tenere buoni rapporti, mi fa Paperino, a bassa voce... e Anacleto non è proprio antipatico. Sì, un po' sbruffone lo è, ma nei fumetti sembra peggio.</p><br/><p align="justify">"Così, te la sei svignata mentre ero al supermercato, eh?" mi fa Gastone. "Ti sei visto il parco? O sei andato a caccia di belle papere?"</p><br/><p align="justify">(Che faccio? Glielo dico di quella paperotta? No, meglio di no...) "Sai" rispondo "sapevo che spesso al parco c'è tuo zio... speravo magari di beccarlo alla ricerca di qualche giornale vecchio..."</p><br/><p align="justify">"oh... ma ancora quella storia dei giornali?" fa Paperino, incredulo "Ma voi lettori pensate davvero che Zio Paperone vada a leggere i giornali al parco?"</p><br/><p align="justify">"Beh... si vede in tutte le storie, no?" replico candidamente.</p><br/><p align="justify">"Zniga... fai un ragionamento: il Papersera è suo, ne è il direttore e il proprietario, per cui ne ha a disposizoine almeno una copia gratuita al giorno. Tutte le case editrici qui sono sue, tranne quella del giornale di Rockerduck, che non legge. Per cui... a cosa gli servirebbe? Quella cosa lì la fa solo quando lo disegnano... fa... come dire? fa parte del personaggio, capisci? È una cosa pittoresca, caratteristica, più che altro, di quelle che lo rendono simpatico ai lettori... e i giornali che raccatta poi se li porta a casa e ne fa tante pallottole da mettere nella stufa d'inverno... come si faceva un tempo..."</p><br/><p align="justify">"Già, come si faceva nel Klondike, magari..."</p><br/><p align="justify">"A proposito... quando domattina andrai dallo zione, tu non parlargli mai del Klondike se non ne parla lui! Rischieresti di doverti sorbire un suo monologo senza fine!"</p><br/><p align="justify">Sarà... ma darei non so cosa per ascoltare un monologo senza fine di Paperon de' Paperoni sui tempi della corsa all'oro nel Klondike...</p><br/><p><br/>* * *</p><br/><p align="justify"><br/>Dopo essermi riposato un po' sulla sdraio nel giardino di Paperino, e dopo aver sistemato le mie cose nella camera dei nipotini, scendo di nuovo al piano di sotto.</p><br/><p align="justify">Ormai è sera... ma con tutto quello che ho mangiato a pranzo non credo che avrò voglia di cenare! Così mi siedo davanti alla TV. </p><br/><p align="justify">Un'emittente locale sta mandando in onda un servizio sulla prossima edizione di una sorta di gara comunale chiamata Sfida Infida - anche questa l'ho già sentita - che si terrà a Paperopoli tra poco più di un mese. L'ultima edizione, guarda caso, è stata vinta da Gastone. Bolivar, nel giardino, abbaia ancora e scorrazza. Che cane agitato.</p><br/><p align="justify">Ora fa più fresco e avrei voglia di farmi un giro. Così Paperino mi fa una proposta.</p><br/><p align="justify">"Zniga... è sabato sera. I nipotini non ci sono e per te è l'ultima sera a Paperopoli. Che ne diresti se tra un po' uscissimo e ti portassi a vedere Paperopoli by night?"</p><br/><p align="justify">Wow, mi piace questa proposta... anche perché la vita notturna paperopolese è un aspetto di questa città che non conosco. E poi chissà, di notte magari beccheremo i Bassotti da qualche parte...</p><br/><p align="justify">Così ci mettiamo d'accordo: un rapido giro di telefonate, verranno anche Paperoga e Gastone... e io sono già elettrizzato. Non ho idea di cosa si faccia il sabato sera a Paperopoli. E non vedo l'ora di scoprirlo. Chissà se in giro troverò anche la bella paperotta di oggi...</p><br/><p align="justify">...e ora non c'è tempo da perdere: saltando gli scalini a due a due corro al piano di sopra a farmi una doccia...</p><br/><p align="justify">Sarò pronto in meno di un quarto d'ora, urlo a Paperino che è nella stanza a fianco, mentre metto sottosopra tutta la mia valigia per trovare qualcosa di decente da mettermi stasera, facendo volare jeans, calzini e magliette ovunque. ma non m'importa del caos che sto facendo: per mettere in ordine c'è sempre tempo. È l'ultima sera, domani incontrerò Paperon de' Paperoni, e ora fuori dalla finestra, nella luce ormai tenue del crepuscolo, una Paperopoli segreta, ancora tutta da scoprire, mi sta aspettando...</p><br/><p align="justify"> <br/><font face="Comic Sans MS" size="3"><strong>Note.</strong></font></p><br/><p align="justify"><font face="Comic Sans MS" size="1">Daphne Duck, madre di Gastone, inventata da Carl Barks per il suo albero genealogico personale dei paperi, compare ne <em>L'Invasore del Forte Paperopoli </em>di Don Rosa, D 93227, marzo 1994.</font></p><br/><p align="justify"><font face="Comic Sans MS" size="1">La "storia imminente" per la quale Gastone deve prendere confidenza con la spider nuova è <em>Gastone e la fortuna da barattare</em> di Stefano Ambrosio - Antonello Dalena, I TL 2690-4, giugno 2007.</font></p><br/><p align="justify"><font face="Comic Sans MS" size="1">Il riferimento alla misteriosa cassaforte che si troverebbe all'interno della casa di Gastone, citata all'inizio del racconto, è tratto da <em>Gastone e la prova del lavoro</em> di Carl Barks, pubblicata in Italia su TL 735, agosto 1951, nella quale la cassaforte serviva a Gastone per tenere al riparo da occhi indiscreti l'unica moneta da lui guadagnata lavorando.</font></p><br/><p align="justify"><font face="Comic Sans MS" size="1">Ho scelto di ubicare il quartiere brasiliano alla periferia settentrionale perché le storie brasiliane spesso si concentrano su di un singolo personaggio, nella maggior parte dei casi "marginale" (come la citata Gloria, fidanzata di Paperoga, inventata in Brasile nel 1972, o Pennino con la sua inseparabile amichetta Cinzia, apparsi dieci anni più tardi) e spesso hanno ambientazioni periferiche.</font></p><br/><p align="justify"><font face="Comic Sans MS" size="1">Il cantante noto come Capellone Joe compare nella storia <em>Zio Paperone e la regina dei dinghi</em> di Carl Barks, W WDC 77-02, 1966.</font></p><br/><p align="justify"><font face="Comic Sans MS" size="1">L'aspetto del Vecchio faro, citato in diverse storie, è tratto da Paperinik e il tesoro di Dolly Paprika di Marco Gervasio, I TL 2675-1. Lo stesso dicasi per quanto riguarda la Cattedrale di Notre Duck.</font></p><br/><p align="justify"><font face="Comic Sans MS" size="1">Il cane sanbernardo Bolivar è un'invenzione di Charles Alfred Taliaferro e compare fin dalla fine degli anni Trenta nelle strisce; ripreso da Barks e da diversi altri autori, è stato in seguito sempre meno utilizzato. È un personaggio che ho sempre apprezzato e per questo, oltre che per ricordare Taliaferro che non viene altrimenti mai citato nel racconto, ho deciso di inserirlo.</font></p><br/><p align="justify"><font face="Comic Sans MS" size="1">Il giardino e il piano terra della casa di Paperino sono descritti come appaiono in <em>Paperino e la fortuna sfortunata</em> di Rodolfo Cimino - Giorgio Cavazzano, I TL 1881, dicembre 1991.