27 aprile 2007

Appunti di viaggio... (1)

26 aprile 2007. Primo giorno.

            “Guarda, nonno! Un papero!” strilla eccitatissimo un bimbo seduto non distante da me, l’indice teso verso l’oblò, nell’altra mano il binocolo. Al di là del vetro, in basso, un tappeto di casette multicolori scorre, ormai a poca distanza, sotto la pancia del rosso aeroplano della Mc Duck Airlines che si è staccato quindici ore fa dalla pista di Madrid, per portarmi a fare conoscenza con la città più affascinante e bizzarra d’America.
            “Ce ne saranno tanti, vedrai...” fa il nonno, sorridendo. In effetti, di paperi è pieno il velivolo: paperi distinti di mezza età in giacca e cravatta, oppure paperotti in jeans e T – shirt, identici a quelli conosciuti sulle pagine dei fumetti, che tornano a casa dagli angoli più disparati del pianeta. Ma vederne uno da quassù nel suo “ambiente naturale” fa tutto un altro effetto. E il mio occhio, man mano che ci abbassiamo, inizia a cogliere sempre più particolari nella variopinta distesa di villette che scivola sotto di me: auto dalle forme tondeggianti dipinte a colori vivacissimi, alberi di pino e abete accanto alle case che sarebbero perfetti per Cip e Ciop, rosse cassette della posta tutte uguali, di fianco ai cancelletti dei giardini...
            E dopo quindici ore trascorse inseguendo il sole sull’Atlantico, il breve scalo a New York e la traversata coast-to-coast degli States, siamo arrivati, finalmente. Quasi non ci credo. L’orologio segna le tre del mattino, ma qui sono le 19, il sole è ancora alto.
        “Laggiù!” fa uno “Sulla collina!” E tutti i miei occasionali compagni di viaggio incollano il naso all’oblò, sbigottiti, mentre sotto i nostri occhi si apre l’ampia valle del fiume Tulebug, che scorre pigro verso il Pacifico immenso. È solo un attimo, il tempo di sospirare di meraviglia, e il profilo inconfondibile della Killmule Hill scompare dietro un’altra collina, e anche il mare non si vede più. Appena il tempo di rendermi conto che l’ho vista, che allora esiste davvero.



            In a few minutes, we will land in quack cape airport, Duckburg, Calisota. Weather is fine and temperature is 22.0 °c. Please keep your belts fastened.

            Così gracchia metallico l’altoparlante, con un fortissimo accento del sud-ovest, esasperato, se possibile, dalla risonanza nasale e paperesca della voce dello steward. Intanto ci siamo abbassati ancora, l’aereo si inclina descrivendo un’ampia curva, e non ci sono più case ma solo campi, trenta metri più in basso… anzi venti... dieci... cinque... BOING! ‘cipicchia che botta! RI-BOING! Ma allora è vero! Non sono i disegnatori che esagerano, qui gli aerei rimbalzano realmente sulla pista come fossero palle di gomma! Vuoi vedere che anche le auto, quando vanno veloci, viaggiano con tutte e quattro le ruote staccate dalla strada?
             Mentre l’aereo si ferma e io rinuncio a cercare di ripiegare la mia carta–lenzuolo della città (sulla quale, ho appena realizzato, mancano i nomi di un sacco di strade) cacciandola tutta accartocciata nello zainetto, affianchiamo un altro jet, nero e rosso, dalle forme aerodinamiche e ultramoderne. È l’aeroplano della Rockerlines, partito insieme al mio da Madrid e arrivato già da un’ora buona (qui quel poco che non è di Paperone è di Rockerduck, devo mettermelo in testa). Al suo confronto, il velivolo su cui ho viaggiato sembra un residuato della prima guerra mondiale. E vista la compagnia cui appartiene, non mi stupirei se lo fosse veramente.

* * *


            È passata un’ora. Il sole sta per tramontare a Paperopoli e si accendono i lampioni, mentre il bus attraversa di corsa le strade deserte in direzione dell’autostazione, che secondo la carta ormai tutta stropicciata che ho in mano dovrebbe trovarsi nella zona est della città, abbastanza vicino ai confini orientali del Coot Park, il grande parco comunale che si vede in tutte le storie.
            Sfilano ai lati capannoni pieni di crepe, magazzini al piano terra privi d’insegna con le saracinesche abbassate. Un cartellone pubblicitario, dall’aria un po’ datata, decanta i pregi di un certo Woodland Hotel, che sembra una baita di montagna (ma dove l’ho già sentito?), mentre su di un muro che un tempo doveva essere bianco, un’enorme scritta blu fatta con lo spray propone una similitudine tra la squadra locale del Pepper (anche questa non mi è nuova) e un rifiuto organico. E inizio con stupore a rendermi conto di come questa città sembri piccola se la vedi disegnata e di come sia in realtà tentacolare e immensa.
            Siamo in una zona industriale, si direbbe. Oltrepassiamo quella che pare una grossa fabbrica dai muri giallastri, le finestre a nastro e tre alte ciminiere fumanti, contrassegnata con l’inconfondibile marchio del dollaro. Man mano che procediamo, compaiono i primi negozi. Una drogheria che sorge in un minuscolo edificio rosa, con una tenda verde sopra l’ingresso, altre botteghe man mano che ci si avvicina al centro. Ma anche edifici in rovina, per metà scrostati, con i mattoni in vista. Un orrendo palazzotto giallo con l’intonaco che cade a pezzi, a un crocicchio, con una grande vetrata sporca al piano terra e la porta aperta, evidentemente abbandonato, potrebbe essere un nascondiglio ideale per la Banda Bassotti (a proposito... chissà se incontrerò i Bassotti!).
            Ma dove sarà tutta la gente? Sembra che questo quartiere sia deserto. Dove sarà la folla che si vede sempre nei fumetti, mi chiedo. E mi chiedo anche perché mai Paperon de’ Paperoni mi abbia mandato a chiamare e mi ospiti qui a sue spese. Cosa può volere il papero più ricco del mondo da un illustre sconosciuto come me?
            E soprattutto, chi sarà il misterioso “accompagnatore” da lui mandato a ricevermi all’autostazione, che stanotte mi ospiterà a casa sua? Come vorrei che fosse Paperino! Chissà se potrò conoscerlo...
            Mentre mi arrovello su queste domande, ecco che fuori dai finestrini quel quartiere fatiscente è scomparso... ora siamo in una zona più elegante e piena di alberi... direi che siamo in periferia e dovrebbe essere il quartiere sportivo. Ad un certo punto, lungo una curva, passiamo accanto a un lunghissimo e imponente edificio rosso e grigio, con una scalinata monumentale d’accesso e un filare di pini che corre lungo tutta la facciata. Una costruzione maestosa e interminabile, che, stranamente, non è illuminata da nemmeno una luce... però anche questa ho l’impressione di averla già vista... quartiere sportivo... mumble... quartiere sportivo... Ma certo! È la Polisportiva De’ Paperoni! Ecco perché è tutta buia... neanche i soldi per l’illuminazione vuole spendere, quello spilorcio!

