29 maggio 2007

Appunti di viaggio... (2)

27 aprile 2007. Secondo giorno.

Un soave profumo di dolci, insinuandosi tramite il mio naso nella mia mente addormentata, mi fa lentamente riemergere dal mondo dei sogni.. Sembra odore di torta di mele, o qualcosa di simile, ma con un nonsoché di diverso dal solito... e piano piano apro gli occhi e vedo che nella mia stanza è già chiaro... e realizzo che sono steso su un divano... un divano... è vero! Sono a casa di Paperoga, a Paperopoli! E sono tutto sudato perché stanotte qualcuno mi ha coperto con una specie di bandierone a strisce rosse e blu, con una scritta che da qui non riesco a leggere bene... e fuori c'è il sole e penso che tra poco mi alzerò. Paperoga armeggia in cucina, lo sento fare fracasso con piatti e bicchieri e canticchiare. Alla fine mi tiro pigramente su dal letto e mi dirigo in cucina. Stendo il bandierone sulla spalliera del divano; c'è scritto "Drakesbro", che se non sbaglio ha qualcosa a che vedere col nome antico della città. Ora ricordo: quella scritta l'ho vista anche su un muro vicino all'autostazione! Già, Paperoga è tifoso del Paperopoli... ma non sapevo che in inglese la squadra avesse il nome antico della città!
Devo aver dormito per un'eternità, non mi ricordo nemmeno che cosa ho sognato. L'ultima cosa che ricordo è quella canzone di Switt&hatis, Sun & Pears. Fuori il sole picchia, saranno almeno le undici. Tardissimo, Paperopoli e Paperon de' Paperoni mi attendono! Paperoga armeggia con pentole e teglie, ha in testa un cappello da cuoco e dappertutto ci sono schizzi di salsa di pomodoro. Che voglia darmi salsa di pomodoro per colazione? Conoscendolo...
"Oh... ciao Zniga! Dormivi così bene... speravo che il profumo del mio capolavoro culinario ti svegliasse..." "Buon (yawn) giorno, Paperoga... Che cos'è, a proposito?" rispondo guardando dubbioso il forno, nel quale uno strano oggetto dalla forma irregolare sta gonfiandosi lentamente. "Una mia invenzione!" fa lui, gongolante. "Ho seguito la ricetta della torta di mele di Nonna Papera, ma visto che tu sei italiano ho deciso di aggiungerci un po' di pomodoro e mozzarella... mica male come idea, no?" "Glom... una meraviglia! Non vedo... ehm... l'ora di assaggiarla!"

* * *


Dopo un quarto d'ora trascorso a pulire gli schizzi di pomodoro e la  mozzarella che ha impiastricciato tutto, conseguenza dell'imprevista (ma prevedibile) esplosione del bizzarro sufflé di Paperoga, usciamo finalmente di casa. Sono qui per incontrare Paperone, ma prima il mio accompagnatore vuole portarmi un po' a spasso per la città. Per colazione sono riuscito a prendere solo un tè e il mio stomaco adesso fa "rumble". Andremo a piedi, così ci godremo meglio il paesaggio. C'è il sole e fa caldo; ora, guardando verso nord-est, vedo chiaramente il pinnacolo roccioso che ho intravisto ieri sera, e adesso ricordo perfettamente la storia in cui compare.

casa Gander


Camminiamo lungo una via in leggera discesa, che segue il declivio della collina verso la sponda del Tulebug. Sulla nostra destra, una lunga siepe tagliata a sezione quadrata corre separando la strada dal marciapiede. Sullo sfondo, verso nord, i grattacieli, e, finalmente, al disopra di tutto, la collina più famosa del mondo. Non vedo l'ora di essere lassù!
Non passa un'auto che sia una, c'è una leggera brezza e si sta benissimo. Sulla nostra sinistra, le villette del quartiere residenziale si susseguono in una schiera variopinta. Mentre Paperoga tenta di attirare la mia attenzione declamandomi i risultati di un corso per corrispondenza dal nome improbabile che ha appena finito di seguire, lancio occhiate ai giardini delle case. Ce n'è uno di una certa Mrs Jane, dove una gallina becchetta qualcosa tra l'erba; da quello di un certo Murphy proviene invece un delizioso profumo di pane appena sfornato. Poco oltre, la mia attenzione è attratta da una graziosa villetta rosa, con uno zoccolo di mattoni alto circa un metro tutt'intorno alla base e una bella siepe al posto delle recinzione. Il giardino è ingombro di scatole e scatoloni di ogni forma e dimensione, e la cassetta della posta è talmente stipata di lettere e pacchetti che si è aperta e non è possibile leggere il nome del padrone di casa.  Forse è qualcuno che ha appena traslocato e si sta arredando la nuova casa... vorrei chiederlo a Paperoga, ma forse è meglio lasciarlo immerso nel suo monologo e approfittarne per guardarmi intorno.