</font></p><br/><p align="justify"><font face="Comic Sans MS" size="1">La gabbietta del criceto con la ruota che aziona la dinamo per accendere la lampadina compare nella prima vignetta di <em>Paperino e la data terribile</em> di Carl Barks, pubblicata in Italia su TL 208, aprile 1959; dalla stessa storia è tratto il riferimento all'aspetto del parco, con il ruscello presumibilmente affluente del Tulebug che lo percorre, e alla presenza, nelle vicinanze di quest'ultimo, di un grande supermercato.</font></p><br/><p align="justify"><font face="Comic Sans MS" size="1">La statua di Cornelius Coot fondatore della città e antenato di Nonna Papera compare per la prima volta in <em>Statuesque Spendthrifts</em> di Carl Barks, pubblicata su Walt Disney's Comics and Stories n. 138. In seguito, moltissimi autori tra cui Don Rosa, Giorgio Pezzin e Massimo De Vita lo rappresenteranno, sia sotto forma di statua che in carne ed ossa in storie ambientate nel passato.</font></p><br/><p align="justify"><font face="Comic Sans MS" size="1">La poltrona verde nel soggiorno di Paperino compare invece in innumerevoli storie, comprese <em>Paperino e la data terribile</em> cit., <em>Paperino e la fortuna sfortunata</em> cit., nonché <em>Paperino (& Gastone) e la tele-fortuna</em> di Staff di If - Massimo De Vita, I TL 1597, luglio 1986, citata nella puntata precedente.</font></p><br/><p align="justify"> </p><br/></font><font face="Comic Sans MS" size="1">Il riferimento alla "Sfida Infida" è tratto da <em>Paperino, Gastone e la Sfida Infida</em> di Fabio Michelini - Alessandro Barbucci, I TL 2064, giugno 1995. Il periodo in cui tale competizione si svolge, cioè poco più di un mese dopo la mia visita (quindi all'inizio di giugno) è dedotto dal fatto che la storia in questione è stata pubblicata il 20 giugno, quando la sfida si supponeva conclusa da poco.</font>ImagoAltrovehttp://www.blogger.com/profile/14725579928464469991noreply@blogger.com7tag:blogger.com,1999:blog-4270418888591832432.post-48892444782787531152007-06-14T14:14:00.002+02:002011-11-30T20:05:57.591+01:00La Saga delle Sirene<em>Né vivere, né morire.<br/>Non ho potuo fare niente<br/>di tutto questo insieme a te...</em><br/><br/><div align="center"><img src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/deep/sirene0xgy1.jpg" alt="La saga delle Sirene" /><br/></div><br/><br/>L'immortalità. Un antico miraggio che l'uomo rincorre fin dal principio della vita stessa; un sogno irraggiungibile che si perde nei meandri più reconditi dell'esistenza; un desiderio insano e perverso, talvolta disperato, che scaturisce da una favola tramandata attraverso i secoli e le generazioni: a colui che si nutrirà della carne di una sirena saranno concesse eterna giovinezza e longevità. Quello che però non viene narrato dalla leggenda è che la carne di sirena è in realtà un veleno letale, capace di trasformare ogni essere vivente in una creatura mostruosa e priva di sentimenti, condannata a vivere in eterno sotto quelle orrende sembianze. Mentre il destino che attende i più fortunati consiste in una morte atroce e dolorosa oltre l'umana immaginazione. Eppure al mondo sembra esistere anche chi ha ricevuto il dono dell'immortalità senza che il suo corpo ne subisse le tremende conseguenze. La felicità di costoro è però destinata a spegnersi in un lampo sotto il peso della solitudine eterna.<br/>Yuta è un giovane vagabondo che cammina sulla Terra da più di cinquecento anni alla disperata ricerca di una sirena che possa finalmente porre fine al tormento della sua condizione. Yuta desidera invecchiare e morire come qualunque altro essere umano. E nel suo eterno vagare incontrerà Mana, una ragazza anch'essa immortale, sottratta al suo destino di vittima sacrificale sull'altare delle leggendarie creature marine. Perchè se un essere umano che si nutre della carne di sirena è in grado di ottenere l'eterna giovinezza, la sirena che mangia la carne di colei che ha trovato l'immortalità ritorna giovane. E in un villaggio sperduto sulle rive del mare, una congrega di vecchie sirene, dopo anni di estenuanti ricerche e inutili sacrifici, ha finalmente trovato in Mana l'essere immortale che le riporterà al loro antico splendore. Yuta riuscirà a sottrarre la ragazza alla sua triste sorte e da quel momento non sarà più solo. Ma questo in fondo è solo l'inizio di una saga che ci prende per mano e ci trascina in un vortice di oscura aberrazione, laddove l'animo umano si manifesta in tutta la sua disarmante fragilità. Perchè la carne di sirena, prima ancora che per il corpo, è un letale veleno per l'anima di colui che subisce il fascino perverso dell'immortalità. E se da un lato le anime dannate vagano in eterno sulla terra ignare della loro condizione di creature dalle mostruose sembianze, dall'altro le anime corrotte convivono con tutta la sofferenza interiore che il desiderio di sovvertire le leggi della natura ha donato loro. E a noi non resta altro che domandarci cosa sia realmente peggio.<br/><br/><a target="_blank" href="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/deep/sirene01xm5.jpg"><img alt="Il bosco delle Sirene" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/deep/antsirene01af7.jpg" /></a> <a href="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/deep/sirene03yy4.jpg" target="_blank"><img src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/deep/antsirene03ql5.jpg" alt="Il segno della Sirena" /></a> <a target="_blank" href="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/deep/sirene04nb3.jpg"><img alt="La maschera della Sirena" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/deep/antsirene04ou1.jpg" /></a><br/><br/>La saga delle sirene è senza ombra di dubbio la più bella opera di Rumiko Takahasi. Personalmente ho sempre avuto delle riserve nei confronti di questa autrice tanto osannata da qualsiasi appassionato di fumetti del Sol Levante. Di lei ho sempre amato quel suo stile dissacrante ma al tempo stesso profondamente legato alle tradizioni occulte del Giappone. E' indubbiamente una donna di grande cultura e dalla spiccata ironia, oltre che un'ottima narratrice. Eppure nessuna delle sue opere più celebri mi ha mai convinto fino in fondo. Si è sempre persa nei meccanismi della serialità e nella reiterata ostinazione a voler perpetrare in eterno la staticità delle situazioni che lei stessa creava e che sembrava avesse paura di compromettere in qualche modo. E' come se non fosse in grado di osare spingendosi al di là dei confini di quei piccoli quadretti narrativi che pure sa dipingere così bene. E' un'autrice fondamentalmente prevedibile, nel bene e nel male. Ma la saga delle sirene è tutt'altra cosa. E' un'opera completa e appassionante in cui la Takahashi sembra riversare tutta se stessa raggiungendo vette emotive di rara e poetica intensità. Ogni singolo capitolo è una piccolo capolavoro curato fin nei minimi dettagli che rende finalmente giustizia all'arte di questa grande autrice, senza i limiti relativi alle improrogabili scadenze seriali imposte dalla casa editrice. La struttura stessa dell'opera, organizzata secondo l'alternarsi di epoche storiche differenti secondo uno costruzione temporale che ricorda vagamente quella adottata da Tarantino nella maggior parte delle sue pellicole, offre grande respiro allo sviluppo del racconto. Ma la saga delle sirene è purtroppo una storia ancora incompleta, costituita da soli tre volumi per un totale di nove episodi. Onestamente non so se questo splendido racconto troverà mai una conclusione, ma sono certo che la lettura di queste pagine vi darà modo non solo di conoscere il lato più intimo e poetico della Takahashi, che purtroppo traspare appena nell'ambito delle sue opere più conosciute, ma anche di sondare gli oscuri e deliranti sentieri dei sentimenti umani più profondi, siano essi innocenti o intrisi di sottile e perversa crudeltà.