* * *

           Questa di Paperopoli è l’autostazione più grande che abbia mai visto finora, penso mentre attraverso il grande atrio, insieme ai miei numerosi compagni di viaggio carichi di zaini che qui, come per magia, sono diventati improvvisamente molto più gonfi, buffi e colorati. L’aria ha un odore particolare, mai sentito, come di carta e d’inchiostro. Ma mi piace. Girare per una città dei fumetti sta cominciando a piacermi, ad ogni angolo c’è una sorpresa...
            E intanto esco sul vasto piazzale davanti alla stazione e mi guardo intorno. C’è pieno di taxi in sosta, dalle forme soffici e tondeggianti, rossi con i parafanghi blu e un disegno a scacchiera sulla fiancata. In ognuno c’è un autista vestito di blu, con un cappello simile a quello dei poliziotti e il nero, tondo, buffissimo naso che caratterizza tutti gli abitanti senza il becco di questa città. Una piazza senza nome, tanto per cambiare. La cerco sulla mia cartina tutta spiegazzata: è segnata, ma di un nome nemmeno l’ombra. Non appena trovo una libreria mi compro una cartina della città fatta bene, altro che! Ce ne fossero, però... in questo quartiere, ancora abbastanza periferico, sembra tutto chiuso.



            Giro l’angolo: dietro l’edificio dovrei trovare il mio accompagnatore di oggi ad aspettarmi. E in effetti, accanto a un muro scrostato pieno di scritte (una delle quali, piuttosto sgrammaticata, recita De’ Paperoni ladro: tutto il mondo è paese, penso), un giovane, magrissimo papero dai lunghi capelli spettinati sorseggia una birra, appoggiato a uno scooter sgangherato, buffissimo. Non mi aspettavo certo che Paperone mi mandasse a prendere in limousine, ma viaggiare su quel coso mi sembra degno di un aspirante suicida...
            Intanto il mio accompagnatore si stacca dallo scooter e si avvicina. Indossa una larga felpa con la scritta Duck Power e un cappello di lana... un cappello di lana... “Fethry! Fethry, oh dear! How do you do!” mi esce, senza che abbia pensato minimamente di dirlo. “Mr. Zniga, I suppose?” fa lui. “I’m Fethry. Pia...cere... How do you say in Italian?” (per comodità d’ora in poi tradurrò tutte le conversazioni in italiano). “Lo zione mi ha detto tutto di te! Hai viaggiato su uno dei suoi rottami, vero?” Ha un accento identico a quello dello steward sull’aereo. Non te lo immagineresti leggendo i fumetti. “Scusa se non ho altro che ‘sto rottame per venirti a prendere... ti offrirei qualcosa ma... a proposito... vuoi un sorso di birra? Non è la Mc Duck, quella secondo me fa schifo... è una birra ecosolidale che costa niente. La fanno in Brasile, dalle parti di Dinamite Bla... anzi, credo la produca proprio lui...”  Ma daiii! Una birra prodotta da Dinamite Bla! “Certo che la voglio! Grazie mille! Non per scroccare, eh... che poi non dite che noi genovesi siamo tutti uguali...” “Ah! Genovese? Andrai d’accordo con lo zione, allora! Dai, salta su, che ti porto a casa mia!”
            Wow, a casa di Paperoga, non riesco a crederci! Caro Paperoga, non si smentisce mai, penso mentre salgo titubante dietro di lui sullo scooter. “Tieniti forte!” E ancora non ha finito di dirlo che già sfreccia a razzo sull’asfalto. Come nei cartoni animati, ho l’impressione di restare un attimo sospeso nel vuoto prima che il mio corpo segua il movimento del bizzarro mezzo. “Frena!” urlo “Vuoi che ci ammazziamo entrambi?” Ma lui, zigzagando tra strane automobili e autobus strapieni con la sicurezza di un campione di slalom, “Tranquillo!” risponde urlando, per coprire il rumore del traffico che ora è più intenso “Qui, anche se cadessi dal tetto del Deposito, al massimo finiresti all’ospedale tutto fasciato da capo a piedi come una mummia, e due vignette dopo saresti più sano e vitale di prima...” Sarà, ma non sono tranquillo lo stesso.
            Dopo tre o quattro minuti di corsa folle e dopo aver evitato per un pelo un enorme camion pieno di terra di un certo Timothy Diesel – mi sono visto la scritta a venti centimetri dalla faccia – attraversiamo una zona con edifici più alti e dall’aspetto più monumentale. Sembrerebbe una zona commerciale. Non ho bene idea di dove siamo... ma penso che anche i nomi di questa parte della città non siano segnati, sulla mia carta. Però comincio finalmente ad ambientarmi. Sbirciando tra i palazzi ai lati del viale che sto percorrendo vedo del verde: quello deve essere il famoso parco. Stiamo viaggiando verso sud, tra non molto dovremmo attraversare il fiume. Eccolo infatti: il Tulebug, che non si vede praticamente mai nei fumetti, ma c’è. E al di là il terreno si gonfia e si articola in mille collinette tutte coperte di piccole case colorate, quelle che ho già visto dall’alto, dall’aereo, e che si vedono in tutti i fumetti. Colori vivaci, che sarebbero orribili in ogni altra città, mentre qui si armonizzano a meraviglia con l’ambiente. E gente qui ce n’è, per le strade, uomini dal naso nero che portano a spasso cani simili a Pluto, oppure strani personaggi col becco a punta che leggono il Papersera sulla sdraio, con la lampada accesa. Ormai è praticamente buio.
            Anche Paperoga ha rallentato e dopo un po’ si ferma in prossimità di una casetta, una casa che non ricordo di non aver mai visto nei fumetti. Appena sceso dallo scooter guardo verso nord, per vedere se riesco a scorgere da lontano la collina di Paperone. Credevo si vedesse da ogni punto della città, invece non è così. Da qui per esempio non si vede: la vista si apre verso nord-est, in direzione della periferia e del quartiere industriale che abbiamo appena attraversato. “Cos’è?” chiedo meravigliato, indicando una sorta di pinnacolo roccioso, lontanissimo, con una strana costruzione in cima... che mi pare abbia un aspetto vagamente familiare, anche se non ricordo bene dove l’ho già vista. “Quella casa in cima alla roccia, dici?” fa lui mentre prova le mille chiavi del mazzo che ha in mano cercando quella giusta per aprire casa “Ci abitava un tizio, una volta... uno veramente furioso!” (per dirlo lui, furioso doveva esserlo davvero!).