* * *


Dopo aver attraversato a piedi il Tulebug limaccioso, su di un ponte in mattoni con eleganti lampioni blu e filari di alberelli piantati lungo i marciapiedi, giungiamo in quello che sembra il quartiere commerciale. Non ci sono più villette, ma edifici alti e pieni di scritte. In uno slargo, di fronte a un distributore della Benz, vedo la prima pizzeria di Paperopoli. Vorrei fermarmi ma Paperoga mi invita ad andare oltre... più avanti, dice, c'è un centro commerciale carino dove c'è anche un ristorante.
E da un po' ho la sensazione di essere osservato... credevo che queste cose accadessero soltanto nei fumetti. Beh, ma qui siamo in una città dei fumetti... forse è solo la mia suggestione. Intorno a noi c'è un sacco di gente, ora: papere anziane con ceste della spesa e sacchetti rigonfi; uomini dal naso nero e tondo che portano a spasso il cane. Qui, tutto ha forme tondeggianti, abbastanza diverse da quelle più semplici e lineari del quartiere residenziale al di là del fiume.
In una traversa, una schiera di gatti miagolanti appostati ovunque, sui bidoni della spazzatura, sulle staccionate dei giardini e sui cofani delle auto, mi squadrano con aria incuriosita. "Come si chiama quella strada?" chiedo al mio accompagnatore. "Gatto Road" mi risponde. "Gatto perché ci sono i gatti?" Chiedo. "E poi perché Gatto in italiano?" "Beh... qui un sacco di strade hanno nomi italiani." mi risponde. "Questo è il quartiere latino. Vedi quella piazza laggiù in fondo? Quella è Arrigada Rios Square, da lì comincia il quartiere spagnolo. E il viale alberato che conduce verso il centro è Manrique Road. Da lì si va dritti verso la Collina Ammazzamotori. A proposito: stai attento ai criminali, qui nella zona dei negozi è pieno, tieniti stretto lo zaino..."
E mentre passeggiamo, dò un'occhiata alle traverse che incrociano la via che stiamo percorrendo. È strano, ognuna di esse sembra progettata e costruita con uno stile completamente diverso dalle altre, ma nell'insieme non stonano, anzi danno un'idea di varietà che non mi dispiace affatto. Oltrepassando una stradina, mi colpisce l'insegna di un ristorante genovese. Dei genovesi qui? In quella strada tutto ha bellissimi colori soffici e sfumati. Nella traversa successiva sia le case che le persone hanno forme barocche e ridondanti, i passanti hanno grandi occhi tondeggianti, le donne portano cappelli sfarzosi da cui spuntano lunghe capigliature a boccoli e le case sono piene di riccioli e volute. All'angolo, un altro ristorante genovese (ma quanti sono?) diffonde nell'aria un odore di pesto così buono che quasi mi sembra di essere a casa. La targa stradale ci indica che il nome di quella via è Scala Street. Credo di cominciare a capire.
Così, con il pretesto di leggere da vicino un cartellone pubblicitario, invito Paperoga a muovere qualche passo in Scala Street, deviando dal momentaneamente dal nostro cammino. E, come immaginavo, l'aspetto del mio accompagnatore cambia leggermente: è sempre lui, perfettamente riconoscibile, però il suo becco è un poco più allungato, i suoi occhi sembrano più grandi e le sue zampe sono più tozze. Proprio come pensavo...
"Scommetto che quella via tutta dipinta si chiama Chierchini Road, giusto, Paperoga? E quella che percorrevamo prima magari è Carpi Avenue..."
"Non ti sbagli, caro Zniga!" risponde, mentre torniamo sui nostri passi, sulla via principale. "In effetti, il viale che stiamo percorrendo ora si chiama Carpi Lane, ed è una delle strade più grandi del quartiere italiano. In particolare, siamo nel quartiere genovese, come forse ti sarai accorto. Paperopoli è una città multietnica! Quella tutta dipinta però non è Chierchini Road ma Barberini Street, che io confondo sempre con Chisté Alley. E tutt'e due, in effetti, conducono a Chierchini Road. Alla collina Ammazzamotori ci possiamo arrivare attraversando il quartiere spagnolo, oppure percorrendo Cimino Avenue! Tu cosa preferisci?"
Oddio... vorrei vederla tutta questa città... ma chi se l'immaginava una cosa del genere? "Senti... facciamo che ci sediamo su una panchina, guardo un attimo la mia carta e decido! Anche se sulla mia carta mancano un sacco di nomi..."

* * *


Detto fatto. Arrivati in Arrigada Rios Square, ci sediamo su una panchina. È una piazza grande e spaziosa, dalle prospettive un po' piatte. Ad un angolo, tre o quattro uomini dalle facce quadrate e dai grossi denti discutono animatamente. Poso lo zaino accanto a me quando all'improvviso le note di una scoppiettante e inconfondibile canzone mi scuotono: è la canzone di Aracuán, il clown della giungla de "I tre caballeros". Mi guardo già intorno sperando di vederlo sbucare, magari da Manrique Road (era proprio Manrique che lo aveva disegnato, giusto?), quando con un po' di delusione mi accorgo che si tratta della suoneria del cellulare di Paperoga. Chissà chi lo sta chiamando! Cerco di capire con chi sta parlando, sperando si tratti magari di Paperino o Paperone... cerco di sentire e non mi accorgo della mano coperta da un guanto giallo che si avvicina allo zaino che ho posato sul bordo della panchina... e ho appena il tempo di voltarmi e vedere il mio zaino allontanarsi sulle spalle di un tizio con il berretto verde, maglia rossa, jeans e scarpe gialle, che si allontana di corsa!
"Ehi! Al ladro! Un bassotto! Paperoga, fa' qualcosa! C'è tutta la mia roba per disegnare lì dentro! Al ladroooo!"
"Te l'avevo detto di stare attento! Qui è pieno di ladruncoli! Comunque non credo fosse un bassotto... Perché un bassotto dovrebbe derubare proprio te? No, ti sbagli, amico... i Bassotti puntano solo in alto, verso quella collina laggiù!"
"Beh, forse sapeva che dovevo incontrarmi con Paperone! E ha pensato magari che fossi un famoso affarista straniero! Ma ora dobbiamo ritrovarlo assolutamente! Come posso presentarmi da tuo zio senza la mia attrezzatura professionale? Da che parte è il covo dei Bassotti?"
"Fidati, amico: lo ritroveremo in un attimo! Te lo dicevo giusto appena usciti da casa mia: ho appena seguito un corso che si chiama Chi trova, prima ha cercato! Per trovare infallibilmente ciò che si è perduto, ci sono diversi metodi, ma il migliore è sicuramente..."

* * *


"...Affidarsi a me!" Mi giro di scatto. Capelli biondi e arricciati, cappello, giacca verde e modi eleganti: il papero che ho dinnanzi è inconfondibile. "Gladstone Gander, per servirti. Tu devi essere Zniga, giusto?"
"Giusto. Ma tu come fai a saperlo?"
"Beh, ho tirato a caso... ho detto la prima parola che mi passava per la testa!"
"Caspita, non pensavo che la tua fortuna arrivasse a tanto!"
"Scherzo... è stato zio Paperone a parlarmi di te! Senti Zniga... per caso hai fame?"
"Certo! Ma, non per ripetermi, come fai a saperlo?"
"Beh, ho appena vinto a una pesca di beneficenza due inviti per un pranzo gratuito nel più lussuoso dei ristoranti di mio zio... e visto che Paperina è a Quack Town da Nonna Papera mi sono chiesto: perché due? Ora l'ho capito..."
A questo punto interviene Paperoga: "Beh, allora se voi andate al ristorante... io mi autoinviterò da Paperino! Oggi farà i suoi famosi muffins allo sciroppo d'acero... slurp! A dopo!"
Capito lo scroccone? Ecco perché non voleva andare in pizzeria! Povero Paperino, non lo invidio...