<br/><br/><a target="_blank" href="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/deep/sirene05yg2.jpg"><img alt="Le Sirene non sorridono mai" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/deep/antsirene05ou7.jpg" /></a> <a href="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/deep/sirene06an5.jpg" target="_blank"><img src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/deep/antsirene06nv3.jpg" alt="Fine di un incubo" /></a> <a target="_blank" href="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/deep/sirene07ze2.jpg"><img alt="Il bosco delle Sirene" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/deep/antsirene07lo7.jpg" /></a><br /><br/><br/><br />Scritto da <a title="Visita il sito di Deeproad" href="http://www.deeproad.net/" target="_blank">Deeproad</a><br/><br/>ImagoAltrovehttp://www.blogger.com/profile/14725579928464469991noreply@blogger.com7tag:blogger.com,1999:blog-4270418888591832432.post-79873165946738389752007-06-07T23:03:00.000+02:002011-11-30T20:22:33.003+01:00MAUS<div><span style="font-size: 10pt;"><strong>Il dramma dell’umanità ridicolizzata: <em>Maus</em> di Art Spiegelman</strong></span></div><br/><br/><br/><span style="font-size: 8pt;"><br/><p style="margin: 0cm 0cm 0pt;" class="MsoNormal"><span style="font-size: 8pt; font-family: Verdana;"><strong>Chi è Art Spiegelman?</strong><br/>Il professor Arthur Spiegelman (insegna storia ed estetica del fumetto alla School of visual arts di New York) è nato nel 1948 a Stoccolma da una coppia di ebrei polacchi rifugiati scampati ad Auschwitz e che di lì a poco si trasferiranno negli Stati Uniti dove il piccolo Artie crescerà e vivrà. Il padre Vladek, uomo dallo spiccato senso imprenditoriale e che le vicissitudini della guerra hanno reso pragmatico fino ai limiti del cinismo, lo vorrebbe dentista, ma Arthur studia fumetto e illustrazione, e a 16 anni comincia a disegnare professionalmente. Al college studia arte e filosofia, e comincia a lavorare per la Topps (grossa industria americana della gomma da masticare) realizzando loghi e disegni durante tutta una collaborazione che durerà oltre vent’anni e che naturalmente influenzerà pesantemente l’approccio di Spiegelman all’illustrazione. Spiegelman infatti è forse il più “metropolitano” dei grandi autori di fumetti; entra in contatto col mondo del fumetto underground, lo studia e ne assorbe le caratteristiche, fondendole in uno stile composto da una molteplicità di stilemi che gli permette di approcciarsi ad ogni singola storia, ad ogni singolo tema, con le modalità grafiche che ritiene più consone. Le sue vignette compaiono sulle riviste più disparate, dal <em style="">New York Times </em>a<em style=""> Playboy</em>, fino a fondare lui stesso una rivista specializzata, <em style="">Raw</em>, dedicata appunto al fumetto, alla grafica e all’illustrazione, vero punto di riferimento di tutto il mondo dei cartoonist americani (una sorta di corrispettivo, in grande, dell’italiano <em style="">Scuola di fumetto</em>), e veicolo di quella che sarà l’opera più importante di tutta la produzione di Spiegelman e che gli consegnerà finalmente la giusta considerazione a livello mondiale e socio-culturale, fruttandogli lo Special award del Premio Pulitzer nel 1992.</span></p><br/><p align="center"><img src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/sandrix/portrait2spiegelmanwd8.jpg" alt="" /><br/><em>Autoritratto di Art Spiegelman</em></p><br/><br/><p style="margin: 0cm 0cm 0pt;" class="MsoNormal"><span style="font-size: 8pt; font-family: Verdana;"><strong><br/>Che cos’è <em style="">Maus</em>?</strong><br/>È sulle pagine di <em style="">Raw</em>, infatti, sin dal primo numero, che Spiegelman comincia a pubblicare a puntate <em style="">Maus</em>, una delle più importanti opere di narrativa del secolo scorso.<br/><em style="">Maus</em> è una graphic novel sull’olocausto, e in realtà, pur essendo semplicemente questo (in fondo è come dire che l’<em style="">Iliade</em> è un poema sulla guerra di Troia), è molto di più. La narrazione di Maus si snoda su due livelli diversi, c’è il presente con Arthur Spiegelman che va a casa del padre Vladek per intervistarlo, e c’è il passato della guerra e dell’olocausto visto attraverso il racconto di Vladek. Ma non si tratta solo di un doppio racconto, il montaggio non è alternato ma parallelo, i due livelli spazio-temporali insomma sono distinti ma non separati, intercorre anzi tra i due, e sta qui il nodo della riuscita dell’opera, un rapporto di interazione strettissimo, una relazione di influenza reciproca: il rapporto tra Art e il padre (e Mala, la donna con cui il padre si è risposato dopo la morte della madre di Arthur) fornisce una chiave di lettura con cui cogliere al meglio il dramma del racconto di Vladek, e ancora di più è vero il viceversa, il racconto di quello che è successo al povero Vladek durante la Seconda Guerra Mondiale non è che lo specchio, la metafora, del dramma umano di un padre e un figlio che pur volendosi bene non riescono a non essere distanti, su due mondi diversi (situazione sottolineata anche dal linguaggio dei due, inglese sciolto quello di Art, affannato quello del padre, non madrelingua e segnato dalla parlata della comunità ebraica newyorchese e da strutture sintattiche tipiche dello yiddish), non riescono a trovare la sintonia per un rapporto sereno e intimamente familiare.</span></p><br/><p align="center"><img src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/sandrix/8806154958bk4.jpg" alt="" /><br/><em>Maus - Racconto di un sopravvissuto</em></p><br/><br/><p style="margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;" class="MsoNormal"><span style="font-size: 8pt; font-family: Verdana;"><strong>La storia – Il dramma degli avvenimenti</strong><br/>In un breve prologo di due pagine, il piccolo Artie (nel 1958, quindi a 10 anni) si fa male giocando con gli amici, e il padre vedendolo lo avverte: “Se chiudi loro insieme in stanza senza cibo per una settimana… allora tu vedi cosa è amici!...”.<br/>Subito dopo comincia la vera (doppia) vicenda. Art, adulto, va a trovare il padre che ora abita con Mala, un’altra sopravvissuta (“come quasi tutti gli amici dei miei”). Dopo cena, i due si recano nello studio di Vladek, e qui Arthur convince il padre a cominciare a raccontargli della sua terribile esperienza, per il libro che già da tempo vuole scrivere e di cui già aveva parlato al genitore.