* * *


            L’interno della casa è indescrivibile. Pareti dipinte a colori vivaci, poster di cantanti sconosciuti e di rivoluzionari di paesi dai nomi improbabili, il simbolo della pace e i colori della Giamaica dappertutto, e perfino, in un angolo, un grosso narghilè che ha l’aria di esser stato usato da non molto. Nell’aria un odore dolce e inconfondibile. “Paperoga!” mi stupisco “Ma è proprio casa tua? Non è mai stata così!” “Non dirmelo!” fa lui “Non immagini lo sbattimento, pulire e far sparire tutto ogni volta che devono disegnare l’interno di casa mia! Sono politicamente scorretto, dicono, capisci? Comunque mettiti comodo, intanto!” Non me lo faccio ripetere e mi sdraio sul divano (non dormo da un giorno intero!) mentre il caro Paperoga fa partire lo stereo a palla, giusto per conciliare il sonno...
            Woooah! The sun rises / Over pear treeees... gridano due voci che sembrano Simon & Garfunkel, su una base squisitamente anni Settanta. Ma questa canzone proprio non l’ho mai sentita. “Cos’è, un inedito di Simon & Garfunkel?” chiedo distrattamente, mentre già le palpebre mi si chiudono. “No” fa lui mostrandomi due tizi sulla copertina di un disco. “Sono loro! Se vuoi te lo duplico, sono fortissimi!” (Switt e Hatis! Ma certo! Quelli che costrinsero Paperone a finanziargli un tour in giro per il mondo in quella storia del...)
            “Ehi Zniga! Vuoi un tè?” è l’ultima frase che sento (ma quanto è comodo questo divano!), mentre già dietro i miei occhi chiusi iniziano a scorrere le immagini di questa giornata indimenticabile, le villette dall’alto, l’autostazione, e piano piano le voci di Switt e Hatis, i colori della Giamaica e l’odore dolciastro che permea la casa di Paperoga si fondono piano piano nella nebbia sempre più scura e crescente di un sonno ristoratore... avrei mille cose da chiedere, tipo perché non ci sono i nomi delle strade sulla mia carta, tipo come si chiama questa via dove siamo, tipo se domani andremo al Deposito... ma c'è tempo, si sta così bene qui... “Buonanotte Paperoga...” Buonanotte Paperopoli...



Note

L’aspetto generale del territorio di Paperopoli, il nome del fiume e l’aspetto della Killmule Hill, così come la presenza dell’isolotto al centro della baia, sono tratti dalle opere di Carl Barks e Don Rosa, nelle quali questi elementi si ripetono costantemente.

Il Woodland Hotel compare in Paperino dinosauro dilettante di Sisto Nigro / Federico Mancuso, I P 316, ottobre 2006

Il riferimento alla squadra locale del Pepper si trova in Paperinik e il tifoso criminoso di Giorgio Pezzin /Guido Scala, I TL 1734 – A, febbraio 1989

I particolari riguardanti il quartiere industriale sono tratti prevalentemente da Paperino e il croccante al diamante di Giorgio Pezzin / Giorgio Cavazzano, I TL 1108, febbraio 1977; dalla stessa storia è tratto il riferimento a Timothy Diesel e alla sua attività di trasporto terra, nonché alla bizzarra costruzione che sorge in cima al pinnacolo roccioso. L’ubicazione del pinnacolo nei pressi del quartiere industriale, alla periferia orientale della città, è dedotta dal fatto che Paperino e Paperoga nella storia citata impiegano pochi minuti a piedi a raggiungere il pinnacolo dalla sede del grossista di dolciumi ed ex gangster Gian Duiott (che è l’edificio in abbandono menzionato nel racconto).