* * *


Dopo un pranzo luculliano a base delle più famose specialità paperopolesi, tratte pari pari dal ricettario di Nonna Papera, ed innaffiate da un ottimo vino che non compare nei fumetti perché - mi spiega Gastone - i paperi non possono bere alcolici in pubblico, cosa c'è di meglio di una bella passeggiate per la città? Siamo ormai nelle immediate vicinanze della Collina Ammazzamotori, e naturalmente metto a perdere il mio nuovo accompagnatore perché mi porti a vederla da vicino. Gli ho spiegato del furto dei Bassotti e mi ha risposto di non preoccuparmi e di non separarmi mai da lui: ci penserà la sua fortuna a farmi ritrovare lo zainetto! E Paperone può aspettare... ha avvertito Paperoga che stanotte dormirò da lui, e da suo zio ci andremo domani.
Da un lato mi dispiace, perché sono impaziente di vedere Paperone, camminare sul tappeto di monete d'oro che ricopre il pavimento del suo ufficio, e vedere com'è il panorama dalla terrazza del Deposito: deve essere stupendo... però sono anche curioso di entrare in casa di Gastone, vedere come vive, e dare un'occhiata alla sua famosa cassaforte...
E dopo aver percorso Cimino Avenue dall'inizio alla fine, passando anche davanti alla casa di Paperino (ma riuscirò a conoscerlo, prima o poi?), arriviamo finalmente accanto alla staccionata di legno al di là della quale il terreno, coperto di erba e cespugli, sale vertiginosamente di colpo fino a un centinaio di metri d'altezza, a dominare come una terrazza tutta la città. Lassù c'è il forziere più famoso e più amato del mondo. È più piccolo di come lo si può immaginare, direi al massimo una quarantina di metri d'altezza. O forse è solo il fatto che si trovi tanto in alto a darmi questa impressione.




Accanto all'unico varco, protetto solo da una sbarra simile a quella dei parcheggi, piccola e ingannevole (chi immaginerebbe che al di là ci sono trappole micidiali?) un grosso cartello in legno, sbiadito dal sole ed eroso dalla pioggia, recita a lettere dipinte a mano: "Qui inizia la proprietà esclusiva di Paperon De' Paperoni. Divieto di accesso assoluto ai non autorizzati. Il proprietario non risponde di eventuali danni al trasgressore. Non siete i benvenuti." Il cuore inizia a battermi forte. È l'ingresso del Deposito di Paperone, quello vero! Quello che ho sognato di vedere per tanti anni... e ora è lassù, cento metri più in alto, e alla sola idea di dover attendere ancora un giorno per entrarci mi sento male...
Verso la cima della collina, i cespugli si diradano e l'erba oscilla accarezzata dal vento. Poco oltre la staccionata un merlo, ignaro di trovarsi sul terreno di proprietà di un autentico mito dell'umanità, canta la sua canzone appollaiato sul ramo di un arbusto di lampone (forse piantato apposta per avere frutta gratis...), esattamente come farebbe se fosse nel giardino di chiunque altro. Le api ronzano sui fiori del trifoglio rosso. E al di là della sbarra, una strada sterrata e stretta, molto più ripida e sconnessa di come appare nei fumetti (eh, l'asfalto costa...), sale con una serie di tornanti fino alla sommità... e tra un tornante e l'altro delle scalette, scavate nel terreno, collegano le curve in una scorciatoia: se Paperone fa tutti i giorni quella strada per risparmiare benzina, lo credo che alla sua età ha la tempra che ha!

* * *


Sto camminando verso casa con Gastone, ancora scosso dalla visione del Deposito. Attraversiamo il Tulebug su un altro ponte, molto più moderno, in cemento, a più corsie: qui gli argini del fiume sono alti e c'è gente che pesca. Si vede in lontananza il porto e una grande banchina, che, apprendo dal mio interlocutore, si chiama Cavazzano Quay.
Gastone non è antipatico, anche se a volte è un po' pesante: sembra non saper discorrere d'altro che di premi e lotterie. Imparo presto che se mi parla di un posto in cui è stato in vacanza (sembra abbia girato il mondo) è meglio non chiedergli come abbia deciso di andare proprio lì: la risposta è scontata... E mi racconta di come a volte sia difficile interpretare il ruolo a cui l'hanno destinato nei fumetti.
Sempre vincite, sempre lotterie, milioni di premi di cui in fondo non sa cosa fare... perché, mi racconta, ha pensato decine di volte di sfruttare economicamente la suia fortuna, magari rivendere i premi o usarli in qualche modo, ma il ruolo dell'affarista spetta sempre e comunque a Paperone... e se vuole regalarli, deve aspettare un momento in cui nessuno lo sta disegnando, perché nei fumetti deve sempre e comunque mostrarsi antipatico... "vedi quello?" mi fa a un certo punto, indicando un portafogli smarrito sul marciapiede, che io non avevo visto per niente "Magari dentro ci sono duemila dollari, ma che lo prendo a fare? Alla fine so che non sarò mai ricco come mio zio..." Povero Gastone! In fondo non è diverso da tutti noi... ed è molto più simpatico di come lo immaginavo.

* * *


Dopo una lunga passeggiata arriviamo finalmente alla casa di Gastone, in Barks Drive, e scopro che si tratta della casetta rosa con il giardino pieno di scatole e scatoloni! Come ho fatto a non pensarci prima? Quelli sono tutti i premi che ha vinto, questa non poteva che essere casa sua!
L'interno è accogliente e ordinato, niente a che vedere con la casa bizzarra di paperoga. C'è un bellissimo divano verde, quadri astratti appesi alle pareti con figure che sembrano occhi, eleganti porte a vetri e, ovunque, vasi con dei cactus. Non sapevo che fosse appassionato di piante grasse.
"Una cosa però non capisco: abbiamo pranzato tardi, è vero, ed abbiamo fatto una lunga passeggiata, ma non dovrebbe essere ancora tardissimo... com'è che il sole sta ormai tramontando?"
"Beh... guarda lassù!" risponde Gastone, indicando il cielo fuori dalla finestra "Cosa dice la scritta?" (quale scritta? Questo qui è tutto matto... penso guardando in alto...) In effetti in alto a sinistra, in cielo, una scritta dentro un riquadro, che sembra tracciata con l'inchiostro, recita "Molto tempo dopo..." Ma caspita! Allora non le vediamo solo noi lettori quelle scritte! Questa città mi sorprende sempre di più!