<br/>Il racconto di Vladek non comincia direttamente con la guerra o da qualche punto saliente, ma da quando era giovane e viveva tranquillamente a Czestochowa, commerciando in tessuti e divertendosi come tutti i giovani. Si districa a fatica da una relazione, che lo diverte ma non lo convince, per sposare Anna (detta Anja) Zylberberg, una ragazza non attraente ma intelligente e sensibile, oltre che – Vladek si premura di sottolinearlo – di famiglia più che benestante. A questo punto Vladek interrompe la narrazione per chiedere al figlio di non mettere nel libro questa parte, perché “non c’entra niente con Hitler, con Olocausto”; Art insiste, dice che vuole mettere tutto, per rendere la vicenda più umana, ma alla fine, nell’ultima vignetta con i due personaggi in controluce, il vecchio Vladek strappa al figlio la promessa di tralasciare queste parti private. Siamo alla fine del primo capitolo. Ogni capitolo presenta una visita di Art al padre, e il brano di storia che da questo si fa raccontare.<br/>Nel secondo capitolo cominciano i guai: nasce Richieu, il primo figlio di Vladek e Anja, ma il parto incide sul già debole sistema nervoso della donna, che finisce in una clinica per ritrovare la serenità. Lungo il viaggio i due protagonisti si trovano per la prima volta davanti a una svastica, e durante la loro assenza avvengono i primi movimenti antisemiti a Sosnowiec, la città in cui vivono con la famiglia di Anja. Il 24 agosto 1939, Vladek viene richiamato nell’esercito polacco. Nel terzo capitolo Vladek racconta della sua esperienza sul fronte all’inizio della guerra, della sua cattura da parte dei militari nazisti come prigioniero di guerra e della sua (prima) detenzione, fino al rilascio; le leggi internazionali proteggono lui e i suoi compagni come prigionieri di guerra, ma una volta rilasciati chiunque è libero di sparare loro per strada, così Vladek – che già ha iniziato a mostrare la sua straordinaria capacità di adattamento e gestione – deve ingegnarsi e fingersi polacco per farsi aiutare da un ferroviere a tornare a casa da Anja. Il titolo del quarto capitolo parla chiaro: <em style="">Il cappio si stringe</em> parla della sopravvivenza a Sosnowiec di Vladek e Anja con la famiglia di lei, e delle misure sempre più repressive nei confronti degli ebrei da parte degli occupanti nazisti, con coprifuoco, controlli serrati, impiccagioni per strada, sequestri di anziani e elementi non produttivi, fino alla prima grande convocazione nello stadio della città, in cui circa un terzo dei membri della comunità ebraica cittadina sono stati trattenuti dalle SS per non fare più ritorno; tra questi, anche il padre di Vladek con la figlia e i nipoti.<br/>Il quinto capitolo si apre con una svolta nel rapporto tra Art e Vladek. Da Mala, Art viene a sapere che il padre ha trovato e letto <em style="">Prigioniero sul pianeta inferno</em>, il breve fumetto che Art scrisse per superare il trauma del suicidio della madre (riportato per intero nelle pagine di <em style="">Maus</em>). Si tratta di una storia incredibilmente intensa, disegnata con tratti espressionistici e molto personale, sconvolgente per Mala e anche – a quanto dice la stessa Mala – per Vladek, che cambia il suo approccio verso il figlio ma paradossalmente verso un rapporto di maggior fiducia; vedere che in qualche modo Artie ha superato a suo modo quella tragedia avvicina i due, nel ricordo di Anja (mentre si incrina sempre di più il rapporto tra Vladek e Mala).<br/>E il racconto di Vladek procede poi, di capitolo in capitolo, (attra)verso tutte le vicissitudini passate da lui e Anja, nel ghetto, nei bunker costruiti per nascondersi, nelle cantine di chi ha dato loro una mano, nel campo di concentramento di (M)Auschwitz, attraverso la morte di tutti i loro cari, i genitori di Anja, il figlio Richieu, parenti, amici, conoscenti, attraverso le torture fisiche e ancora di più psichiche.<br/>Attraverso la più grande tragedia, fino all’epilogo, tragico a sua volta, ma riconciliatorio.</span></p><br/><p align="center"><img src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/sandrix/mausqh5.jpg" alt="" /><br/><em>L'inizio della storia: Art va a trovare il padre Vladek.</em></p><br/><br/><p style="margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;" class="MsoNormal"><span style="font-size: 8pt; font-family: Verdana;"><strong>Padre o memoria storica? – Il dramma dei sentimenti</strong><br/>L’unicità di <em style="">Maus</em> in relazione al mondo del fumetto sta sicuramente nell’essere innanzitutto un’opera tragicamente autobiografica e personale (come la mini storia <em style="">Prigioniero nel pianeta inferno</em>). Anzi, direi doppiamente autobiografica, poiché da una parte c’è Spiegelman che parla di sé stesso mettendosi in scena come uno dei protagonisti principali, e dall’altra c’è Vladek che parla di sé stesso al figlio.<br/>E alla fine è difficile dire tra le due vicende quale colpisca di più per la sua durezza, se la storia di Vladek attraverso la guerra e lo sterminio, o la storia di un padre e un figlio dal rapporto difficile. “Non lo vedevo da molto tempo. Non eravamo molto uniti” recita la didascalia nella prima vignetta del primo capitolo, e questa distanza personale si ritrova in tutta l’opera, Art si imbarazza e si sente in difficoltà ogni volta che il padre si intromette nei suoi affari (come quando gli butta via il cappotto vecchio) o vuole intromettere il figlio nei suoi (come quando parla del testamento e dell’eredità, o di Mala).<br/>Quello che tuttavia colpisce, in effetti, è la spudoratezza con la quale Artie intervista letteralmente il padre sugli eventi che hanno segnato la sua vita, prende appunti, registra, e la freddezza con cui il padre restituisca un resoconto dettagliato e narrativamente organizzato degli eventi (al contrario di quanto accada in Prigioniero nel pianeta inferno, che più che il resoconto di un periodo di lutto è l’espressione di un sentimento). Sembra che Arthur sia interessato a Vladek più come memoria storica che come padre, ma la realtà è che Art sa bene che il carattere del padre non gli consentirebbe un racconto “sensazionale”, distorto dalle emozioni. Quello che più interessa ad Art è rispettare la memoria dell’olocausto, e lo fa rispettando la personalità del padre.<br/>Il fatto è che Art Spiegelman aveva sviluppato sin da piccolo un fortissimo coinvolgimento emotivo nei confronti della tragedia della shoah grazie (o per colpa di) ai racconti dei genitori e al carattere burbero e anche un po’ ingombrante del padre. Sentiva quindi il bisogno di comunicare al mondo questa situazione interiore, e l’unico modo per renderla in maniera fedele ed eticamente accettabile era narrarla come a lui stesso era stata narrata, attraverso la stessa fonte, la stessa memoria storica.<br/>In fondo si capisce ad ogni pagina che i due si vogliono tutto il bene del mondo, ma si tratta di due personalità difficili, segnate, solcate dagli eventi, restie ad avvicinarsi per prime ad un'altra persona, e per questo nessuno dei due fa il primo passo verso l’altro. Fino a che per Art non sarà inevitabile muoversi, o restare di nuovo prigioniero all’inferno.