L’aspetto della Polisportiva De’ Paperoni è tratto da Zio Paperone e il calcio a buon mercato di Riccardo Secchi / Giorgio Cavazzano, I TL 2443–1, settembre 2002

La livrea dei taxi di Paperopoli e la divisa dei tassisti sono quelli che compaiono in Sgrizzo, il papero più balzano del mondo di Romano Scarpa, I TL 465, ottobre 1964

Il riferimento alla canzone Sun&Pears e al duo Switt – Hatis è tratto da Zio Paperone e il duo singolare di Giorgio Figus / Valerio Held, I TL 1845 – C, aprile 1991, dove la canzone è menzionata con il titolo Il sole e le pere.

16 aprile 2007

Ranma ½: i luoghi

Il mio occhio di lettrice di manga giapponesi è spesso e volentieri attratto dai luoghi nei quali i vari personaggi si muovono ed interagiscono fra loro; manifestando, inoltre, un grande interesse per la cultura nipponica e mettendo Tokyo fra le prime città estere che mi piacerebbe visitare, non posso fare a meno di apprezzare la ricchezza di particolari con cui alcuni mangaka realizzano le proprie tavole. Rumiko TakahashiUn merito particolare in questo senso va a Rumiko Takahashi , donna minuta ed occhialuta classe ‘57, della quale sono conosciuti ed amati molti personaggi: da Lamù, la ragazza dello spazio dal costumino tigrato ( da “Urusei Yatsura” ) per la quale ho avuto una sorta di venerazione durante l’infanzia, a Godai, timido ed impacciato ventenne con un debole per la dolcissima vedova Kyoko Otonashi (da “Maison Ikkoku”), fino all’ultimo semi-demone dalle fattezze canine Inuyasha (dal manga omonimo). I personaggi di Ranma ½ usciti dalla mia matita! ^^ (clicca per ingrandire)Fra tutti, però, ho apprezzato in modo particolare Ranma ½ ( “Ranma nibun no ichi”, letteralmente "Ranma uno-di-due"), concepito prima come manga e successivamente come anime e oav[1]. In questo prodotto della Takahashi si può assistere ad un continuo incontro/scontro fra la cultura giapponese e quella cinese, attraverso costumi tradizionali e piatti tipici, abitudini familiari e regole scolastiche, il tutto correlato da azioni, talvolta assurde, caratterizzate da un'irrinunciabile impronta umoristica pronta a sdrammatizzare momenti di imbarazzo e situazioni poco allegre. Vi propongo, allora, un viaggio virtuale del Giappone e della Cina di Ranma ½. , attraverso la descrizione dei luoghi principali dove si sviluppa la storia.

IL GIAPPONE


Tokyo è il background preferito dei mangaka giapponesi, in quanto è una città in continua evoluzione; in essa, la vecchia tradizione di kimoni e templi Edo si fonde con l’iper tecnologia del ponte dell’Arcobaleno e delle innumerevoli stazioni presenti nei 23 quartieri speciali in cui è suddivisa la città. Ed è proprio in un quartiere di Tokyo, Nerima, che la Takahashi lascia interagire i suoi personaggi. Volendo fare un confronto su come l’autrice sia riuscita ad adattare i luoghi reali alle sue storie, distinguiamo 4 ambientazioni particolari.

Casa Tendo.
I giapponesi hanno sempre rappresentato un popolo profondamente rispettoso di abitudini e tradizioni; proprio grazie ai cartoni animati ho avuto modo di apprendere, ad esempio, che è buona educazione togliersi le scarpe non appena viene varcato l’ingresso domestico (genkan), lasciandole con le punte rivolte verso l’uscita, e di infilarsi pantofole o rimanere con i calzini per evitare di sporcare il pavimento. Nell’abitazione dei Tendo (dove vivono, praticamente da parassiti, anche Ranma col padre ed il maestro Happosai), si possono apprezzare tanti piccoli particolari che anche nella realtà costituiscono l’interno delle tradizionali dimore nipponiche: porte scorrevoli (fusuma), pannelli (shoji) tappezzati con carta di riso (ecco perché sono facilmente soggetti alla rottura, specie quando Genma e Ranma litigano!) , ampi armadi (oshiire) in cui vengono riposti lenzuola (shikifu) e futon, sostantivo che indica il caratteristico letto costituito da un materasso sottile (shikibuton) e dalle coperte (kakebuton)  e che è possibile srotolare sul pavimento. Il materiale principale di costruzione per l’esterno delle case giapponesi è il legno, in quanto facilmente rimpiazzabile in caso dei terremoti frequenti cui è soggetta quella terra; all’interno, invece, ritroviamo il tatami, ovvero il pavimento, che consta di tre parti: toko, cioé paglia di riso, omote, costituito da steli di igusa (un tipo di tessuto vegetale), e heri, che è una stoffa. Ecco una tipica dimora nipponica rapportata con l'abitazione dei Tendo vista sia nell'anime che nel fumetto:

Clicca per ingrandire


Una stanza di casa Tendo di cui possiamo apprezzare bene i particolari è il bagno, perché spesso i personaggi vi si recano per attingere all’acqua calda e lavarsi di dosso la maledizione. Esso è costituito da una sorta di ingresso (dove ci si spoglia) dal quale poi si accede al toire, un ambiente dove vi sono il water ed il lavabo, ed al furo, uno spazio dove vi è un tipo di vasca molto più profonda rispetto alla nostra, in quanto l'acqua deve poter arrivare fino al collo; sia nel manga che nell’anime, sarà proprio il furo a vedere il primo incontro fra Akane e Ranma ragazzo[2]. Anticamente, però, il corpo veniva lavato nel goemonbur (che prende il suo nome da Ishikawa Goemon, un uomo condannato a morire in un calderone pieno di olio bollente), una piccola conca in ferro riscaldata con la legna grazie ad una fornace sottostante. Un tipico KamidanaElementi che non devono mancare mai fra le pareti domestiche nipponiche sono due altarini religiosi: il Kamidana (per il culto dello shintoismo) ed il Butsudan (per il culto del buddismo) . ‘Kamidana’ sta letteralmente a significare ‘Mensola per gli Dei’, in quanto riservata a particolari divinità cui rivolgersi; su di esso vengono poste candele, riso bianco e sake (una bevanda alcolica giapponese che si ottiene dalla fermentazione del riso).
Più importante è di sicuro il Butsudan, letteralmente ‘Altare del Buddha’, che viene utilizzato sia per pregare per l’appunto tale divinità che i propri defunti e che si può chiudere con delle ante o riporre in un mobile apposito. Vi si offrono cibo, fiori ed incensi e dopo 49 giorni dalla dipartita di un proprio caro viene posta una tavoletta (ihai) sulla quale è inciso il nome attribuito al morto; questo perché in Giappone vi è l’usanza secondo la quale il sacerdote dà un nuovo nome al deceduto.
Soprattutto nel manga, si vede molto spesso Soun Tendo pregare per la moglie defunta presso questo altarino.

Parco Shakujii.
Per quanto Tokyo possa essere una città caotica dominata da una linea ferroviaria iperveloce (la Yamanote-sen) e da grattacieli altissimi che ospitano centinaia di uffici e maxischermi pubblicitari, non mancano di certo gli spazi verdi dove portare a spasso il cane o incontrarsi semplicemente con gli amici. Sia nell’anime che nel manga di Ranma, si ha modo di osservare il parco Shakujii (Shakujii Koen) in diverse occasioni; le più stuzzicanti sono il momento in cui Ranma urla un fragoroso “Ti amo!” ad Akane[3] e quando viene organizzato per la prima volta un incontro con Nodoka, sua madre[4]. Nella realtà, questa ritrovo a Nerima esiste sul serio (vi è molto praticato il birdwatching) e la Takahashi sembra averne proposta una versione decisamente fedele all’originale; infatti, nelle tavole che lo ritraggono ritroviamo i viali alberati, le panchine, i sentieri provvisti di siepi rigogliose e le giostrine in ferro per i più piccoli. Ecco come appare tale luogo nella realtà e come l'autrice lo propone:
Clicca per ingrandire
Classica, sia nell'anime che nel manga, è la presenza dei due laghetti caratteristici di questo spazio verde: uno è lo “Shakujii”, l’altro è il “Sanbō-tera”; in particolare, quest’ultimo fa spesso da sfondo, nella realtà, a molte serie tv nipponiche. Ciò che invece non viene mostrato ma che rappresenta un elemento peculiare del parco sono i resti di un antico castello (che prende il nome dal parco stesso), costruito durante il periodo Kamakura (1185-1333) e distrutto nella seconda metà del XV secolo.

Liceo Furinkan.
Il Giappone è considerata la nazione più istruita al mondo, con lo 0% di analfabetismo ed il 100% delle iscrizioni alla scuola dell’obbligo; il suo sistema di istruzione prevede 6 anni di elementari (da iniziare all’età di 6 anni), 3 di medie inferiori (dopo i quali termina la scuola dell’obbligo), 3 di medie superiori e 4 di università (per divenire uno studente universitario è necessario superare un esame di ammissione non semplice[5], Love Hina docet!). Le lezioni iniziano ad aprile per terminare nel marzo dell’anno successivo e si hanno circa 14 giorni liberi fra la chiusura e la riapertura; gli studenti godono di ulteriori pause didattiche con l’arrivo di Capodanno (2 settimane) ed in occasione dell’estate (6 settimane). Nella maggior parte delle scuole superiori nipponiche l’ingresso è alle 8.30 e l’uscita alle 15.00, ma i ragazzi possono trattenersi oltre l’orario scolastico per svolgere attività ricreative come il teatro e l’atletica leggera oppure per provvedere alla pulizia di aule e laboratori; inoltre, a differenza dell’Italia, le classi sono costituite anche da 40 studenti in virtù dell’alta densità di popolazione. Ranma ed Akane frequentano la 1^F presso il liceo Furinkan, che la Takahashi idealmente pone nel quartiere di Nerima; ecco come l'autrice propone tale struttura sia nel manga che nell'anime e come invece si presenta una scuola di Tokyo nella realtà:  
Clicca per ingrandire
Ad eccezione di Ranma (che predilige sempre e comunque il suo modo di vestire alla cinese per ogni Un gakuranoccasione), tutti gli studenti indossano una divisa, in gergo seifuku, che è diversa a seconda dell’istituto di appartenenza. Sia nel manga che nell'anime, per i ragazzi ritroviamo la classica uniforme scolastica, che trae spunto dal modo di vestire dei cadetti prussiani: essa fa uso di toni abbastanza scuri (come il blu o il nero) ed è costituita da un pantalone, da una camicia bianca e da una gakuran, ovvero una giacca dotata di un numero variabile di bottoni di ottone e di un caratteristico colletto alto e rigido, che va portato Una tipica camicia scolastica con collo alla marinararigorosamente abbottonato come segno di buona educazione. Per quanto riguarda le uniformi per il gentil sesso, invece, si predilige una vestibilità nettamente più femminile; famose sono le sailor-fuku, ovvero le classiche uniformi alla marinara, i cui colori variano in base all’istituto: esse sono costituite da un un’ampia gonna a pieghettine portata con lunghi calzettoni (loose-socks, che mi permetto di tradurre liberamente come ‘calzini morbidi’ in quanto vanno indossati in modo che non aderiscano troppo) e da una camicetta con colletto a righe (stile ‘Paperino’ e ‘Sailor Moon’, che per l’appunto vestono alla marinara), il quale il più delle volte è abbellito da un nastro, portato a mò di fiocco oppure semplicemente tenuto fermo da una spilla. Sia nel manga che nell’anime, è possibile osservare la sailor-fuku su Kodachi (che frequenta un istituto per sole donne), mentre nel liceo Furinkan la divisa femminile è molto più sobria, in quanto costituita semplicemente da un vestitino verde e da un bolerino dello stesso tessuto (utilizzato nei mesi più freddi), cui va abbinata una camicia bianca a maniche corte.