* * *


Dopo una cena a base di Pasta Birilla - Gastone mi racconta di averne vinto un quintale anni fa e di non essere più riuscito a smaltirlo per colpa di tutti quei pranzi e cene gratis nei ristoranti - Gastone mi mostra il megaschermo al plasma che gli hanno appena recapitato.
"Volevo vedere Linea diretta con la fortuna su McDuck Channel" mi fa. "Una trasmissione molto popolare qui. Fanno domande ai concorrenti e nel corso della serata telefonano anche a casa di un abbonato e se sa rispondere a una loro domanda vince qualcosa. Sai, questa settimana c'è in palio un superfrigo De Luxe, e siccome il mio frigo s'è giusto guastato..."
"Capito, capito..."
"Beh, se non ti interessa, puoi guardare la replica dell'ultima partita del paperopoli sulla TV in cucina, quella vinta quando ero in vacanza alle Bendive come unico abitante del quartiere a non aver partecipato alla lotteria... oppure sulla TV nel bagno, che mi hanno regalato quando ho ritrovato la collana della contessa McTurkey... o ancora dalla mini-TV nello sgabuzzino che mi hanno recapitato per sbaglio e che..."
"Va bene, Gastone, va bene..."
Il divano di Gastone è più comodo di quello di Paperoga e io sono stanco... e Linea diretta con la fortuna non è quel che si dice un programma interessante... così piano piano gli occhi mi si chiudono... e la voce del presentatore si trasforma piano piano nella mia mente in una voce più anziana... che ho già sentito nei cartoni animati... un vecchio papero con le basette alza la sbarra del Deposito e mi invita a entrare, ha srotolato perfino una passiera che arriva fino all'ingresso... non non è una passiera, è la lista dei debiti di Paperino... io ci cammino sopra... peccato che sia solo un sogno, ma lo scoprirò solo domani... buonanotte...



Note

I colori rosso e blu della squadra di calcio del Paperopoli si ritrovano in diverse storie, tra cui Paperino e la partita gratuita di Abramo Barosso / Giuseppe Perego, I TL 463, ottobre 1964. È invece mia invenzione l'identificazione del nome inglese della squadra con l'antica denominazione della città, Drakeborough o Drakesbro (vedi anche il secondo disegno della I puntata).

I particolari relativi all'aspetto esterno della casa di Gastone e al suo quartiere, nonché i nomi dei vicini di casa, sono tratti da Gastone e la prova del lavoro di Carl Barks, pubblicata in Italia su TL 735, agosto 1951.

Il ponte sul Tulebug di mattoni con gli alberi e i lampioni blu compare in Sgrizzo, il papero più balzano del mondo di Romano Scarpa, I TL 465, ottobre 1964.

L'aspetto del quartiere dei negozi, con il distributore della Benz, la pizzeria e il centro commerciale, è tratto da Una fidanzata per Paperoga di Nino Russo / Alessandro Barbucci, I TL 2117-A, giugno 1996.

José Maria Manrique è menzionato in riferimento al personaggio di Aracuán in quanto autore di Donald Duck – Clown of the Jungle, D 2000-023, adattamento per l’albo speciale scandinavo From All of Us to All of You dell’omonimo cortometraggio del 1947.

Il riferimento al corso per corrispondenza "Chi trova, prima ha cercato", che nel racconto Paperoga afferma di aver appena finito di frequentare, rimanda alla sua omonima affermazione riportata in Paperino, Paperoga e il posto sicuro di Rudy Salvagnini - Lorenzo Pastrovicchio, I TL 2682-2, pubblicata il 24 aprile 2007, cioè tre giorni prima della mia visita a Paperopoli.

L'interno della casa di Gastone è descritto come appare in Paperino (& Gastone) e la tele-fortuna di Staff di If / Massimo De Vita, I TL 1597, luglio 1986; dalla stessa storia sono tratti i riferimenti al programma televisivo Linea diretta con la fortuna e al quintale di pasta Birilla vinta da Gastone.

Il ponte sul Tulebug in cemento vicino alla foce, dal quale si vede il porto, compare in Zio Paperone e l'inafferrabile Trizompa di Rodolfo Cimino / Giorgio Cavazzano, I TL 1775, dicembre 1989.

Mia è invece l'idea di intitolare strade e piazze di Paperopoli ad autori Disney di varie nazionalità. Nell'attribuire i nomi ho cercato di attenermi il più possibile alle caratteristiche stilistiche di ciascun autore: per cui la strada principale del quartiere in cui i paperi abitano porta il nome di Carl Barks, che per primo ne ha sviluppato i caratteri; il quartiere commerciale tra il Tulebug e la Collina Ammazzamotori, dove abita Paperino e dove si svolgono gran parte delle storie italiane, è il quartiere italiano; Giorgio Cavazzano, esperto nel delineare paesaggi industriali e portuali, presta il suo nome al principale molo del porto; a Rodolfo Cimino, che spesso coinvolge nelle sue storie sia Paperone che Paperino, è intitolata la strada che unisce la Collina Ammazzamotori alla casa di quest'ultimo e così via.

18 maggio 2007

Conan, il ragazzo del futuro

All'inizio del ventunesimo secolo un gruppo di scienziati elabora l'utilizzo di una fonte di sviluppo alternativa: l'energia solare, uno strumento destinato a cambiare per sempre le sorti del pianeta. Ma come sempre accade, al progresso tecnologico si affiancano le applicazioni belliche e così da quella che avrebbe dovuto costituire una fonte inesauribile di energia al servizio dell'uomo vengono ricavate potentissime armi di distruzione.
Nell'estate del 2008 il mondo viene sconvolto dalla terza guerra mondiale: aerei da combattimento simili a grossi insetti metallici oscurano il cielo e nel giro di poche ore le nuove bombe magnetiche devastano metà della superficie terrestre. L'asse di rotazione del pianeta si incrina e i continenti vengono inghiottiti dagli abissi. In seguito alla catastrofe i fortunati superstiti rimangono isolati nelle poche terre emerse e danno inizio a una nuova civiltà con gli scarsi mezzi rimasti. Comincia così una delle più belle saghe animate che siano mai state trasmesse sul teleschermo.