</span></p><br/><p align="center"><img src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/sandrix/maus12biguv3.jpg" alt="" /><br/><em>Topi in trappola: Vladek e Anja entrano ad Auschwitz.</em></p><br/><br/><p style="margin: 0cm 0cm 0pt; text-align: justify;" class="MsoNormal"><span style="font-size: 8pt; font-family: Verdana;"><strong>Uomini e topi – Il dramma dei corpi</strong><br/>Metafora, dicevo. A chi ha una pur impalpabile idea di quello di cui sto parlando non serve neanche che lo dica: <em style="">Maus</em> deve con ogni probabilità la sua fortuna all’azzardata forma allegorica (decisamente più orwelliana che disneyana) attraverso cui Spiegelman ha scelto di deformare il dramma delle vicende e dei rapporti umani. Ispirandosi in particolare a un racconto di Kafka (<em style="">Giuseppina la cantante, ovvero il popolo dei topi</em>), al <em style="">Krazy Kat</em> di George Harriman, e al film di propaganda nazista <em style="">Der ewige Jude</em> di Fritz Hippler, Spiegelman sceglie di rappresentare satiricamente gli ebrei come topi (maus, appunto). Quelli di <em style="">Maus</em> sono topi non caricaturizzati o resi simpatici e accattivanti come <em style="">Topolino</em> o <em style="">Speedy Gonzales</em>, ma “semplicemente topi”, topi stilizzati col corpo umano e la coda, o meglio ancora esseri umani in tutto e per tutto ma con la testa e la coda da topi. Non un topino divertente come protagonista, anzi il protagonista nelle varie vignette si distingue dagli altri solo grazie al dialogo, o a volte dai vestiti, ma una miriade di topi tutti uguali, come quelli scacciati dal <em style="">Pifferaio di Hamelin</em> dei fratelli Grimm, come tutti uguali erano gli ebrei agli occhi dei nazisti. Il topo in genere piace in quanto Davide che si ingegna per avere la meglio su Golia, ma il caso dell’olocausto è la più grossa dimostrazione di quanto sappia essere idiota l’essere umano, una razza che pretende di essere più evoluta degli animali ma in cui ancora troppo spesso vige la legge del più forte. I nazisti infatti sono gatti, gatti non grottescamente sfortunati come Tom o Silvestro, ma gatti cattivi, famelici e spietati, bracconieri, assassini. E così via, proseguendo con le metafore, i polacchi sono maiali, i francesi sono rane, gli americani sono cani.<br/>Del resto è lo stesso Hitler, in vari passi del <em style="">Mein kampf</em>, ad appellare gli ebrei col dispregiativo di “ratti”; l’intento di Spiegelman infatti è di mostrare l’idiozia del razzismo nazista, che ha portato ogni uomo a sentirsi in dovere di comportarsi secondo il ruolo attribuito al suo gruppo etnico o nazionale, a fronte dell’uguaglianza tra tutti gli esseri umani. Così i gatti nazisti si sentono in diritto e in dovere di dare la caccia ai topi ebrei, i polacchi approfittano della situazione per dare sfogo al loro antisemitismo e alla loro bestialità, e via discorrendo.<br/>Se gli esseri umani sono rappresentati come animali, gli animali non sono assenti, ma si fanno anch’essi veicolo di significati, comunicano quasi sempre un’idea, una sensazione, una situazione. Così, nella terzultima tavola del sesto capitolo del primo libro, all’ingresso del campo di concentramento di Auschwitz, un pastore tedesco col muso da t-rex e inferocito come uno squalo accoglie i deportati assieme ai nazisti-gatti, pregustando il massacro finale. Davanti a quella scritta “Arbeit macht frei” si perdono le speranze, sembra che nulla possa cambiare il proprio tragico destino; anche l’essere più forte del gatto si schiera a fianco di questo, anzi ne è succube, è al suo guinzaglio.<br/>Nella diciottesima tavola dello stesso capitolo appare un ratto. Un ratto vero, uno di quelli che fanno ribrezzo e di cui si ha paura quando si scende in cantina al buio. Vladek e sua moglie Anja si stanno nascondendo proprio nella cantina di una signora polacca che offre loro aiuto, e Anja, sentendo dei rumori al buio, teme che si tratti di ratti! Il ratto c’è davvero, ma è nascosto dietro una botte, Spiegelman lo fa vedere solo a noi, Anja non lo vede, ma ne ha paura.<br/><br/>Un pastore tedesco al guinzaglio di un gatto, e un topo che ha paura di un ratto.<br/>Un padre e un figlio che non riescono a conoscersi se non attraverso un registratore.<br/>L’umanità messa in ridicolo, il dramma più atroce.</span></p><br/></span>ImagoAltrovehttp://www.blogger.com/profile/14725579928464469991noreply@blogger.com16tag:blogger.com,1999:blog-4270418888591832432.post-8377225679453439652007-05-29T16:20:00.000+02:002011-11-30T20:18:09.844+01:00Appunti di viaggio... (2)<font size="2"><strong>27 aprile 2007. Secondo giorno.</strong></font><br/><br/>Un soave profumo di dolci, insinuandosi tramite il mio naso nella mia mente addormentata, mi fa lentamente riemergere dal mondo dei sogni.. Sembra odore di torta di mele, o qualcosa di simile, ma con un nonsoché di diverso dal solito... e piano piano apro gli occhi e vedo che nella mia stanza è già chiaro... e realizzo che sono steso su un divano... un divano... è vero! Sono a casa di Paperoga, a Paperopoli! E sono tutto sudato perché stanotte qualcuno mi ha coperto con una specie di bandierone a strisce rosse e blu, con una scritta che da qui non riesco a leggere bene... e fuori c'è il sole e penso che tra poco mi alzerò. Paperoga armeggia in cucina, lo sento fare fracasso con piatti e bicchieri e canticchiare. Alla fine mi tiro pigramente su dal letto e mi dirigo in cucina. Stendo il bandierone sulla spalliera del divano; c'è scritto "Drakesbro", che se non sbaglio ha qualcosa a che vedere col nome antico della città. Ora ricordo: quella scritta l'ho vista anche su un muro vicino all'autostazione! Già, Paperoga è tifoso del Paperopoli... ma non sapevo che in inglese la squadra avesse il nome antico della città!<br/>Devo aver dormito per un'eternità, non mi ricordo nemmeno che cosa ho sognato. L'ultima cosa che ricordo è quella canzone di Switt&hatis, Sun & Pears. Fuori il sole picchia, saranno almeno le undici. Tardissimo, Paperopoli e Paperon de' Paperoni mi attendono! Paperoga armeggia con pentole e teglie, ha in testa un cappello da cuoco e dappertutto ci sono schizzi di salsa di pomodoro. Che voglia darmi salsa di pomodoro per colazione? Conoscendolo...<br/>"Oh... ciao Zniga! Dormivi così bene... speravo che il profumo del mio capolavoro culinario ti svegliasse..." "Buon (yawn) giorno, Paperoga... Che cos'è, a proposito?" rispondo guardando dubbioso il forno, nel quale uno strano oggetto dalla forma irregolare sta gonfiandosi lentamente. "Una mia invenzione!" fa lui, gongolante. "Ho seguito la ricetta della torta di mele di Nonna Papera, ma visto che tu sei italiano ho deciso di aggiungerci un po' di pomodoro e mozzarella... mica male come idea, no?" "Glom... una meraviglia! Non vedo... ehm... l'ora di assaggiarla!"