I canali di Nerima.
Sia nel manga che nell’anime è possibile osservare diversi canali di scolo, che caratterizzano anche nella realtà le strade di Tokyo e, più in generale, del Giappone. Essi sono bacini artificiali protetti da mura di cemento, intervallate da una delle due estremità di grossi tubi che permettono lo scolo delle acque piovane che verranno poi riutilizzate, ad esempio, per irrigare i campi. Solitamente, questi canali costeggiano uno dei lati delle strade cittadine, dalle quali sono separate tramite recinzioni metalliche; come la Takahashi ci mostra, nel tragitto che separa la casa dei Tendo dalla scuola Ranma ha l’abitudine di camminare proprio sul cornicione di queste protezioni in ferro, con l’effetto che ad ogni piccola perdita di equilibrio (indotta il più delle volte da un litigio con il padre o da una discussione con Akane, che lo spinge con un calcio o con un pugno…) cade nel fiumiciattolo e diventa donna! Ecco uno scorcio di un quartiere di Nerima con relativo canale, confrontato con la versione dell'autrice:Clicca per ingrandire

LA CINA


Lasciamo ora il Giappone e proiettiamoci virtualmente in Cina. Escludendo flashbacks vari, l'autrice si concentra su un solo luogo di questa nazione, ovvero nella zona dove alcuni fra i co-protagonisti hanno contratto ognungo il proprio imbarazzante sortilegio: le sorgenti (in cinese "Nichuan") di Jusenkyo.

Le sorgenti maledette.
Jusenkyo è un'ubicazione immaginaria che la Takahashi colloca in Cina e che indica in cinese come "Zhou Chuan Xiang". Nel primo volumetto, e più precisamente nel capitolo italiano ‘Il Segreto di Ranma’, la mangaka gli attribuisce una dettagliata posizione geografica:  “monte Chuanjing, della catena montuosa Bayankala, in provincia di Chinhai, Cina". Tale luogo non è del tutto frutto della fantasia, in quanto le montagne di Bayankala esistono anche nella realtà: esse caratterizzano la provincia di Qinghai (Cina) e sono attraversate a nord dal Fiume Giallo ed a sud dal Fiume Yangtze.
Le sorgenti immaginare di Junsekyo vengono presentate, sia nell'anime che nel fumetto, come “il mitico campo di addestramento” e sono costituite da più di un centinaio di specchi di acqua, dai quali sbucano una miriade di canne di bambù. E sono proprio queste canne di bambù ad essere reputate da Genma, padre di Ranma, un ottimo punto di equilibrio per il figlio durante l'allenamento per divenire un buon maestro di arti marziali. Ecco un confronto fra come tale paesaggio si presenta nella realtà e di come venga rappresentato Jusenkyo dall'autrice in entrambe le versioni:Clicca per ingrandire 
La storia di Ranma ½ vuole che le fonti suddette celino un terribile segreto: sempre nel primo volumetto, la guida autoctona spiega ai due avventori che molti anni addietro in quelle pozze morirono affogati esseri umani ed animali, lasciandovi la loro anima; da allora in poi, tutti coloro che vi cadranno subiranno un duplice effetto:
1) assunzione del corpo del defunto ogni volta che entreranno in contatto con l’acqua fredda;
2) ritorno temporaneo al proprio aspetto originario a contatto con l’acqua calda[6].
Man mano che la storia si svilupperà e verranno presentati i vari personaggi colpiti da questa maledizione, di conseguenza verranno descritte molte sorgenti con i relativi effetti; le più importanti da citare sono, nell’ordine di apparizione:

  • Xiong Mao Nichuan: 2000 anni prima vi annegò un Panda e ne subisce l’effetto Genma Saotome;



  • Niang Nichuan: 1500 anni prima vi annegò una “candida fanciulla” e ne subisce l’effetto Ranma Saotome;



  • Heito Uen Nichuan: 1200 anni prima vi annegò un maialino nero e ne subisce l’effetto Ryoga Hibiki;



  • Mao Nichuan: 1800 anni prima vi annegò una gattina e ne subisce l’effetto Shan-Pu;



  • Yazhi Nichuan: 1300 anni prima vi annegò un’anatra e ne subisce l’effetto Moose;



  • Niu-He-Man-Mao Ren Nichuan: 2500 anni prima vi annegò “un uomo delle nevi che era su un toro con un’anguilla ed una gru nelle mani” e ne subisce l’effetto Collant Taro (in originale Pansuto-Tarō , nome datogli da Happosai, il quale assistette alla sua nascita e lo ripulì dalla placenta immergendolo proprio in questa sorgente!). Sul suo corpo maledetto, Taro si ritroverà anche dei tentacoli e la facoltà di spruzzare inchiostro, in seguito al bagno nella Chanyui Nichuan dove 1600 anni prima annegò una gigantesca piovra!