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Conan non è un cartone animato come tutti gli altri. E' una serie che si sviluppa sul filo di una realtà alternativa a sé stante, scaturita dalla fervida immaginazione di un autore del calibro di Hayao Miyazaki. Ogni singolo tassello della storia rientra perfettamente all'interno di un mosaico fatto di emozioni concrete. Conan rappresenta lo stadio embrionale di tutte le tematiche care al suo autore, ma allo stesso tempo ne costituisce la massima espressione nell'ambito di una narrazione fluida ed essenziale. Ma Conan è anche una meravigliosa storia d'amore; è una fiaba che racconta dell'uomo e delle sue vicende; è una tela sulla quale è dipinta l'intera storia dell'umanità. Una storia fatta di contrasti, di debolezze, di desideri e di leale amicizia. Uno splendido racconto che nasce sulle rive di un'isola perduta in mezzo all'Oceano, dove Conan vive insieme a suo nonno, unico superstite di un manipolo di sopravvissuti all'olocausto che distrusse il mondo. Una mattina le onde del mare trascinano a terra il corpo di una ragazza vestita di rosso. Il ritrovamento della giovane Lana regala grandi speranze al nonno di Conan: gli fa capire che l'umanità non si è estinta come temeva e che forse all'uomo è stata concessa una seconda possibilità. Lana e Conan legano immediatamente, ma il giorno successivo atterra sulle rive dell'isola uno strano aereo simile a un grosso rapace da cui escono due soldati armati. I nuovi visitatori si rivelano violenti e prepotenti come in tempo di guerra, catturano la ragazza e la portano via nonostante l'estremo tentativo di salvataggio da parte di Conan. Il vecchio, ormai in fin di vita, prega suo nipote di fuggire via dall'isola e di dare un senso alla propria esistenza. Conan seppellisce suo nonno tra le tombe degli altri abitanti dell'isola, si costruisce un solido battello con i pochi strumenti a disposizione e si lancia alla disperata ricerca di Lana.

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A partire da quel momento il rapporto tra Lana e Conan costituirà il filo conduttore dell'intera vicenda. Un rapporto costruito sulla fiducia reciproca e sulla più sincera dedizione. Non emerge mai nulla di esplicito dall'affetto che nutrono l'uno verso l'altra, eppure Miyazaki riesce a farci percepire, con sapiente maestria e senza mai scadere nel banale, tutta la natura del profondo sentimento che li unisce. Lana è una ragazza fragile, ma dotata di una solida forza interiore. E' una ragazza che, al di là dei momenti di sconforto che attraversano sporadicamente il suo animo, non ha paura di mettere a repentaglio la propria incolumità quando è la vita di Conan ad essere in gioco. In una sequenza memorabile Lana, prigioniera sulla prua di una nave, sente la voce di Conan che in quel momento rischia di annegare in mezzo all'Oceano: si agita, afferra con i denti la corda che la tiene legata fino a strapparla con violenza; corre verso una scialuppa, prende un'accetta e si scaglia con tutte le sue forze contro la leva che avrebbe liberato il battello di salvataggio. E' una scena carica di potenza espressiva in cui le movenze del corpo di Lana riescono ad esprimere tutta l'ansia e la disperazione interiore della ragazza. Un piccolo ma efficace esempio di come l'animazione possa assurgere senza mezzi termini a vera e propria opera d'arte. E la serie di Conan è letteralmente costellata di episodi simili, perfettamente amalgamati nell'ambito di differenti registri emotivi: basti pensare all'incontro con Gimsy, colui che di lì a poco diventerà il migliore amico di Conan. Dopo la difficile fuga dall'Isola Perduta, infatti, il ragazzo approda sulle rive di una terra apparentemente disabitata, durante l'esplorazione della quale viene pedinato da una misteriosa ed inquietante presenza simile a uno spettro. Quando i due si trovano l'uno dinanzi all'altro ha inizio quella che può essere considerata la sequenza più esilarante di tutta la serie: una sorta di grottesca ed infantile prova di forza tra i due ragazzi, in cui chiunque abbia vissuto la propria adolescenza in condizioni normali non potrà che rivedersi e immedesimarsi. Con il suo essere buffo, pigro e ingordo Gimsy sarà capace non solo di smorzare le tensioni che si verranno a creare durante lo svolgimento della trama, ma anche e soprattutto di dare a Conan quel solido appoggio morale di cui in più di un'occasione avrà bisogno. Conan e Gimsy diventeranno amici per la pelle e navigheranno insieme alla volta di Indastria, l'isola in cui è stata condotta Lana.

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Lo scenario in cui si svolge la serie si alterna tra due distinte realtà: quella di Indastria e quella di High Harbor. Indastria è la misteriosa isola da cui a grandi linee traspare quello che doveva essere il progresso tecnologico raggiunto dall'uomo prima del grande olocausto. La sua popolazione è ancora assoggettata a un regime di tipo autoritario, tipico delle dittature militari. Indastria è destinata ad andare incontro a una grave crisi di natura energetica. La sola speranza per la sopravvivenza della sua popolazione è condizionata al ritrovamento di un uomo, il dottor Rao, unico sienziato ancora in vita a conoscere il segreto dell'energia solare. Il dottor Rao, dato per disperso da molto tempo, altri non è che il nonno di Lana e l'unico modo per riuscire a ritrovarlo è quello di servirsi con ogni mezzo di sua nipote. Ma sebbene Lana, così come suo nonno, tenga molto alla vita degli abitanti di Indastria, è anche consapevole del fatto che Lepka, direttore amministrativo della città, desidera ottenere l'energia al solo scopo di far volare di nuovo gli aerei da combattimento ed impadronirsi del mondo una volta per tutte. L'arrivo di Conan e Gimsy a Indastria è un altro esempio di capolavoro dell'animazione: la nave su cui viaggiano attraversa un breve tratto di mare avvolto dalla nebbia, che non appena si dirada ci mostra uno scenario post bellico freddo e apocalittico sul quale si staglia la triplice Torre solare, alta e imponente come la presunzione dell'uomo. Indastria rappresenta quella fetta di umanità che non ha imparato dai propri errori e che, nonostante la terribile catastrofe, non è stata ancora in grado di placare il suo morboso desiderio di dominio.
High Harbor di contro è la terra natale di Lana, un'isola felice in cui l'uomo ha ritrovato la sua dimensione in perfetta armonia con la natura. Una terra di allevatori e contadini, dove l'unica fonte di energia a sostegno della produzione industriale è costituita dal vento. Ma Miyazaki non si limita a delineare sommariamente questi due scenari contrapposti secondo la semplice logica del bene e del male, bensì ne dipinge con estrema cura i chiaroscuri, rendendoli profondamente realistici nell'ambito di un delicato equilibrio drasticamente compromesso dal conflitto mondiale. L'avidità e la sete di potere albergano anche ad High Harbor e portano il nome di Uro, un giovane avido e prepotente che assieme a un assortito gruppetto di manigoldi tenta di ottenere il completo dominio dell'isola. Degno di nota è l'episodio in cui Conan e Gimsy si addentrano per la prima volta nel territorio di Uro, i cui uomini fanno le ronde notturne a cavallo con tanto di terrificanti maschere indossate col preciso scopo di spaventare i nemici: un divertentissimo inseguimento lungo le intricate valli montane costellate di trappole e trabocchetti che si concluderà con la cattura dei due intrusi.