<br/><br/><div align="center"> * * *<br/></div><br/><br/>Dopo un quarto d'ora trascorso a pulire gli schizzi di pomodoro e la mozzarella che ha impiastricciato tutto, conseguenza dell'imprevista (ma prevedibile) esplosione del bizzarro sufflé di Paperoga, usciamo finalmente di casa. Sono qui per incontrare Paperone, ma prima il mio accompagnatore vuole portarmi un po' a spasso per la città. Per colazione sono riuscito a prendere solo un tè e il mio stomaco adesso fa "rumble". Andremo a piedi, così ci godremo meglio il paesaggio. C'è il sole e fa caldo; ora, guardando verso nord-est, vedo chiaramente il pinnacolo roccioso che ho intravisto ieri sera, e adesso ricordo perfettamente la storia in cui compare.<br/><br/><div align="center"><img style="margin: 0px auto 10px; display: block; text-align: center;" alt="casa Gander" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/zniga/113ae7f41877a31c5986ec04eeb1d491.jpg" /></div><br/><br/>Camminiamo lungo una via in leggera discesa, che segue il declivio della collina verso la sponda del Tulebug. Sulla nostra destra, una lunga siepe tagliata a sezione quadrata corre separando la strada dal marciapiede. Sullo sfondo, verso nord, i grattacieli, e, finalmente, al disopra di tutto, la collina più famosa del mondo. Non vedo l'ora di essere lassù!<br/>Non passa un'auto che sia una, c'è una leggera brezza e si sta benissimo. Sulla nostra sinistra, le villette del quartiere residenziale si susseguono in una schiera variopinta. Mentre Paperoga tenta di attirare la mia attenzione declamandomi i risultati di un corso per corrispondenza dal nome improbabile che ha appena finito di seguire, lancio occhiate ai giardini delle case. Ce n'è uno di una certa Mrs Jane, dove una gallina becchetta qualcosa tra l'erba; da quello di un certo Murphy proviene invece un delizioso profumo di pane appena sfornato. Poco oltre, la mia attenzione è attratta da una graziosa villetta rosa, con uno zoccolo di mattoni alto circa un metro tutt'intorno alla base e una bella siepe al posto delle recinzione. Il giardino è ingombro di scatole e scatoloni di ogni forma e dimensione, e la cassetta della posta è talmente stipata di lettere e pacchetti che si è aperta e non è possibile leggere il nome del padrone di casa. Forse è qualcuno che ha appena traslocato e si sta arredando la nuova casa... vorrei chiederlo a Paperoga, ma forse è meglio lasciarlo immerso nel suo monologo e approfittarne per guardarmi intorno.<br/><br/><div align="center"> * * *<br/></div><br/><br/>Dopo aver attraversato a piedi il Tulebug limaccioso, su di un ponte in mattoni con eleganti lampioni blu e filari di alberelli piantati lungo i marciapiedi, giungiamo in quello che sembra il quartiere commerciale. Non ci sono più villette, ma edifici alti e pieni di scritte. In uno slargo, di fronte a un distributore della Benz, vedo la prima pizzeria di Paperopoli. Vorrei fermarmi ma Paperoga mi invita ad andare oltre... più avanti, dice, c'è un centro commerciale carino dove c'è anche un ristorante.<br/>E da un po' ho la sensazione di essere osservato... credevo che queste cose accadessero soltanto nei fumetti. Beh, ma qui siamo in una città dei fumetti... forse è solo la mia suggestione. Intorno a noi c'è un sacco di gente, ora: papere anziane con ceste della spesa e sacchetti rigonfi; uomini dal naso nero e tondo che portano a spasso il cane. Qui, tutto ha forme tondeggianti, abbastanza diverse da quelle più semplici e lineari del quartiere residenziale al di là del fiume.<br/>In una traversa, una schiera di gatti miagolanti appostati ovunque, sui bidoni della spazzatura, sulle staccionate dei giardini e sui cofani delle auto, mi squadrano con aria incuriosita. "Come si chiama quella strada?" chiedo al mio accompagnatore. "Gatto Road" mi risponde. "Gatto perché ci sono i gatti?" Chiedo. "E poi perché Gatto in italiano?" "Beh... qui un sacco di strade hanno nomi italiani." mi risponde. "Questo è il quartiere latino. Vedi quella piazza laggiù in fondo? Quella è Arrigada Rios Square, da lì comincia il quartiere spagnolo. E il viale alberato che conduce verso il centro è Manrique Road. Da lì si va dritti verso la Collina Ammazzamotori. A proposito: stai attento ai criminali, qui nella zona dei negozi è pieno, tieniti stretto lo zaino..."<br/>E mentre passeggiamo, dò un'occhiata alle traverse che incrociano la via che stiamo percorrendo. È strano, ognuna di esse sembra progettata e costruita con uno stile completamente diverso dalle altre, ma nell'insieme non stonano, anzi danno un'idea di varietà che non mi dispiace affatto. Oltrepassando una stradina, mi colpisce l'insegna di un ristorante genovese. Dei genovesi qui? In quella strada tutto ha bellissimi colori soffici e sfumati. Nella traversa successiva sia le case che le persone hanno forme barocche e ridondanti, i passanti hanno grandi occhi tondeggianti, le donne portano cappelli sfarzosi da cui spuntano lunghe capigliature a boccoli e le case sono piene di riccioli e volute. All'angolo, un altro ristorante genovese (ma quanti sono?) diffonde nell'aria un odore di pesto così buono che quasi mi sembra di essere a casa. La targa stradale ci indica che il nome di quella via è Scala Street. Credo di cominciare a capire.<br/>Così, con il pretesto di leggere da vicino un cartellone pubblicitario, invito Paperoga a muovere qualche passo in Scala Street, deviando dal momentaneamente dal nostro cammino. E, come immaginavo, l'aspetto del mio accompagnatore cambia leggermente: è sempre lui, perfettamente riconoscibile, però il suo becco è un poco più allungato, i suoi occhi sembrano più grandi e le sue zampe sono più tozze. Proprio come pensavo...<br/>"Scommetto che quella via tutta dipinta si chiama Chierchini Road, giusto, Paperoga? E quella che percorrevamo prima magari è Carpi Avenue..."<br/>"Non ti sbagli, caro Zniga!" risponde, mentre torniamo sui nostri passi, sulla via principale. "In effetti, il viale che stiamo percorrendo ora si chiama Carpi Lane, ed è una delle strade più grandi del quartiere italiano. In particolare, siamo nel quartiere genovese, come forse ti sarai accorto. Paperopoli è una città multietnica! Quella tutta dipinta però non è Chierchini Road ma Barberini Street, che io confondo sempre con Chisté Alley. E tutt'e due, in effetti, conducono a Chierchini Road. Alla collina Ammazzamotori ci possiamo arrivare attraversando il quartiere spagnolo, oppure percorrendo Cimino Avenue! Tu cosa preferisci?"<br/>Oddio... vorrei vederla tutta questa città... ma chi se l'immaginava una cosa del genere? "Senti... facciamo che ci sediamo su una panchina, guardo un attimo la mia carta e decido! Anche se sulla mia carta mancano un sacco di nomi..."<br/><br/><div align="center"> * * *<br/></div><br/><br/>Detto fatto. Arrivati in Arrigada Rios Square, ci sediamo su una panchina. È una piazza grande e spaziosa, dalle prospettive un po' piatte. Ad un angolo, tre o quattro uomini dalle facce quadrate e dai grossi denti discutono animatamente. Poso lo zaino accanto a me quando all'improvviso le note di una scoppiettante e inconfondibile canzone mi scuotono: è la canzone di Aracuán, il clown della giungla de "I tre caballeros". Mi guardo già intorno sperando di vederlo sbucare, magari da Manrique Road (era proprio Manrique che lo aveva disegnato, giusto?), quando con un po' di delusione mi accorgo che si tratta della suoneria del cellulare di Paperoga. Chissà chi lo sta chiamando! Cerco di capire con chi sta parlando, sperando si tratti magari di Paperino o Paperone... cerco di sentire e non mi accorgo della mano coperta da un guanto giallo che si avvicina allo zaino che ho posato sul bordo della panchina... e ho appena il tempo di voltarmi e vedere il mio zaino allontanarsi sulle spalle di un tizio con il berretto verde, maglia rossa, jeans e scarpe gialle, che si allontana di corsa!