Di seguito, i personaggi suddetti in entrambe le versioni:


(Clicca sulle immagini per ingrandire)






[1]Nella trasposizione su video si possono contare 161 puntate italiane (cui vanno aggiunti 9 oav), mentre la storia su carta consta di 38 tankobon (‘volumetti’, in gergo) giapponesi, raccolti in Italia in tre edizioni differenti (di cui una incompleta, a causa del fallimenti della Granata Press); in questo articolo, farò riferimento alla seconda edizione, costituita da 53 volumetti stampati per conto della Star Comics e pubblicati sulla testata Neverland a partire dal giugno 1996.
[2]Vedere volumetto n.1, puntata n.1.
[3]In realtà si è trattato di un equivoco causato da Nabiki, sorella di Akane (vedere volumetto n.24, puntata n.110). Nel manga, Ranma si dichiarerà ad Akane nel n.45 ma a causa di un precedente litigio la ragazza non gli crederà.
[4]Nell'anime si vede Nodoka nelle puntate n. 160/161; nel fumetto Ranma la vede, per la prima volta dopo più di 10 anni, nel n. 30 ma si presenterà a lei solo nel n. 50.
[5]In Giappone gli studenti sono soliti consacrare ai templi shintoisti le Ema, tavolette votive per invocare le divinità al fine di superare l'esame di ammissione all'università.
[6] L'utilizzo dell'acqua calda ha una spiegazione logica, in quanto nella tradizione del Medio Oriente essa è vista come strumento di purificazione.

4 aprile 2007

Hentai - Seconda parte

Erotikappa by DeeproadChe i giapponesi fossero un popolo fondamentalmente perverso era un pensiero che custodivo fin dalla mia prima infanzia. D'altronde non avrei mai potuto spiegare altrimenti la netta percezione di determinate sensazioni legate all'universo dell'animazione nipponica. Se c'è una cosa che i cartoni animati del Sol Levante mi hanno sempre insegnato fin dalla tenera età di quattro anni è che la vita non è fatta solo di tazzine parlanti e animali canterini. Si ok, ci sono anche quelli (o almeno ci sono quando si prova a fumare la piantina che ogni nonna inconsapevolmente coltiva con insana devozione sul davanzale della propria finestra), ma ciò che l'animazione giapponese è sempre stata capace di mettere in evidenza sono quelle che io amo definire le cosiddette zone d'ombra, ossia tutte quelle emozioni che in tenera età percepisci a livello prettamente istintivo, ma che in virtù della tua breve esperienza di vita non sei in grado di elaborare in maniera così nitida. Intuisci allora che al di là della fantasia esiste un intero universo fatto di traumi, ingiustizie, sacrifici e continue sofferenze, ma che vale comunque la pena di assaporare nella spasmodica attesa di quei rari momenti di felicità interiore che, per quanto sporadici, valgono pur sempre una vita intera. In fondo ho sempre pensato che i cartoni animati della mia infanzia mirassero a questo tipo di insegnamento e che nel loro essere apparentemente diseducativi trasmettessero invece una consapevolezza forte e concreta della realtà che ci apprestavamo a vivere. E in fine credo sia proprio questa l'essenza della perversione nipponica così come noi siamo portati a percepirla: l'effetto di un attrito culturale che contrasta fortemente con un modello educativo occidentale tendenzialmente improntato alla più totale cecità nei confronti di tutto ciò che non rende giustizia ai valori imposti dal benessere esteriore e superficiale al quale siamo ormai irrimediabilmente assuefatti. Questa lunga e apparentemente inutile premessa, che forse sarebbe stata più adatta al solito discorso legato alle ripercussioni dei cartoni animati sulle menti fragili e potenzialmente condizionabili dei nostri beneamati pargoli, pone invece le fondamenta necessarie per accostarsi a un certo tipo di mentalità orientale privandosi almeno in parte dei soliti ritriti pregiudizi del caso.