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Indastria e High Harbor. Due realtà differenti, ma destinate a scontrarsi e a rimettere in discussione ciascuna i propri valori. Indastria, dopo la cattura del Dottor Rao, al fine di assicurarsi la sua preziosa collaborazione tenta di rapire nuovamente Lana occupando l'isola di High Harbor. L'episodio che precede l'invasione è senza ombra di dubbio il più riuscito dell'intera serie. Si apre con un sogno fatto da Lana: un delirante incubo che mescola eventi passati a incomprensibili visioni portatrici di sventura nell'immediato futuro. Tutto appare confuso e apparentemente privo di significato. Nel corso dell'episodio il susseguirsi degli eventi ci allontana da quelle immagini raccapriccianti e confuse per poi catapultarci nuovamente al loro interno sul finale, senza che quasi ce ne rendiamo conto. Ogni singolo elemento della visione onirica d'apertura diviene realtà in un gioco di collegamenti e richiami talmente perfetto e inaspettato da far quasi rabbrividire. Un episodio costruito e ricamato in maniera tanto efficace quanto geniale, grazie al quale Miyazaki riesce a raggiungere la vetta più alta della sua potente arte narrativa. Ma la tensione emotiva non si esaurisce con la trasposizione sul piano reale delle visioni di Lana. Perché magistrale è anche la battaglia tra i soldati di Indastria e gli uomini di Uro che, per paura di vedersi sottratti alle loro brame di dominio su tutta l'isola, decidono in un primo momento di tendere un agguato agli invasori. L'attacco è descritto in maniera favolosa: gli uomini di Uro muniti di maschere e lance si scagliano contro i soldati, sbaragliandone le fila e generando il panico tra i nemici, che per riuscire ad avere la meglio si vedono costretti a ricorrere ai cannoni dell'incrociatore. Lo scontro, com'è facile prevedere, si conclude con la disfatta di High Harbor, ma riuscire ad assoggettare l'isola si rivelerà un'impresa ben più ardua del previsto. Il dominio di Indastria terminerà con l'episodio della Grande Onda, l'elemento naturale che interagisce nelle vicende umane al punto da condizionarne l'andamento, talvolta nel bene e talvolta ancora nel male. La forza devastante della natura coinvolge e travolge i personaggi dalla prima all'ultima puntata della serie, mescolando continuamente le carte in tavola e restituendo all'uomo tutto ciò che di positivo e di negativo ha seminato. E ancora una volta Miyazaki si rivela un fine stratega nel dirigere magistralmente la natura quasi come fosse un'entità dotata di ragione e sentimento.

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La stessa cura che dedica alla descrizione degli spazi in cui si sviluppa la narrazione, Miyazaki la impiega nel delineare i personaggi della serie, ognuno dei quali ricopre un ruolo perfettamente funzionale alla trama, risultando sempre realistico e credibile nel suo adattarsi di volta in volta all'evolversi delle situazioni. Emblematico è il caso di Miss Monsley, luogotenente della città di Indastria, nonché uno dei due soldati che portano via la giovane Lana dall'Isola Perduta nel primo episodio della serie. Personaggio all'apparenza cinico e spietato quasi quanto Lepka, lascerà lentamente trasparire una solitudine interiore che affonda le radici nella sua trascorsa infanzia, quando alla tenera età di dodici anni si vide strappata all'affetto della sua famiglia a causa di un violento bombardamento aereo. Monsley guida la spedizione ad High Harbor, occupa l'isola e la tiene in pugno sotto il suo vigile e stretto controllo. Ma in una sequenza dolcissima e poetica, dopo aver organizzato tutte le strategie del caso, esce nel cortile dell'abitazione che aveva trasformato in quartier generale, si siede in giardino a riprendere fiato e si incanta di fronte a un cane che passeggia sul prato dinanzi a lei. Un triste ricordo riaffiora allora dal passato di Monsley e porta il nome di Muku, un cane al quale era molto affezionata da bambina, vittima innocente del devastante bombardamento. Monsley ritrova se stessa proprio all'apice del suo cinismo, superato il limite del quale vivrà una sorta di evoluzione interiore lenta e graduale che consentirà a Miyazaki di approfondire i sentieri introspettivi percorsi dall'umanità a partire dal conflitto mondiale. Nel caso di Monsley la chiave di volta è rappresentata dall'episodio della Grande Onda, di fronte alla quale abbandona sè stessa in un turbine di emozioni che in un attimo abbatteranno tutte le sue difese psicologiche come un semplice castello di sabbia. Da un lato il ricordo del maremoto che la travolse insieme a Muku, dall'altro la presa di coscienza del suo essere insignificante di fronte a una così violenta manifestazione di naturale potenza. Ma si tratta solo dell'esempio più immediato e palese: in Conan ogni singolo personaggio è inserito nell'ambito di un ruolo essenziale allo svolgimento, che si tratti di Monsley, del capitano Dyce, di Uro, di sua sorella Tera o di un qualunque abitante delle due isole.

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E non a caso è proprio l'efficacia della narrazione, tanto a livello espressivo quanto a livello strutturale, a fare di Conan un autentico capolavoro, probabilmente unico nel suo genere. Contrariamente a quanto accade di solito nell'ambito delle serie animate destinate ai palinsesti televisivi, infatti, non è l'opera ad essere subordinata ai tempi narrativi, bensì l'esatto contrario. Tempo e spazio sono perfettamente funzionali allo svolgersi degli eventi sia per quanto concerne il singolo episodio, sia per quanto concerne la serie nel suo insieme. Guardando Conan si ha come la sensazione di assistere a un unico film suddiviso in 26 episodi, ognuno dei quali costituisce un'opera perfetta nella sua individualità e nel suo essere parte del tutto. E poco importa che l'idea di base sia partita dal semisconosciuto Alexander Key, autore del romanzo The incredible tide, perché il merito di aver preso un semplice racconto per ragazzi e di averlo trasformato in un'opera epica sulle vicende e sui sentimenti umani va ricondotto senza ombra di dubbio al genio e alla fantasia di Hayao Miyazaki. E se davvero amate questo autore non potete assolutamente permettervi di tralasciare questo suo primo indiscutibile gioiello, che io personalmente non posso che considerare la più bella serie animata di tutti i tempi.