<br/>"Ehi! Al ladro! Un bassotto! Paperoga, fa' qualcosa! C'è tutta la mia roba per disegnare lì dentro! Al ladroooo!"<br/>"Te l'avevo detto di stare attento! Qui è pieno di ladruncoli! Comunque non credo fosse un bassotto... Perché un bassotto dovrebbe derubare proprio te? No, ti sbagli, amico... i Bassotti puntano solo in alto, verso quella collina laggiù!"<br/>"Beh, forse sapeva che dovevo incontrarmi con Paperone! E ha pensato magari che fossi un famoso affarista straniero! Ma ora dobbiamo ritrovarlo assolutamente! Come posso presentarmi da tuo zio senza la mia attrezzatura professionale? Da che parte è il covo dei Bassotti?"<br/>"Fidati, amico: lo ritroveremo in un attimo! Te lo dicevo giusto appena usciti da casa mia: ho appena seguito un corso che si chiama <em>Chi trova, prima ha cercato</em>! Per trovare infallibilmente ciò che si è perduto, ci sono diversi metodi, ma il migliore è sicuramente..."<br/><br/><div align="center"> * * *<br/></div><br/><br/>"...Affidarsi a me!" Mi giro di scatto. Capelli biondi e arricciati, cappello, giacca verde e modi eleganti: il papero che ho dinnanzi è inconfondibile. "Gladstone Gander, per servirti. Tu devi essere Zniga, giusto?"<br/>"Giusto. Ma tu come fai a saperlo?"<br/>"Beh, ho tirato a caso... ho detto la prima parola che mi passava per la testa!"<br/>"Caspita, non pensavo che la tua fortuna arrivasse a tanto!"<br/>"Scherzo... è stato zio Paperone a parlarmi di te! Senti Zniga... per caso hai fame?"<br/>"Certo! Ma, non per ripetermi, come fai a saperlo?"<br/>"Beh, ho appena vinto a una pesca di beneficenza due inviti per un pranzo gratuito nel più lussuoso dei ristoranti di mio zio... e visto che Paperina è a Quack Town da Nonna Papera mi sono chiesto: perché due? Ora l'ho capito..."<br/>A questo punto interviene Paperoga: "Beh, allora se voi andate al ristorante... io mi autoinviterò da Paperino! Oggi farà i suoi famosi <em>muffins</em> allo sciroppo d'acero... slurp! A dopo!" <br/>Capito lo scroccone? Ecco perché non voleva andare in pizzeria! Povero Paperino, non lo invidio...<br/><br/><div align="center"> * * *<br/></div><br/><br/>Dopo un pranzo luculliano a base delle più famose specialità paperopolesi, tratte pari pari dal ricettario di Nonna Papera, ed innaffiate da un ottimo vino che non compare nei fumetti perché - mi spiega Gastone - i paperi non possono bere alcolici in pubblico, cosa c'è di meglio di una bella passeggiate per la città? Siamo ormai nelle immediate vicinanze della Collina Ammazzamotori, e naturalmente metto a perdere il mio nuovo accompagnatore perché mi porti a vederla da vicino. Gli ho spiegato del furto dei Bassotti e mi ha risposto di non preoccuparmi e di non separarmi mai da lui: ci penserà la sua fortuna a farmi ritrovare lo zainetto! E Paperone può aspettare... ha avvertito Paperoga che stanotte dormirò da lui, e da suo zio ci andremo domani.<br/>Da un lato mi dispiace, perché sono impaziente di vedere Paperone, camminare sul tappeto di monete d'oro che ricopre il pavimento del suo ufficio, e vedere com'è il panorama dalla terrazza del Deposito: deve essere stupendo... però sono anche curioso di entrare in casa di Gastone, vedere come vive, e dare un'occhiata alla sua famosa cassaforte...<br/>E dopo aver percorso Cimino Avenue dall'inizio alla fine, passando anche davanti alla casa di Paperino (ma riuscirò a conoscerlo, prima o poi?), arriviamo finalmente accanto alla staccionata di legno al di là della quale il terreno, coperto di erba e cespugli, sale vertiginosamente di colpo fino a un centinaio di metri d'altezza, a dominare come una terrazza tutta la città. Lassù c'è il forziere più famoso e più amato del mondo. È più piccolo di come lo si può immaginare, direi al massimo una quarantina di metri d'altezza. O forse è solo il fatto che si trovi tanto in alto a darmi questa impressione. <br/><br/><div align="center"><img height="357" width="500" src="http://i216.photobucket.com/albums/cc28/imagoaltrove/post/zniga/0beb771ba92a024401b8a47a4a9eb4dd.jpg" alt="" /><br/></div><br/><br/>Accanto all'unico varco, protetto solo da una sbarra simile a quella dei parcheggi, piccola e ingannevole (chi immaginerebbe che al di là ci sono trappole micidiali?) un grosso cartello in legno, sbiadito dal sole ed eroso dalla pioggia, recita a lettere dipinte a mano: "Qui inizia la proprietà esclusiva di Paperon De' Paperoni. Divieto di accesso assoluto ai non autorizzati. Il proprietario non risponde di eventuali danni al trasgressore. Non siete i benvenuti." Il cuore inizia a battermi forte. È l'ingresso del Deposito di Paperone, quello vero! Quello che ho sognato di vedere per tanti anni... e ora è lassù, cento metri più in alto, e alla sola idea di dover attendere ancora un giorno per entrarci mi sento male... <br/>Verso la cima della collina, i cespugli si diradano e l'erba oscilla accarezzata dal vento. Poco oltre la staccionata un merlo, ignaro di trovarsi sul terreno di proprietà di un autentico mito dell'umanità, canta la sua canzone appollaiato sul ramo di un arbusto di lampone (forse piantato apposta per avere frutta gratis...), esattamente come farebbe se fosse nel giardino di chiunque altro. Le api ronzano sui fiori del trifoglio rosso. E al di là della sbarra, una strada sterrata e stretta, molto più ripida e sconnessa di come appare nei fumetti (eh, l'asfalto costa...), sale con una serie di tornanti fino alla sommità... e tra un tornante e l'altro delle scalette, scavate nel terreno, collegano le curve in una scorciatoia: se Paperone fa tutti i giorni quella strada per risparmiare benzina, lo credo che alla sua età ha la tempra che ha!<br/><br/><div align="center"> * * *<br/></div><br/><br/>Sto camminando verso casa con Gastone, ancora scosso dalla visione del Deposito. Attraversiamo il Tulebug su un altro ponte, molto più moderno, in cemento, a più corsie: qui gli argini del fiume sono alti e c'è gente che pesca. Si vede in lontananza il porto e una grande banchina, che, apprendo dal mio interlocutore, si chiama Cavazzano Quay.<br/>Gastone non è antipatico, anche se a volte è un po' pesante: sembra non saper discorrere d'altro che di premi e lotterie. Imparo presto che se mi parla di un posto in cui è stato in vacanza (sembra abbia girato il mondo) è meglio non chiedergli come abbia deciso di andare proprio lì: la risposta è scontata... E mi racconta di come a volte sia difficile interpretare il ruolo a cui l'hanno destinato nei fumetti.