Lyceenne by DeeproadLa cultura giapponese, pur con tutti i suoi contrasti e i suoi talvolta eccessivi formalismi, gode paradossalmente di una vena artistica profondamente libera (ma forse sarebbe il caso di dire "liberatoria") e spontanea, che tende a spogliarsi completamente di tutti i limiti concreti imposti dal peso di una società fortemente inquadrata. Ed è prioprio in quest'ottica che si collocano alcuni dei sottogeneri più estremi dell'erotismo nipponico, come il lolicon o il cosiddetto shotakon (lolicon al maschile, tanto per intenderci). Per una mentalità come la nostra risulta particolarmente difficile riuscire ad accettare una forma d'arte che tra le tante perversioni umane concepisca tranquillamente l'attrazione sessuale di un adulto verso una fascia d'età compresa tra gli otto e i tredici anni, tant'è vero che nel 2005 si discuteva in Italia di una legge che vietasse la pubblicazione di manga e anime rappresentanti scene di sesso con minori. Per quanto probabilmente inutile, vorrei comunque tentare di tracciare una sorta di separazione tra il genere lolicon e il concetto di pedofilia comunemente inteso. Il rapporto fisico tra l'uomo e la bambina nei manga di genere (nei più diffusi almeno) si riveste spesso e volentieri di connotazioni psicologiche adulte che di fatto non sussistono sul piano della realtà. La bambina sa essere sensuale e provocante, sa regalare all'uomo quelle sensazioni tenere e affettive che il suo universo gli nega costantemente; sa assecondare le sue fantasie, le subisce e ne gode nell'ambito di un rapporto che può definirsi quasi paritario. E' chiaro che tutto questo può vivere solo ed esclusivamente a livello di rappresentazione, dato che non troverà mai alcun riscontro sul piano reale. Che poi a ben vedere è lo stesso principio che regola i normali manga per adulti, dove anche la violenza o l'abuso costituiscono nient'altro che il gioco delle parti, in cui la donna di fronte a qualsiasi tipo di prevaricazione imposta dall'uomo non è mai comunque in grado di frenare le proprie esternazioni sessuali. E' in sostanza un banale concretizzarsi delle più comuni fantasie maschili, nient'altro. Per capire questo occorre comunque tener sempre presente che il manga erotico vive di una dimensione tutta sua, spesso e volentieri lontana anni luce dal comune perbenismo di cui si nutre la realtà quotidiana, tanto quella occidentale quanto quella orientale.

Lolicon   Lolicon   Tentacle rape


Ciò che davvero sorprende in verità è il fatto che a questa decisa apertura mentale in ambito contenutistico faccia invece da contrappeso una drastica censura a livello prettamente rappresentativo: nelle loro storie, infatti, gli autori giapponesi sono costretti per legge a nascondere gli organi genitali dei protagonisti maschili e femminili. Tuttavia se questo da un lato sembra costituire un limite a tutti gli effetti, dall'altro ha sempre consentito lo sviluppo di metodologie di censura particolari e stimolanti al tempo stesso, come posizioni o inquadrature che richiamano situazioni sessuali decisamente insolite. Dalla continua ricerca di espedienti finalizzati ad aggirare la severa censura nipponica si è giunti talvolta alla nascita di veri e propri generi. Nel 1986 infatti il già citato Toshio Maeda con il suo Urotsukidoji fu il precursore di quello che negli anni successivi divenne un vero e proprio classico, a metà strada tra erotismo e horror: si tratta del cosiddetto Tentacle rape (letteralmente "abuso tentacolare"), dove la violenza ai danni della sventurata di turno viene perpetrata ad opera di orrende e mostruose creature dotate appunto di viscidi tentacoli. Tale espediente venne utilizzato per la prima volta nell'Hentai in virtù del fatto che la penetrazione tentacolare non fosse affatto contemplata dalle leggi giapponesi. Altro grande autore che per gli stessi motivi è arrivato a fare dell'insolito e del perverso un vero e proprio marchio di fabbrica è l'intramontabile U-Jin, illustratore verso il quale nutro una spiccata venerazione. E non solo perché trovo particolarmente eccitanti le sue pin up, caratterizzate da visi angelici, forme purissime e sinuose, occhi luminosi ed espressivi, ma anche e soprattutto perché dietro quella facciata attraente e colorata si cela invece una realtà sporca, fatta di piccole violenze quotidiane e perversioni ai limiti del grottesco, consumate preferibilmente nell'ambito di contesti del tutto insospettabili. Col suo continuo dipingere le inenarrabili fantasie sessuali che fanno dell'uomo medio un potenziale erotomane represso, considero U-Jin come la massima espressione dell'Hentai in senso stretto, termine che in Giappone non è affatto comprensivo di tutta l'arte erotica espressa sottoforma di fumetto, come spesso si crede, ma che richiama invece un grado di erotismo perverso e anomalo, spesso e volentieri in netto contrasto con quelli che sono i valori culturali comunemente diffusi.

Countdown by DeeproadComunque la si voglia mettere quello che scaturisce dai manga per adulti è un erotismo complessivamente schietto, capace di mettere in luce tutte le zone d'ombra della fantasia umana. E' un erotismo che regala una vasta gamma di sensazioni, eccitanti e conturbanti al tempo stesso, ma che quasi mai arriva a lasciare totalmente indifferenti. E tra l'altro la sessualità in tutte le sue forme costituisce una componente tanto invadente nella cultura orientale da espandersi anche oltre i confini entro i quali solitamente si tende a relegarla. Numerosi autori d'altri generi intingono continuamente le loro opere in un erotismo nemmeno troppo velato. D'altronde la carriera di molti disegnatori del Sol Levante comincia proprio dalla pubblicazione di manga per adulti, la cui influenza spesso e volentieri si avverte chiaramente anche attraverso la lettura di opere successive. Casi emblematici sono quelli di Hiroyuki Utatane (formidabile disegnatore, celebre in Italia sia per Countdown: Sex Bombs che per il meraviglioso Seraphic Feather) o del pluriosannato Masakazu Katsura (Video girl Ai, DNA2, I's), che ancora oggi dedicano ampio spazio all'elemento erotico nell'ambito delle loro pubblicazioni. Spero sinceramente che prima o poi anche in Italia si riescano ad abbattere definitivamente certi pregiudizi legati a una mentalità tanto differente dalla nostra, che nel bene e nel male vive di emozioni vere e che regala all'arte quel qualcosa in più, quel minimo di introspezione psicologica di cui le nostre produzioni per adulti, nel loro eterno perpetuare sempre le stesse situazioni, troppo spesso sono carenti.

Argomenti correlati: Hentai - Prima parte


Scritto da Deeproad