Scritto da Deeproad

8 maggio 2007

Frank Miller


Disegnatore, inchiostratore, scrittore, sceneggiatore, regista e anche qualche cameo come attore. Un talento dalle mille sfaccettature, Frank Miller di prepotenza si è guadagnato il titolo di autore di fumetti contemporaneo più conosciuto al mondo (rivaleggiato solo da Alan Moore), grazie soprattutto alle trasposizioni su pellicola dei suoi lavori, che lo hanno reso popolare anche a gente che di fumetti non sa nulla. Essendo uno che ha sempre subito sfottò a non finire, a causa della sua passione per gli eroi disegnati, a detta di tutti una passione che si addice più ai bambini che ad un adulto, il mio primo articolo non poteva riguardare altri che non fossero lui, che ha contribuito come pochi alla rivalutazione del fumetto come forma di arte rivolta ad un pubblico più maturo. Esaminando i suoi lavori si nota una notevole diversità, sia nella tecnica di narrazione, sia nei disegni, adattandosi di volta in volta alla storia che vanno a raccontare, rimangono invece comuni certi aspetti come le ambientazioni noir e il risalto di alcuni valori come l'onore e l'eroismo, nonostante l'ambiguità morale degli "eroi". Proverò a spendere qualche parola per ognuno dei suoi lavori più famosi,ossia Daredevil, Batman, Sin City,300 e Ronin

L’ascesa
Il giovane Frank, da sempre appassionato di fumetti, e deciso a lavorare in questo ambiente nonostante i continui inviti a lasciar perdere del suo mentore Neal Adams, dopo qualche lavoretto qua e là viene accolto da Mamma Marvel ed ingaggiato per disegnare i numeri 27 e 28 di Spectacular Spider-man. Proprio in quei numeri farà l'incontro con un personaggio che cambierà la vita di entrambi: Daredevil.
Il caso vuole che proprio in quel periodo il disegnatore della testata di Daredevil dà le dimissioni. Miller, innamorato di questo personaggio, coglie la palla al volo e si offre per il posto che, grazie anche al buon lavoro svolto nei due numeri di Spectacular, alla fine gli viene assegnato. Fino a quel momento Daredevil era un personaggio di serie B, l'Uomo-Ragno dei poveri, con una testata tutta sua ma seguita da pochissimi fan e con pubblicazione bi-mensile. L'arrivo di Miller cambierà tutto. Usando il suo tocco noir e fondendolo con il mondo supereroistico, trasforma l'eroe in un personaggio dark, cupo, ambiguo e riesce ad ottenere critiche esaltanti, ad attirare sempre più lettori e a portare alla mensilità la cadenza del fumetto. La linea ascendente intrapresa si impenna ulteriormente quando oltre ai disegni, comincia ad occuparsi anche della scrittura. Le influenze orientali si fanno notare, e dalle sue matite nasce Elektra, la letale ninja greca amatissima dal pubblico tanto da avere in seguito in una propria testata (e molte miniserie scritte da lo stesso Miller negli anni a venire) e recentemente un film dedicato a lei. Inoltre prende in prestito Kingpin dalla gamma dei nemici dell’ Uomo-Ragno e, dandogli un’aura di rispettabilità e consistenza che mai aveva avuto fino ad ora, lo trasforma nella nemesi di Deredevil. Pochi numeri dopo,da un duro colpo ai lettori decidendo di eliminare Elektra, diventata oramai un personaggio fondamentale nella vita di Matt Murdock. Bullseye la uccide nel peggiore dei modi in una delle mie tavole preferite, trafiggendola con un sai e mascherando alla censura un agghiacciante omicidio-stupro. Quando Miller abbandona la testata, Daredevil svolazza nelle prime posizioni del botteghino fumettistico e, tenendo conto che solo qualche anno prima era prossima alla chiusura è facile immaginare che Miller era ormai considerato un re Mida del fumetto.
Qualche numero dopo torna per scrivere Born again, una delle migliori storie mai scritte, non solo per questo personaggio, ma nell’ intero mondo supereroistico, dove si conosce la vita di Matt Murdock (il vero nome di Daredevil) ridotta in frantumi e lui portato sull’orlo della follia dalle macchinazioni di un Kingpin più malvagio che mai. Ad occuparsi del suo eroe preferito tornerà dopo molti anni, scrivendo una miniserie (stavolta non si troverà lui alle matite) che ridefinisce il background e i dettagli delle sue origini, Daredevil: The man without fear. Usando il suo stile dark, cupo ed introspettivo e concentrandosi su Matt Murdock piuttosto che sul suo alter ego diabolico, sposta le sue origini su un piano totalmente diverso da quello narrato dal suo creatore, Stan Lee.

La consacrazione
Il prossimo eroe a beneficiare del tocco d'oro del Re Mida dei fumetti è Batman. Miller scrive una miniserie di quattro volumi destinata a cambiare radicalmente sia Batman che l'industria dei fumetti in generale, ridirezionandola verso un pubblico più adulto.Apre un nuovo capitolo nella storia dei fumetti, nel quale il lato più oscuro dell'umanità non viene nascosto, ma evidenziato. Trasforma l'eroe in un antieroe pronto a tutto, lo immerge nelle solite atmosfere dark da lui tanto amate e gli dà uno spessore che era andato perso da quando era approdato in Tv con la sua serie piena di "POW!" e "KABOOM!" che ha fatto associare a Batman un'aria scanzonata e comica molto difficile da far dimenticare. Miller ci è riuscito con un unica miniserie. In Batman: The Dark knight Returns introduce innovazioni sia a livello di tecniche di narrazione, dando un tocco cinematografico alle sue tavole tramite la suddivisione in molti piccoli frame (a volte si ha la sensazione di vedere le immagini al rallenty), sia di contenuti, mischiando abilmente cazzotti, politica e mass media. La storia parla di un Bruce Wayne ormai sulla 50ina, ritirato da 10 anni che decide di reindossare i panni di Batman, per far fronte ad una nuova banda di ragazzi che hanno portato il caos a Gotham City: i Mutanti. Un ruolo fondamentale nella vicenda avrà anche Superman,ridotto ad un semplice burattino nelle mani del governo che inevitabilmente lo portarà di fronte ad uno scontro epico con il fuorilegge Batman. La graphic novel raggiunge subito i vertici delle classifiche delle vendite (tanto che 20 anni dalla sua prima pubblicazione viene ancora stampato) ottenendo ovunque critiche esaltanti, e Miller dimostra di essere il Re Mida dei fumetti per la seconda volta.
L'anno dopo la pubblicazione di DKR scrive tre numeri della serie regolare di Batman, una storia con il titolo Batman:Year One dove come per il diavolo rosso (anzi, proprio il contrario visto che Year One è antecedente a Man without fear) riscrive le origini del pipistrello aggiungendo molti nuovi dettagli, raccontando la storia non solo dal punto di vista di Batman, ma anche del commissario Gordon. I due hanno uno scopo comune anche se percorrono strade diverse, e proprio su questa diversità Miller basa il suo racconto, cogliendo l'occasione per fare parallelismi ed analisi psicologica dei due personaggi.
L'ultima accoppiata Miller/Batman è stata nel seguito di DKR, Batman:The Dark Knight Strikes Back, che non ha ottenuto il successo del originale ma che non posso commentare non avendolo ancora letto (mea culpa).