<br/>Sempre vincite, sempre lotterie, milioni di premi di cui in fondo non sa cosa fare... perché, mi racconta, ha pensato decine di volte di sfruttare economicamente la suia fortuna, magari rivendere i premi o usarli in qualche modo, ma il ruolo dell'affarista spetta sempre e comunque a Paperone... e se vuole regalarli, deve aspettare un momento in cui nessuno lo sta disegnando, perché nei fumetti deve sempre e comunque mostrarsi antipatico... "vedi quello?" mi fa a un certo punto, indicando un portafogli smarrito sul marciapiede, che io non avevo visto per niente "Magari dentro ci sono duemila dollari, ma che lo prendo a fare? Alla fine so che non sarò mai ricco come mio zio..." Povero Gastone! In fondo non è diverso da tutti noi... ed è molto più simpatico di come lo immaginavo.<br/><br/><div align="center"> * * *<br/></div><br/><br/>Dopo una lunga passeggiata arriviamo finalmente alla casa di Gastone, in Barks Drive, e scopro che si tratta della casetta rosa con il giardino pieno di scatole e scatoloni! Come ho fatto a non pensarci prima? Quelli sono tutti i premi che ha vinto, questa non poteva che essere casa sua!<br/>L'interno è accogliente e ordinato, niente a che vedere con la casa bizzarra di paperoga. C'è un bellissimo divano verde, quadri astratti appesi alle pareti con figure che sembrano occhi, eleganti porte a vetri e, ovunque, vasi con dei cactus. Non sapevo che fosse appassionato di piante grasse.<br/>"Una cosa però non capisco: abbiamo pranzato tardi, è vero, ed abbiamo fatto una lunga passeggiata, ma non dovrebbe essere ancora tardissimo... com'è che il sole sta ormai tramontando?"<br/>"Beh... guarda lassù!" risponde Gastone, indicando il cielo fuori dalla finestra "Cosa dice la scritta?" (quale scritta? Questo qui è tutto matto... penso guardando in alto...) In effetti in alto a sinistra, in cielo, una scritta dentro un riquadro, che sembra tracciata con l'inchiostro, recita "Molto tempo dopo..." Ma caspita! Allora non le vediamo solo noi lettori quelle scritte! Questa città mi sorprende sempre di più!<br/><br/><div align="center"> * * *<br/></div><br/><br/>Dopo una cena a base di Pasta Birilla - Gastone mi racconta di averne vinto un quintale anni fa e di non essere più riuscito a smaltirlo per colpa di tutti quei pranzi e cene gratis nei ristoranti - Gastone mi mostra il megaschermo al plasma che gli hanno appena recapitato.<br/>"Volevo vedere <em>Linea diretta con la fortuna</em> su McDuck Channel" mi fa. "Una trasmissione molto popolare qui. Fanno domande ai concorrenti e nel corso della serata telefonano anche a casa di un abbonato e se sa rispondere a una loro domanda vince qualcosa. Sai, questa settimana c'è in palio un superfrigo De Luxe, e siccome il mio frigo s'è giusto guastato..."<br/>"Capito, capito..."<br/>"Beh, se non ti interessa, puoi guardare la replica dell'ultima partita del paperopoli sulla TV in cucina, quella vinta quando ero in vacanza alle Bendive come unico abitante del quartiere a non aver partecipato alla lotteria... oppure sulla TV nel bagno, che mi hanno regalato quando ho ritrovato la collana della contessa McTurkey... o ancora dalla mini-TV nello sgabuzzino che mi hanno recapitato per sbaglio e che..."<br/>"Va bene, Gastone, va bene..."<br/>Il divano di Gastone è più comodo di quello di Paperoga e io sono stanco... e <em>Linea diretta con la fortuna</em> non è quel che si dice un programma interessante... così piano piano gli occhi mi si chiudono... e la voce del presentatore si trasforma piano piano nella mia mente in una voce più anziana... che ho già sentito nei cartoni animati... un vecchio papero con le basette alza la sbarra del Deposito e mi invita a entrare, ha srotolato perfino una passiera che arriva fino all'ingresso... non non è una passiera, è la lista dei debiti di Paperino... io ci cammino sopra... peccato che sia solo un sogno, ma lo scoprirò solo domani... buonanotte...<br/><br/><br/><br/><font size="2"><strong>Note</strong></font><br/><br/><font face="Comic Sans MS">I colori rosso e blu della squadra di calcio del Paperopoli si ritrovano in diverse storie, tra cui <em>Paperino e la partita gratuita</em> di Abramo Barosso / Giuseppe Perego, I TL 463, ottobre 1964. È invece mia invenzione l'identificazione del nome inglese della squadra con l'antica denominazione della città, Drakeborough o Drakesbro (vedi anche il secondo disegno della I puntata).<br/><br/>I particolari relativi all'aspetto esterno della casa di Gastone e al suo quartiere, nonché i nomi dei vicini di casa, sono tratti da <em>Gastone e la prova del lavoro</em> di Carl Barks, pubblicata in Italia su TL 735, agosto 1951.<br/><br/>Il ponte sul Tulebug di mattoni con gli alberi e i lampioni blu compare in <em>Sgrizzo, il papero più balzano del mondo</em> di Romano Scarpa, I TL 465, ottobre 1964.<br/><br/>L'aspetto del quartiere dei negozi, con il distributore della Benz, la pizzeria e il centro commerciale, è tratto da <em>Una fidanzata per Paperoga</em> di Nino Russo / Alessandro Barbucci, I TL 2117-A, giugno 1996.<br/><br/>José Maria Manrique è menzionato in riferimento al personaggio di Aracuán in quanto autore di <em>Donald Duck – Clown of the Jungle</em>, D 2000-023, adattamento per l’albo speciale scandinavo From All of Us to All of You dell’omonimo cortometraggio del 1947.<br/><br/>Il riferimento al corso per corrispondenza "Chi trova, prima ha cercato", che nel racconto Paperoga afferma di aver appena finito di frequentare, rimanda alla sua omonima affermazione riportata in <em>Paperino, Paperoga e il posto sicuro</em> di Rudy Salvagnini - Lorenzo Pastrovicchio, I TL 2682-2, pubblicata il 24 aprile 2007, cioè tre giorni prima della mia visita a Paperopoli.<br/><br/>L'interno della casa di Gastone è descritto come appare in <em>Paperino (& Gastone) e la tele-fortuna</em> di Staff di If / Massimo De Vita, I TL 1597, luglio 1986; dalla stessa storia sono tratti i riferimenti al programma televisivo Linea diretta con la fortuna e al quintale di pasta Birilla vinta da Gastone.<br/><br/>Il ponte sul Tulebug in cemento vicino alla foce, dal quale si vede il porto, compare in <em>Zio Paperone e l'inafferrabile Trizompa</em> di Rodolfo Cimino / Giorgio Cavazzano, I TL 1775, dicembre 1989.<br/><br/>Mia è invece l'idea di intitolare strade e piazze di Paperopoli ad autori Disney di varie nazionalità. Nell'attribuire i nomi ho cercato di attenermi il più possibile alle caratteristiche stilistiche di ciascun autore: per cui la strada principale del quartiere in cui i paperi abitano porta il nome di Carl Barks, che per primo ne ha sviluppato i caratteri; il quartiere commerciale tra il Tulebug e la Collina Ammazzamotori, dove abita Paperino e dove si svolgono gran parte delle storie italiane, è il quartiere italiano; Giorgio Cavazzano, esperto nel delineare paesaggi industriali e portuali, presta il suo nome al principale molo del porto; a Rodolfo Cimino, che spesso coinvolge nelle sue storie sia Paperone che Paperino, è intitolata la strada che unisce la Collina Ammazzamotori alla casa di quest'ultimo e così via.</font>ImagoAltrovehttp://www.blogger.com/profile/14725579928464469991noreply@blogger.com9