Omicidi in bianco e nero
Quando il giovane Frank muoveva i suoi primi passi come disegnatore e mostrava i suoi disegni, nella speranza di essere assunto da qualche casa editrice, puntualmente gli veniva sbattuta la porta davanti, dopo avergli riso in faccia. In seguito a parecchi tentativi falliti, Miller ha capito che la causa del suo fallimento era il tema comune di tutti i suoi disegni: Uomini con impermeabili, cappelli e pistole che guidavano vecchie macchine e frequentavano bionde donne fatali... Per aver successo nel suo mestiere, deve così imparare a disegnare muscoli e tute aderenti. Anni dopo, artista ormai famoso e in cerca più di soddisfazioni personali che di vendite stratosferiche, decide che è giunta l'ora di tornare a fare  ciò che a lui è sempre piaciuto, ed ecco in poche parole come nasce Sin City. Inizialmente pubblicato nelle pagine di "Dark Horse Presents" ma i personaggi,gli intrecci e le ambientazioni di Basin City sono un mondo a parte che presto si guadagna una testata tutta sua grazie al successo riscosso. Sulla trama penso sia inutile dilungarsi,tutti sanno di che si tratta grazie al film che è la trasposizione cinematografica più fedele in assoluto. Per quello che riguarda la tecnica, Miller riesce ad essere di nuovo originale non usando i colori tranne che per evidenziare alcuni particolari. Anche se in realtà questa scelta è stata in un certo modo obbligata,visto che Lynn Varley, sua moglie e colorista della maggior parte delle sue opere al momento non era disponibile, ma ciò non cambia che il risultato è un notevole impatto visivo ed uno stile unico. Il chiaroscuro riesce a rendere alla perfezione le ambientazioni hard-boiled e i giochi di ombre e luci che le matite di Miller abilmente creano rendono Sin City inconfondibile ed unico. Al contrario di DKR, ora la struttura narrativa tende ad allontanarsi il più possibile dal cinema, ora il linguaggio usato è strettamente fumettistico. Il suo lavoro gli frutterà numerosi premi e riconoscimenti oltre che il successo al botteghino, Sin City ormai non è solo un desiderio represso del suo creatore ma una serie cult nonchè un esperimento perfettamente riuscito.


Alla ricerca dell'eroe
Una costante in tutte le opere di Miller è l'approfondimento del concetto dell’ "eroe", e delle azioni necessarie per essere considerato tale.Il suo modo di intendere cosa realmente sia un eroe è radicalmente cambiato quando da piccolo vede il film "The 300 Spartans" (L'eroe di Sparta in italiano) e rimane profondamente colpito dal sacrificio di re Leonida e i suoi 300 soldati. Molti anni dopo decide di creare una sua versione della battaglia delle Termopili sfornando un altro dei suoi capolavori. Di nuovo la narrazione è completamente diversa da tutti i suoi lavori passati, con il susseguirsi di una splash page dopo l'altra, ci si allontana ancora di più dalla tecnica "cinematografica" usata in Batman. I disegni sono essenziali, laconici, duri, proprio come i soggetti che descrivono. Non sono belli, ma a Miller non interessa, vuole che suscitino emozioni, vuole si fondino in una cosa unica  con la storia che raccontano. Stesso discorso per i dialoghi, essenziali, gli spartani d'altronde non erano famosi per la loro loquacità. I protagonisti di tutti i lavori di Miller hanno il comune denominatore di essere dogmatici, disposti a tutto per mantenere la loro integrità morale, credono in qualcosa e sono disposti a sacrificarsi piuttosto che rinnegarlo. Sotto questa luce Re Leonida non è molto diverso da Batman e da Daredevil. Miller è stato accusato di essere fascista per questo suo lavoro, e probabilmente non sono accuse infondate, visto anche il contenuto di alcune interviste, ma tutto ciò poco ha a che fare con la bellezza della sua arte.

Quando il katana incontra il microchip
La parola "Samurai" deriva dal giapponese "samorau" che significa esattamente "servire". I samurai erano servi. Quando i loro signori morivano o cadevano in disgrazia i samurai, rimasti senza padrone, venivano chiamati Ronin. Ed è proprio la storia di un Ronin che Miller ci racconta, nella sua omonima graphic novel. Un Ronin che in cerca di vendetta dal demone che ha ucciso il suo maestro rinascerà per combattere la sua guerra personale nel futuro, tra protesi cibernetiche, intelligenze artificiali e multinazionali onnipotenti. Indiscutibilmente l'opera milleriana più influenzata dai manga e dalla cultura orientale. Non a caso anche qui abbiamo a che fare con un eroe determinato, duro e oscuro, anche se la storia diventa molto più complessa andando avanti. La scelta del Ronin come personaggio principale non può essere casuale, vista l'importanza che dà Miller all’ onore e al ruolo fondamentale che gli antichi giapponesi gli attribuivano nella loro cultura. I disegni sono formati da una miriade di graffi delle matite di Miller, che compongono immagini sporche e confuse, proprio come il mondo in cui l'eroe si risveglia. Ronin è il lavoro meno conosciuto di Miller (anche se la produzione di una pellicola cinematografica è già in atto) ma ciò non significa che non sia dotato di un’ anima propria e non sia altrettanto importante nella storia recente del fumetto, riuscendo in un' operazione tutt’altro che facile, amalgamare tanti stili diversi in un unico prodotto. Pubblicato nel 1983 non ottenne buone vendite nonostante le ottime critiche, ovviamente dopo l'enorme successo di Dark Knight Returns la DC colse la palla al balzo e ripubblicò l'intera miniserie raccolta in un libro.